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Nella Champions League dell’attrattività di giovani talenti nessuna regione italiana è testa di serie

Nove regioni italiane si collocano in terza fascia, otto in quarta e quattro nell’ultima fascia, una sorta di girone dantesco. Questo il verdetto del RAI (Regional Attractivness Index) elaborato dalla Fondazione Nord Est sulla base di 26 parametri raggruppati in cinque aree.

Nella Champions League dell’attrattività di giovani talenti nessuna regione italiana è testa di serie

Negli undici anni 2011-2021 l’Italia ha perso oltre 111mila giovani laureati under 40 a favore degli altri Paesi. Cosa rende meno attrattive le regioni italiane? Questa domanda ha dato il là a un nuovo lavoro della Fondazione Nord Est. Il confronto con gli altri indici disponibili e il focus sull’attrattività dei giovani (che è uno dei principali filoni di ricerca della Fondazione Nord Est) ha portato a costruire un indice originale di attrattività regionale, e a battezzarlo RAI (Regional Attractivness Index). L’indicatore è calcolato su base regionale e favorisce un confronto europeo lungo l’idea che la Fondazione ha proposto da tempo, utilizzando un paragone calcistico, che le regioni italiane debbano giocare la Champions League, più che accontentarsi di vincere il Campionato italiano. Solo nella lega europea, infatti, si colgono appieno i divari strutturali e le carenze competitive territoriali che frenano lo sviluppo italiano.

Come è costruito il RAI?

La ricerca ha condotto a selezionare 26 variabili che spiegano le differenze di effettiva attrattività di giovani. Queste variabili sono state selezionate in base a cinque grandi forze attrattive. La prima è Enable, cioè l’abilitazione economica, che si esprime nella ricchezza (PIL pro-capite e sua distribuzione) e nella facilità o difficoltà a trovare lavoro (vari tassi disoccupazione). La seconda è Attract, ed esprime l’effettiva attrattività (espressa dalla presenza di persone con altra nazionalità) e la capacità di innovare, osservata indirettamente, in quanto lo scopo è di attrarre talenti. La terza è Grow e considera il potenziale innovativo dato dagli occupati in attività di frontiera. La quarta è Retain, cioè trattenere le persone attraverso il riconoscimento del merito, che passa attraverso la trasparenza ed è negato dalla corruzione. La quinta e ultima è Global-Knowlegde-Skills, ossia l’intensità della presenza di persone con elevate competenze ma anche la facilità di muoversi, che permette a chi ha talento di ridurre i tempi di viaggio per raggiungere le regioni e spostarsi più facilmente, e la presenza di una cultura imprenditoriale evoluta che brevetta le innovazioni e crea marchi riconoscibili e quindi attrattivi.

Ciascuna variabile è stata poi ricalcolata in modo da farle assumere un valore compreso tra zero e cento e le è stato attribuito un peso calcolato con diverse metodologie.

Quali sono i Paesi più attrattivi?

Nell’ordine, Lussemburgo (che è un caso speciale e poco significativo), Paesi Bassi e Svezia; seguiti da Irlanda, Germania, Danimarca, Austria, Slovenia e Belgio. L’Italia è su un gradino più basso ed è caratterizzata da una forte dispersione di risultati regionali, che rispecchia il grande divario nei livelli di attrattività di talenti tra le regioni del Nord e quelle del Sud, in cui le differenze di reddito tra le due aree giocano un ruolo rilevante: il basso reddito è un fattore importante che spinge ad andarsene a cercare migliori opportunità altrove.

L’effetto capitale

Un’analisi più approfondita dei dati fa emergere l’effetto capitale. Molte delle regioni più attrattive ospitano la capitale, un’area che normalmente vede un’alta concentrazione di attività economiche e quindi anche di opportunità. È il caso delle già citate regioni che ospitano Stoccolma e Parigi ma anche dell’Área Metropolitana de Lisboa in Portogallo, della Comunidad de Madrid in Spagna, di Helsinki-Uusimaa in Finlandia, di Bratislavský kraj in Slovacchia e di Warszawski stołeczny in Polonia.

Nessuna italiana in fascia alta

A seconda del punteggio RAI, le regioni europee sono state suddivise in cinque grandi gruppi: le tre migliori, con RAI oltre 60, Stockholm, l’Ile-de-France (Parigi) e l’Oberbayern (la regione tedesca in cui si trova Monaco di Baviera); la seconda fascia conta 23 regioni con un RAI tra 50 e 60. In nessuna delle due c’è un’italiana, ma undici tedesche, tre olandesi e due belghe; il nocciolo duro dell’Europa (da cui lo UK si è autoescluso).

In terza fascia, con RAI tra 40 e 50 ci sono 79 regioni europee, di cui 11 tedesche, 9 italiane (Lombardia, Veneto, Lazio, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Liguria e Umbria in ordine di RAI decrescente) e 7 olandesi. Nella quarta fascia (RAI tra 30 e 40) ci sono molte regioni della Francia, della Spagna, della Polonia e otto dell’Italia, quasi tutte del Centro-sud (Toscana, Marche, Provincia Autonoma di Bolzano, Abruzzo, Molise, Sardegna, Basilicata e Puglia).

In ultima fascia ecco le rimanenti quattro italiane: Valle d’Aosta, Campania, Sicilia e Calabria.

Dove agire di più

La distanza tra le regioni europee migliori e quelle italiane del Nord-est è significativa. Non tanto per livello e distribuzione del reddito, che anzi sono non lontani da quelli delle aree di testa. E nemmeno per la qualità delle istituzioni. Quanto per il basso numero di laureati rispetto alla media europea, per la ridotta quota di lavoratori impiegata in settori creativi e di lavoratori della conoscenza e per la minor produzione di marchi e brevetti, quest’ultima effetto più dell’arretratezza della cultura imprenditoriale che della dimensione delle imprese. Anche per quanto riguarda le infrastrutture e la connettività via terra e aereo Triveneto+Emilia-Romagna perdono posizioni rispetto alle migliori regioni europee.

Quindi, istruzione più elevata, migliori infrastrutture per la mobilità e maggiore ricerca e brevettazione e brandizzazione sono gli ambiti in cui è più urgente intervenire per evitare di aumentare ulteriormente il divario con le più performanti regioni europee e riguadagnare competitività e, conseguentemente, la capacità di formare e trattenere talenti, impiegati in settori a più elevato valore aggiunto. Ricerca, brevetti e marchi aziendali chiamano in causa direttamente le imprese e le loro politiche di sviluppo.

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