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In Germania i mini jobs hanno contribuito a ridurre di molto la disoccupazione: facciamoli anche noi

In Germania la riforma del mercato del lavoro realizzata dall’ex cancelliere socialdemocratico Schroeder è alla base del crollo della disoccupazione ai minimi storici e uno dei suoi punti di forma è stata l’introduzione dei mini jobs, contratti a tempo determinato per le donne emarginate o occupate in nero: perchè non provarli anche in Italia?

In Germania i mini jobs hanno contribuito a ridurre di molto la disoccupazione: facciamoli anche noi

Il messaggio che arriva dall’Europa è chiaro: nessuna bocciatura ma un’apertura di credito, accompagnata da otto raccomandazioni. L’Italia deve riformare “urgentemente” il settore bancario, la pubblica amministrazione, il mercato del lavoro, la scuola, la giustizia, le infrastrutture, il sistema degli appalti pubblici e continuare con l’azione di consolidamento dei conti. Nulla di nuovo in realtà e neanche nulla d’impossibile visto che altri paesi, in passato, queste riforme le hanno già fatte. A cominciare dalla Germania, che all’inizio degli anni duemila si trovava in una situazione molto simile a quella italiana, con una crescita pressoché nulla e i conti pubblici fuori controllo (il disavanzo era ben oltre il 3% e il debito, nonostante fosse vicino al 60%, in costante aumento). Tanto da far chiedere al cancelliere Schröder una proroga di due anni per riportare il disavanzo entro la soglia prevista dai Trattati. Un percorso di rientro del disavanzo pubblico più graduale era necessario, secondo Schröder, per implementare una serie di riforme i cui effetti si sarebbero dispiegati solo nel medio-lungo termine (il premier Renzi ha chiesto il rinvio del pareggio di bilancio al 2016 per il motivo analogo).

Punto cardine dell’Agenda 2010, questo il nome del programma, è stata la riforma del mercato del lavoro che ha cambiato, innanzitutto, gli incentivi di chi cerca lavoro. In sostanza, le nuove norme, le cosiddette Leggi Hartz (che hanno preso il nome dall’ex direttore del personale del Volkswagen Peter Hartz), hanno ristretto l’erogazione dei sussidi ai disoccupati di lunga durata, costringendoli – di fatto – a non rifiutare offerte ragionevoli. Solo chi ha lavorato almeno dodici mesi negli ultimi due anni ha diritto all’assegno. Per un anno, però (prima della riforma la durata era triennale). Dopodiché, bisognerà dimostrare ad uno dei settantamila funzionari delle Agenzie di collocamento (in Italia i funzionari sono meno di settemila) sparse in tutto il territorio che si è attivi nella ricerca del lavoro e che, eventualmente, si è disponibili a seguire corsi di riqualificazione. Oltre a nuovi incentivi, la riforma ha introdotto anche nuove figure contrattuali come i mini jobs, ossia contratti a tempo determinato pensati da Schröder soprattutto per le donne tagliate fuori dal mercato del lavoro perché prive di titoli di studio o, nella migliore delle ipotesi, occupate in nero in settori come quelli dei servizi domestici e della sanità. Un contratto di mini job prevede quindici ore alla settimana per un corrispettivo di 300 euro netti; i contributi – sebbene ridotti – sono tutti a carico del datore di lavoro. Negli anni, lo stipendio è stato alzato a 450 euro mensili (in molti casi, i mini jobbers percepiscono anche assegni statali per la casa, per le utenze e per i figli a carico) e sono state introdotte anche tipologie contrattuali – i  midi jobs – in cui una parte dei contributi è a carico del lavoratore (in quel caso lo stipendio sale a 800 euro mensili).

La flessibilizzazione del mercato del lavoro ha comportato un prezzo politico molto elevato per il cancelliere Schröder. I continui scioperi lo hanno costretto a indire elezioni anticipate nel settembre 2005, che poi perderà, anche se solo di misura. Sarà quindi il governo di Grosse Koalition di Angela Merkel a terminare le riforme dell’Agenda 2010. In primo luogo quella del fisco. Il governo di Berlino ha, di fatto, implementato la più grande riduzione di sempre della pressione fiscale sul reddito d’impresa, dal 38,7 al 30%. Il taglio è stato finanziato da un incremento della tassazione indiretta – portata dal 16 al 19% – e dell’aliquota Irpef sui redditi superiori a 250mila euro – dal 42 al 45%. Sul versante delle uscite, la spesa è stata ridotta di 5 punti percentuali nel giro di un quadriennio (dal 48% del 2003 al 43% nel 2007; nello stesso periodo, in Italia, la spesa è aumentata dal 48% al 50%).

La seconda grande riforma è stata quella del sistema federale. Vi era la necessità di modificare un sistema complesso e farraginoso che prevedeva che il sessanta per cento delle leggi dovesse avere l’approvazione sia del Parlamento (Bundestag) sia del Senato federale (Bundesrat): un impianto non dissimile da quello italiano, almeno dal punto di vista dell’inefficienza e della lungaggine dei tempi. Con la riforma, il numero di leggi soggetto al doppio passaggio è stato dimezzato.

Dieci anni dopo l’Agenda 2010, la Germania è cambiata radicalmente. Non è più la “Malata d’Europa” bensì la prima potenza europea. Il paese cresce, le finanze sono in ordine, il numero dei senza lavoro è ai minimi storici: in base ai dati Eurostat di aprile, la disoccupazione si attesta al 5,2% e “sale” al 7,9% tra i giovani (in l’Italia, i dati sono, rispettivamente, 12,6% e 43,3%). In particolare, dal 2003, il tasso di occupazione femminile è aumentato di dieci punti, attestandosi al 71,5% contro il 62,4% della media europea e il 50,5% dell’Italia. Gran parte di questo risultato è ascrivibile proprio all’introduzione dei mini jobs. Uno strumento, inviso a molti in Italia, ma che ha funzionato in Germania, al punto che anche i socialdemocratici e i sindacati ne riconoscono ora i vantaggi. Forse non è la soluzione ideale nel lungo periodo, ma nel breve potrebbe portare ad un incremento sia dell’occupazione sia del gettito attraverso l’emersione del lavoro in nero.

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