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Pitruzzella (Antitrust): “L’economia su Internet? Molte opportunità, tanti rischi”

INTERVISTA DEL WEEKEND – Il presidente dell’Antitrust alza la guardia sul business digitale: “L’economia del XXI secolo è digitale, è un dato di fatto. L’innovazione è rapidissima e la concorrenza cambia fisionomia” – Cresce l’attenzione dell’Authority su Amazon, iTunes, Google, tutti finiti sotto il faro del garante e ora tocca a WhatsApp – Chiusi 174 siti di Made in Italy contraffatto.

Pitruzzella (Antitrust): “L’economia su Internet? Molte opportunità, tanti rischi”

Non è semplice fare il “cane da guardia” e ne sa qualcosa Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, l’autorità che vigila in Italia sulla concorrenza e le pratiche commerciali scorrette. Ma in epoca di economia digitale è un mestiere ancora più complesso perché il mercato è sempre più dinamico e in continua evoluzione. Natale non fa eccezione, anzi è proprio in questo periodo che si intensificano acquisti e transazioni sul World Wide Web: secondo i dati dell’Osservatorio eCommerce del Politecnico di Milano sono stati spesi 4,5 miliardi in acquisti online tra novembre e dicembre, con una crescita del 18% sul 2015. Si allarga la grande prateria di Internet, crescono le opportunità ma anche le insidie: le ultime istruttorie dell’Antitrust sono state tutte dedicate al digitale in un crescendo che ha portato l’Authority, dal 1° gennaio 2015 al 26 ottobre 2016, a superare i 517 milioni di sanzioni, buona parte delle quali dedicate appunto al variegato mondo di Internet. L’escalation non risparmia i “grandi fratelli” del Web come Google, Amazon, Facebook la cui scala è planetaria, ma non mancano gruppi e aziende di dimensione nazionale o internazionale: in ordine di tempo, i più recenti ad essere finiti sotto controllo sono l’Aci sanzionata con 3 milioni per gli extra-costi addebitati sui pagamenti online con carte o bancomat; le Ferrovie dello Stato (l’istruttoria è in corso) per la biglietteria online; Ticketone (anche questa ancora in corso) per il bagarinaggio su Internet.

Gruppi agguerriti, tecniche innovative, è cambiato il livello e la tipologia delle controversie. “Prima ce la vedevamo con Vanna Marchi – è una battuta che circola nel palazzo della concorrenza – ora con WhatsApp” che, infatti, è incappato in una doppia istruttoria tutt’ora in fase di definizione. Una sfida continua per gli uomini dell’Antitrust che hanno a disposizione due armi: le sanzioni, fino a un massimo di 5 milioni per le pratiche commerciali scorrette o fino al 10% del fatturato in caso di violazioni alla concorrenza; oppure gli impegni e i giudizi sulla loro ottemperanza o meno. L’Antitrust si autofinanzia (sono le aziende a pagare i costi), il frutto delle multe finisce invece in un capitolo di bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico. A breve il garante italiano sarà il primo in Europa presente sui tre canali social: Facebook, Twitter e YouTube. Nuovi mezzi per comunicare attività e obiettivi: “Puntiamo al benessere complessivo del consumatore e all’efficienza complessiva del mercato”, sintetizza Pitruzzella.

Siti perfettamente simili a quelli dei grandi marchi come Nike, Gucci, Hogan, Moncler ma che invece vendono prodotti fasulli; telecomunicazioni e energia flagellate da clausole poco trasparenti, teleselling corsaro; costi non previsti o comunque nascosti. Presidente Pitruzzella, cosa sta succedendo su Internet: non è più l’isola felice che ci aspettavamo?

“Partiamo da questo dato di fatto: l’economia del XXI secolo è l’economia digitale. Viviamo la quarta rivoluzione industriale e questo cambia non solo i meccanismi economici ma anche i rapporti sociali e la politica. Vediamo il lato positivo: l’economia digitale porta con sé un aumento delle opportunità per i consumatori; l’e-commerce ci consente un panorama di scelte che prima non avevamo. Però tutto ciò porta con sé rischi nuovi: dobbiamo evitare che si formino nuovi monopoli e contrastare le nuove insidie per i consumatori che, di fronte a questo processo tecnologico così rapido e al cambiamento delle modalità di consumo, si trovano più sprovveduti che se si recassero in un negozio tradizionale dove sono in grado di padroneggiare meglio le dinamiche di acquisto”.

Il problema si pone su più livelli, anche transnazionali nel caso dei colossi over the top. Una posizione assolutamente dominante che dieci anni fa non era immaginabile. L’Antitrust europeo è sceso in campo ma le ricadute sono anche nazionali…Proprio lei ha parlato di “innovazione distruttiva”.

