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Riforma Senato: Renzi vuole il primo sì entro luglio, da lunedì si vota su 7.800 emendamenti

Il Premier: “Ragionevolmente noi chiudiamo le riforme costituzionali, se continua l’ostruzionismo, a occhio entro 15 giorni, da quando si inizia a votare…” – La tempistica delineata dal Presidente del Consiglio ha fatto insorgere Sel e M5S, ma anche la Lega – Fassino (Anci): “Troppo pochi 21 sindaci”.

Riforma Senato: Renzi vuole il primo sì entro luglio, da lunedì si vota su 7.800 emendamenti

Il premier Matteo Renzi insiste sulla tabella di marcia: entro luglio il Senato dovrà dare il primo via libera al pacchetto di riforme costituzionali, che include anche la rivoluzione della stessa assemblea di Palazzo Madama. Dopo di che, si tornerà a parlare di legge elettorale. Gli obiettivi sono chiari, ma raggiungerli non sarà semplice. Se non altro perché gli emendamenti su cui lunedì si inizierà a votare sono ben 7.800, quasi tutti presentati dalle opposizioni.

“Ragionevolmente noi chiudiamo le riforme costituzionali, se continua l’ostruzionismo, a occhio entro 15 giorni, da quando si inizia a votare…”, ha detto il Premier ieri durante l’incontro con i rappresentati del Movimento 5 Stelle, “il giorno dopo siamo pronti a discutere della legge elettorale in Senato”.

La tempistica delineata dal Presidente del Consiglio ha fatto insorgere Sel e M5S, ma anche la Lega al Senato, dove poco prima in conferenza dei capigruppo la maggioranza, con l’appoggio di Fi, aveva imposto di dare priorità al ddl Boschi persino rispetto ai decreti del governo che stanno per scadere. Il cosiddetto “ingorgo” è stato infatti risolto stabilendo che si andrà avanti da lunedì a giovedì sera, con sedute fino alle 22 sulla riforma costituzionale. Solo da venerdì si lascerà spazio al decreto competitività. A nulla è servita la protesta delle opposizioni che hanno cercato di far passare un calendario alternativo in aula.

Ieri è proseguito per tutto il giorno il dibattito in Aula, che si concluderà lunedì mattina con la replica dei relatori e del governo. C’è già chi teme che la mole di emendamenti verrà aggirata con il contingentamento dei tempi previsti per illustrarli, uno strumento previsto dal regolamento del Senato.

La voce viene diffusa dai grillini mezz’ora prima della conferenza dei capigruppo, dove invece il Pd con Luigi Zanda, assicura che “la parola non è stata neanche pronunciata”. In verità l’arma resta sul tavolo perché il contingentamento può sempre essere applicato durante la discussione e anche dal Pd ammettono che “con 7.800 emendamenti è evidente l’intento ostruzionistico e dunque si può pensare a contingentare gli interventi, se ci fosse un intervento per ogni emendamento staremmo qui per anni…”.

Dubbi su una tempistica un po’ troppo accelerata sono arrivati però anche da alcuni sostenitori della riforma: prima il co-relatore Roberto Calderoli, poi il senatore di Fi, Donato Bruno, hanno infatti chiesto al Presidente del Senato, Pietro Grasso, di allungare di qualche ora i tempi per l’inizio delle votazioni, (fissato lunedi alle 16) dal momento che gli emendamenti sono ancora nelle mani degli uffici che li stanno vagliando e saranno pronti non prima di lunedì, a quel punto i relatori, ma anche tutti gli altri senatori, vorranno studiarli per apportare alcune modifiche.

Le più probabili potrebbero riguardare il referendum, (quorum e introduzione del propositivo, su iniziativa unitaria del Pd) e l’elezione del presidente della Repubblica. La necessità di modificare ancora il testo uscito dalla commissione sembra infatti farsi strada anche tra i sostenitori della riforma: “il testo ha bisogno di miglioramenti”, ha detto Bruno.

Fuori dal Palazzo invece è arrivata la bocciatura dell’Anci: “E’ inadeguato il numero dei sindaci previsto nel nuovo Senato delle Regioni e non è corretto il metodo di elezione che passa attraverso i Consigli regionali”, ha detto Piero Fassino, secondo cui 21 sindaci sono troppo pochi “rispetto a più di 8mila Comuni rappresentati”.

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