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L’economia mondiale cresce ma il ritmo rallenta: analisi degli ultimi dati Fmi

FOCUS BNL – L’ultimo outlook del Fondo monetario internazionale conferma che l’economia mondiale continua a crescere ma il ritmo rallenta: il tasso di sviluppo torna vicino a quel 3% che rappresenta la media di lungo periodo dalla fine della Seconda guerra mondiale, indicato come soglia d’attenzione – Nel 2009, comunque, la variazione era stata negativa.

L’economia mondiale cresce ma il ritmo rallenta: analisi degli ultimi dati Fmi

Il Mondo continua a crescere. Lo conferma il nuovo “outlook” del Fondo monetario internazionale. Ma la marcia rallenta. Al netto di inflazione, il tasso globale di sviluppo torna ad avvicinarsi a quel tre per cento che rappresenta la media di lungo periodo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e che anni fa veniva indicato come soglia di attenzione al di sotto è bene non andare. Oggi il Fondo monetario avverte che rischi di ulteriore peggioramento – i cosiddetti “downside risks” – ci sono e sono importanti. C’è una probabilità su sei di scendere al di sotto del due per cento nella crescita del PIL mondiale in quella che diventerebbe una sorta di sindrome pre-recessiva a livello planetario. Per memoria, e per non indulgere in eccessivo pessimismo, andrebbe però ricordato come nel 2009 la variazione in volume del prodotto interno lordo globale scese addirittura in territorio negativo con un calo annuo di mezzo punto percentuale. Da quel punto di minimo il Mondo si è comunque ripreso.

Nel 2008-09 il problema di crescita del Mondo si radicava nella bolla del debito privato, i mutui sub-prime, tanto per cominciare. Oggi il nodo da sciogliere appare quello degli eccessi di debito pubblico. Cambia anche la geografia della crisi. Se nell’autunno del 2008, con il tracollo di Lehman, il focus era sugli Stati Uniti e sulla finanza privata americana, nell’autunno del 2012 l’epicentro della crisi si radica in Europa: anzi, nel sud dell’Europa, in quella nuova geografia che i rapporti autunnali del Fondo monetario internazionale vanno a introdurre per la prima volta nella loro storia. La geografia di una “periphery”, una periferia europea, che si contrappone a un “core”, il nucleo dell’area dell’euro. Membri della periferia, nelle tante tabelle e nei molteplici grafici presentati dal Fondo, sono l’Italia, la Spagna, l’Irlanda, il Portogallo, la Grecia, e anche Cipro. Componenti del nucleo sono invece la Germania, la Francia, i Paesi bassi, il Belgio, l’Austria, la Finlandia e tutti i paesi rimanenti dei diciassette, Malta compresa.

Il lessico conta. Etimologicamente, periferica è la linea che gira tutto intorno, la circonferenza che racchiude il cerchio, ma anche che ne giustifica l’esistenza. Non c’è cerchio senza circonferenza. Così non può esservi moneta unica senza una saldatura forte tra tutte le parti dell’eurozona. Bene, quindi, è non drammatizzare la messa in periferia dell’Italia. Anche perché, al di là delle parole, ciò che contano sono i numeri. E i numeri che continuano a rendere debole la situazione italiana non sono tanto quelli degli spread, dei rating e dello stesso debito pubblico. Sono invece i numeri della crescita.

Fatto cento il dato del 2007, nel 2012 il PIL italiano si attesterà a quota 93, sette punti sotto. Secondo le previsioni del Fondo, di questi sette punti perduti l’Italia ne recupererà quattro nei prossimi cinque anni. Nel 2017 il PIL reale dell’Italia sarà tre punti sotto il volume del 2007. Nel 2017 il PIL reale della Germania, ma anche quello del Belgio, saranno dieci punti sopra il dato del 2007. Nel medio termine il difetto di crescita dell’Italia non potrà essere aggravato da eventuali eccessi nelle manovre di compressione dei conti pubblici. Importante sarà cercare un punto di equilibrio. La direzione dovrà essere quella peraltro indicata dallo stesso Fondo monetario: “(…) economies in the periphery must continue to adjust at a pace they can bear” ovvero “le economie nella periferia devono continuare a risanare i conti pubblici ad un ritmo che esse possano sopportare”. La differenza è fondamentale. Si tratta di perseguire la sostenibilità, che è rigore più crescita, e non la sola stabilità.

Dove può l’Italia trovare la crescita? Innanzitutto fuori dai confini dell’area euro, rafforzando i legami con le economie “emergenti” che continueranno a crescere. Su questo aspetto le proiezioni del Fondo monetario sono confortanti. La fase di rallentamento del ciclo cinese è transitoria. In Cina, in Brasile, in India gli spazi per politiche anticicliche sono ampi. E’ però iniziato un processo di transizione del modello di sviluppo, specie della Cina, con più consumi privati e meno investimenti industriali. E’ una crescita che cambia pelle, ma che continua. Fuori dai confini dell’Eurozona sono ancora tanti e importanti i contesti in cui i segni più prevalgono sui meno. Se facciamo cento i valori del 2012, le nuove proiezioni del Fondo monetario internazionale ci dicono che il PIL della Cina potrebbe salire a 150 entro il 2017. India, Indonesia e Vietnam cresceranno di una quarantina di punti. Brasile e Turchia di oltre venti. E così via.

L’Italia è un paese che annualmente vende al Mondo esportazioni per 630 miliardi di dollari. Certo, sui conti dell’export la Germania fa due volte più di noi. Ma dopo i tedeschi, per dimensioni e per dinamica, la capacità esportatrice dell’Italia si colloca ai livelli di protagonisti di assoluto rilievo del “core” europeo quali sono la Francia e i Paesi Bassi. Dalla geografia dell’export e dal rilancio della competitività occorre ripartire per fare più crescita. Dalla periferia dell’Europa essere più vicini al Mondo che cresce.

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