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Grugliasco: quando anche la Fiom disse sì a Marchionne

Ecco la storia dello stabilimento torinese, dove oggi si fabbricano le auto Premium di Fca, rilevato nel 2009 quando era in amministrazione straordinaria. La nuova visione industriale di Marchionne lo ha trasformato e rilanciato. E il sindacato disse sì. Oggi ha più di 2000 dipendenti e produce le Maserati Quattroporte e Ghibli

Grugliasco: quando anche la Fiom disse sì a Marchionne

Oggi il maggior centro di produzione delle autovetture Premium di FCA, le Maserati, è lo stabilimento torinese di Grugliasco, che Fiat rilevò nell’agosto del 2009 dalle ex Carrozzerie Bertone, in amministrazione straordinaria, permettendo il suo rilancio ed il ritorno al lavoro dei 1100 lavoratori che erano in cassa integrazione a zero ore da oltre cinque anni.

Lo stabilimento di Grugliasco, già concepito dalla Bertone per la produzione di vetture sportive e di nicchia, era la location ideale, una volta ristrutturato, per poter gestire in piena autonomia la produzione di vetture di alta gamma come le Maserati.

Il progetto industriale, grazie alla vicinanza tra Grugliasco e Mirafiori, meno di 5 Km, prevedeva inoltre sinergie tecnologiche e logistiche tra i due stabilimenti creando un polo di produzione automobilistica di vetture Premium, una vera e propria “boutique del lusso automobilistico”.

L’obiettivo di Marchionne, grazie anche all’apertura del mercato americano con l’acquisizione della Chrysler, era di portare in breve tempo la produzione delle Maserati dai precedenti livelli di 5-6mila vetture anno di Modena alle oltre 50mila unità anno.

Per ottenerlo era però necessario riuscire ad integrare la filosofia handmade che aveva caratterizzato la produzione storica delle Maserati con un nuovo approccio industrial per migliorare radicalmente i processi tecnico-organizzatiivi e la vivibilità in fabbrica.

Una nuova visione industrial della fabbrica, di cui Marchionne in Fiat è stato l’artefice, in cui il lavoro pesante e ripetitivo è compiuto dai robot, il rumore è quasi totalmente assente, gli spazi sono ampi e luminosi, l’ergonomia è il pilastro dell’organizzazione del lavoro. Con la metodologia del WCM (World Class Manufacturing) la nuova visione industrial ha smantellato le tradizionali strutture gerarchiche e la complessità organizzativa, per definizione improduttiva e dannosa, sostituendole con una organizzazione che ha distribuito il potere decisionale in modo orizzontale a tutti i collaboratori (operai, tecnici, quadri) che sono i più adatti ad esercitarli ai vari livelli.

Per ottenere questi risultati erano necessarie nuove “regole di fabbrica” con il consenso sindacale e il coinvolgimento e la partecipazione dei lavoratori.

A novembre e dicembre 2009 Marchionne, come amministratore delegato della Chrysler, firma con i potenti sindacati dell’ auto di oltre atlantico (l’Union Auto Workers ed il Canadian Auto Workers) il primo piano industriale della sua gestione americana che prevedeva il lancio di 16 nuovi modelli di auto, un piano reso possibile da una drastica riduzione del costo del lavoro e dall’introduzione di maggiore flessibilità nell’orario di lavoro, nell’utilizzo delle ferie e dei congedi retribuiti. Gli accordi sindacali saranno sottoposti a referendum tra i lavoratori americani e canadesi ed approvati con maggioranze di oltre il 95 per cento.

Quando a Pomigliano, nel giugno del 2010, e a Mirafiori, nel dicembre dello stesso anno, per poter avviare la produzione dei nuovi modelli e garantire i livelli occupazionali,  si sottoscriveranno gli accordi che fissano le nuove “regole di fabbrica” soltanto con i sindacati metalmeccanici riformisti e partecipativi della Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fismic a fronte del rifiuto della Fiom-Cgil che aveva assunto una posizione antagonista e di totale rottura al tavolo sindacale, sarà lo stesso Marchionne a chiedere che gli accordi sindacali sottoscritti fossero sottoposti al vaglio referendario dei lavoratori interessati.

Saranno due referendum che avranno effetti “evocativi” nel sistema delle relazioni sindacali non solo dell’azienda ma del sistema paese.

Negli anni successivi, nei momenti di tensione a diversi tavoli sindacali territoriali o aziendali, il ricorso ai lavoratori con un referendum come in Fiat sarà richiamato più volte per minaccia o per timore.

Al referendum di Pomigliano Marchionne, e con lui molti dei componenti del GEC (Group Executive Council), il comitato decisionale composto dai massimi vertici Fiat, era convinto che l’accordo sindacale venisse approvato dalla stragrande maggioranza dei lavoratori, come in Chrysler.