“L’innovazione è rapidissima e la concorrenza cambia fisionomia, il nuovo innovatore elimina il vecchio monopolista e ne prende il posto. Un tempo il confronto era con Ibm o Microsoft, oggi è con Google, Facebook, Amazon. Occorre allora fare in modo che il processo continui ed evitare che la nuova posizione conquistata dal neo-monopolista venga utilizzata per impedire l’ingresso nel mercato di nuovi operatori. E’ fondamentale la cooperazione internazionale: l’abbiamo utilizzata, per esempio, collaborando con le Autorità di Francia e Svezia nei confronti di Booking.com, la piattaforma di prenotazione alberghiera che attraverso una clausola specifica imposta agli esercenti, bloccava la capacità concorrenziale di altre piattaforme”.

L’Antitrust chiede modifiche ai comportamenti scorretti, ma poi che succede, si adeguano?

“Nella maggior parte dei casi sì, altrimenti rischiano sanzioni pesanti, di diversa intensità a seconda dei casi. L’ottemperanza alle nostre richieste viene comunque monitorata; se serve, anche per anni”.

E’ un po’ come l’Idra di Lerna dalle molteplici teste. La partita non è mai chiusa.

“Il mercato ha le sue intemperanze e lasciato a se stesso finisce per debordare. E’ strutturale questa tensione costante e conta che ci sia un’Autorità Antitrust che riconduca le aziende nell’alveo fisiologico. Non è facile: in un’economia in cui la tecnologia è un elemento basilare, occorre inseguire l’innovazione anche di business. Si interviene in un settore, ne emerge un altro. Ci confrontiamo con una realtà estremamente dinamica, quel che conta però è diffondere la consapevolezza, tra le aziende, che ci sono regole di concorrenza da rispettare, non si scappa. E’ un tema delicato in un Paese come il nostro, abituato a proteggere privilegi e rendite di posizione”.

Eppure le recidive, se così si possono chiamare, sono costanti. Prendiamo le telecomunicazioni: la logica di marketing sembra digerire senza troppe difficoltà sanzioni e richiami dell’Antitrust, da Telecom Italia agli altri operatori, senza eccezioni.

“Le telecomunicazioni sono la spina dorsale dell’economia digitale che si sviluppa proprio su queste reti. E’ un settore in cui abbiamo deciso interventi forti: nei confronti di Telecom Italia con una sanzione da 100 milioni di euro perché non consentiva parità di accesso ai propri concorrenti sulla rete in banda larga. Su questa vicenda è aperta una procedura per inottemperanza la cui decisione è ormai imminente. Abbiamo sanzionato anche i principali operatori di telefonia mobile – Tim, Vodafone, Wind e H3G – per 1,7 milioni complessivamente in quanto non avevano predisposto meccanismi di salvaguardia idonei ad evitare che scaricando App presentate come gratuite venissero invece addebitati ai clienti servizi premium a pagamento”.

In pratica i gestori sono stati ritenuti responsabili per App, non loro, ma che non avevano sufficientemente controllato. Questo richiama il problema dei contenuti pubblicati sui social network. E’ di pochi giorni fa il ricorso dei familiari delle vittime della strage di Orlando che hanno denunciato Twitter, Fb e YouTube per aver fornito “supporto materiale” all’Isis.

“E’ un tema epocale. Abbiamo adottato una decisione nei confronti di Amazon in quanto non rendeva chiaro quanto fosse responsabile per i prodotti venduti da altri sulla sua piattaforma. Ma il tema è più ampio e coinvolge il concetto di hosting provider: si limita a ospitare contenuti senza avere responsabilità editoriali oppure no? La questione si estende anche all’informazione e ai tanti contenitori, come Google News, che offrono notizie elaborate da altri. In molti si chiedono se non si debba andare verso una loro maggiore responsabilizzazione. E’ un problema del futuro ma è una questione centrale, l’informazione è il fulcro della democrazia”.

Per concludere questa carrellata sull’anno che si sta per concludere: la sharing economy non può esistere senza internet. Concorrenza leale o sleale? E cosa pensa del lavoro fatto dall’Antitrust europeo sui canali di distribuzione selettiva adottati dai marchi del lusso, quelli veri: limitano la concorrenza o tutelano la qualità?

“La sharing economy non può essere fermata, amplia le possibilità di scelta dei consumatori ma, nel caso di Uber o Airbnb, comporta costi per altre categorie: alberghi e taxi. Bisogna creare un campo da gioco paritario ma è sbagliato pensare di estendere le vecchie regole, anche fiscali, ai nuovi settori. Ci ha provato la Regione Lazio con un regolamento con tali e tanti adempimenti burocratici da bloccare sul nascere le nuove attività. E’ per questo che lo abbiamo impugnato davanti al Tar che lo ha dichiarato illegittimo. Quanto al Made in Italy, l’Autorità ha oscurato 174 siti che vendevano prodotti contraffatti. C’è però un’altra questione che riguarda i grandi marchi del lusso, quelli veri, e i loro canali di distribuzione selettiva su Internet: in genere cercano di evitare che i loro prodotti siano venduti sui siti web e preferiscono utilizzare distributori con determinati standard ma ciò può creare problemi di concorrenza e riduce il confronto sui prezzi. Ci stiamo lavorando. L’indagine Ue sarà un utile base di partenza, ne riparliamo a indagine conclusa”.

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