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Pensioni, esodati immaginari ed egoismi indecenti: quando i padri rapinano i figli

Il senatore Ichino sostiene che oggi gli esodati non esistono più e che appellarsi a loro è solo un indecente sotterfugio per difendere egoismi generazionali e picconare la riforma delle pensioni – E’ un po’ come se i cinquanta-sessantenni, che molto hanno avuto nella lotteria della vita, continuassero a truffare i loro figli che una pensione se la sognano

Pensioni, esodati immaginari ed egoismi indecenti: quando i padri rapinano i figli

Si può condividere o meno l’orientamento di Pietro Ichino sulle pensioni, ma bisogna riconoscere che il senatore di Scelta Civica ha il coraggio di parlare con chiarezza il linguaggio della verità, anche a costo di sostenere posizioni ruvide e spesso impopolari.

Sul “Corriere della sera” di ieri Ichino ha preso di petto un equivoco, che circola da mesi e che sta minando dalle radici l’efficacia della riforma Monti-Fornero, come quello dei cosiddetti esodati che sono all’origine delle troppe deroghe che il Parlamento sta votando a getto continuo picconando di fatto la riforma. L’opinione di Ichino è tranchant: “Tra coloro che si qualificano come esodati non ce n’è più uno che possa essere indicato secondo il significato originario del termine”. Gli esodati non ci sono più. Perché – spiega il giuslavorista – “i provvedimenti di salvaguardia adottati nel 2011 e 2012 hanno esentato dall’applicazione dei nuovi requisiti per il pensionamento tutti coloro che avessero perso il lavoro prima della riforma per effetto di un accordo individuale o collettivo di incentivazione all’esodo, stipulato in considerazione di un prossimo pensionamento seconda la vecchia disciplina”. Inoltre “sono stati poi salvaguardati anche tutti i lavoratori licenziati negli anni 2007-2011, i quali fossero destinati a maturare i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole entro tre anni dalla riforma, cioè entro il 2014”.

In altre parole, gli ultracinquantenni che restano oggi senza lavoro non possono essere considerati come esodati da proteggere con un anticipo della pensione a cui non hanno ancora diritto, perché questo vorrebbe in realtà dire abrogare la riforma. Più semplicemente si deve parlare di disoccupati a cui, se ci sono i mezzi, attribuire un’indennità ma non una pensione. Se invece tra politici compiacenti e di corte vedute prevalessero gli atteggiamenti lassisti che portano a minare, deroga dopo deroga, la riforma, allora bisogna avere il coraggio di dire che concedere la pensione anticipata a cinquantenni e sessantenni rimasti senza lavoro significa accollarne colpevolmente il costo “alle nuove generazioni che in pensione andranno a 70 anni o poco prima perché, con un’attesa di vita di oltre 80 anni, l’anzianità contributiva normale di 30-40 anni con cui si andava in quiescenza nei decenni passati non basta per il finanziamento di un trattamento decente destinato a durare 20 o 25 anni”.

L’importante è avere le idee chiare e compiere scelte coraggiose e non populiste anche in tema di pensione privilegiando, come è giusto che sia, le giovani generazioni. Diciamo le cose come stanno: nella lotteria della vita la generazione dei cinquanta-sessantenni ha avuto tre fortune invidiabili perché, a differenza dei padri o dei nonni, non ha conosciuto guerre, ha trovato un lavoro appena completati gli studi e può legittimamente attendersi una pensione con cui vivere dignitosamente. Tutto il contrario per i giovani d’oggi: è vero che finora non hanno conosciuto guerre perché l’esistenza dell’Europa ha evitato a Paesi come l’Italia di fare la fine tragica della ex Jugoslavia ma quando finiscono di studiare i giovani d’oggi non trovano facilmente lavoro e soprattutto non avranno mai una pensione.

Non è morale che l’egoismo dei cinquanta-sessantenni, che già molto hanno avuto dalla vita anche se hanno fatto di tutto per lasciare alle generazioni future un avvenire peggiore, diventi una nuova rapina dei propri figli e dei propri nipoti. Su questo punto è ora di avviare una battaglia culturale di chiarificazione che faccia intendere che il progressismo di oggi non equivale alla conservazione dei privilegi ma nell’esatto opposto. In maniera talvolta ruvida e forse discutibile Matteo Renzi ha rottamato pezzi di una vecchia classe dirigente, adesso è ora che rottami anche idee indecenti che congiurano contro le nuove generazioni e che sono sempre a carico di Pantalone.

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