Nella notte del 22 giugno 2010, quando gli comunicai da Pomigliano (all’epoca ero il responsabile delle relazioni industriali di Fiat Group Automobiles), i risultati finali che davano la vittoria del sì all’accordo con il 63%, per molti minuti lo sentii, per usare un eufemismo, “molto irritato”. Gli ricordai peraltro che era la prima volta che in Fiat veniva approvato un accordo sindacale mediante referendum con un così ampio margine di sì, anzi nella maggior parte dei casi venivano bocciati, come, ad esempio, non più tardi di un anno prima i lavoratori delle Meccaniche di Mirafiori avevano cassato l’accordo sindacale che istituiva nuovi turni di lavoro, accordo che era stato sottoscritto da tutti i sindacati, compresa la Fiom-Cgil.

Giorgio Giva e Sergio Marchionne
(Giorgio Giva e Sergio Marchionne)

Sei mesi dopo fu così considerato un successo la vittoria dei sì al referendum di Mirafiori, anche se i voti favorevoli superarono a mala pena il 54% del totale dei lavoratori e, tra gli operai, i sì vinsero con uno scarto di appena 9 schede.

La stagione referendaria si concluse a Grugliasco nel maggio successivo.

A differenza degli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori dove la Fiom era in netta minoranza, sia in termini di iscritti che di rappresentanti sindacali, rispetto agli altri sindacati metalmeccanici, lo stabilimento di Grugliasco delle ex Carrozzerie Bertone era una delle roccaforti fiommine dell’area torinese con la sua maggioranza “dominante” di oltre 700 iscritti su 1100 lavoratori e 10 rappresentanti sindacali su 15.

Il progetto di ristrutturare lo stabilimento con un investimento di oltre 600milioni di euro e rilanciare la produzione con l’ allocazione delle nuove vetture Maserati non poteva prescindere peraltro dall’ applicazione anche ai lavoratori di Grugliasco di quanto previsto dagli accordi di Pomigliano e Mirafiori, i cui punti essenziali, ricordiamo, prevedevano il massimo utilizzo impianti con il passaggio graduale a 18 turni, un plafond aggiuntivo di 120 ore annue di straordinario, la riduzione di 10 minuti delle pause di lavoro passando da 40 a 30 minuti nell’ arco delle 7h,30’ di lavoro giornaliero, lo spostamento della mezz’ora di mensa a fine turno, l’adozione di misure per contrastare l’ assenteismo, le clausole di responsabilità in caso di sciopero.

Le posizioni di ambo le parti, Fiat e Fiom, apparivano in partenza inconciliabili.

Per la Fiat cedere eccessivamente alle richieste sindacali della Fiom, che proponeva una propria piattaforma organizzativa per la ripresa della produzione, comportava evidentemente il rischio di dovere poi ricontrattare con gli altri sindacati metalmeccanici quanto ottenuto a maggioranza a Mirafiori e Pomigliano.

La Fiom torinese era peraltro consapevole che se non si fosse arrivati in tempi brevi all’ accordo, la Fiat avrebbe abbandonato il progetto ed avviato la ricerca di una nuova allocazione per l’investimento, dove la Fiom era in minoranza. Si paventava inoltre che la Fiat restituisse la ex Bertone all’ amministrazione straordinaria.

Restava invalicabile la questione delle clausole di responsabilità che per la Fiom ledevano il diritto costituzionale di sciopero.  Anzi, proprio durante le fasi della trattativa, la Fiom Nazionale presentava al Giudice del Lavoro di Torino un ricorso ex art.28 Statuto dei Lavoratori contro la Fiat per la presunta antisindacalità degli accordi di Pomigliano e Mirafiori (ricorso comunque rigettato dal Giudice nel luglio successivo).

Marchionne mi chiese comunque di trovare una soluzione che coinvolgesse in qualche modo anche la Fiom, perché sarebbe stato impossibile realizzare il progetto Maserati a Grugliasco senza il consenso del sindacato con il maggior numero di iscritti tra i lavoratori.

La soluzione fu trovata con la rappresentanza sindacale aziendale a livello unitario: la bozza di accordo presentata dall’ azienda, che richiamava in toto i punti dell’accordo di Mirafiori, sarebbe stata presentata dai rappresentanti sindacali all’ assemblea dei lavoratori e sottoposta a votazione mediante referendum.

All’ assemblea dei lavoratori anche i rappresentanti sindacali della Fiom si spesero per il sì all’ accordo, con la Fiom che confermava che la decisione definitiva spettava ai delegati sindacali: una posizione che qualcuno definì come “Fiom a geometria variabile”.

Il 2 maggio 2011 con una percentuale plebiscitaria vicino al 90% – 886 sì su 1010 votanti – i lavoratori della ex Bertone dissero sì per far ripartire le linee della fabbrica di Grugliasco.

Due giorni dopo, venne firmato, presso l’Unione Industriale di Torino, l’accordo con i rappresentanti sindacali aziendali, compresi ovviamente quelli della Fiom in maggioranza, che garantiva le condizioni necessarie per dare il via libera al piano di investimenti previsti dal progetto.

Lo stabilimento di Grugliasco è stato intitolato all’ avv. Gianni Agnelli con l’acronimo AGAP (Avv. Gianni Agnelli Plant) ed oggi conta più di 2000 dipendenti che producono le Maserati Quattroporte e Ghibli.

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