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Elettricità, riforme al bivio tra efficienza ed equità

DA “RIFORME ELETTRICHE”, IL MULINO – “Finora i risultati sono di segno positivo ma ancora lontani dalle aspettative iniziali, soprattutto su due versanti: la dinamica dei prezzi e l’insoddisfacente dinamica degli investimenti” – Il difficile equilibrio tra Stato e mercato – La tutela dei consumatori ha portato a conservare forme di regolazione del mercato

Elettricità, riforme al bivio tra efficienza ed equità

Elettricità, una utility indispensabile per la vita dell’uomo. Tanto quanto l’acqua se è vero che senza elettricità non c’è progresso e miglioramento della qualità della vita. Il mercato elettrico, oltre sette anni dopo la piena liberalizzazione decisa nell’Unione europea nel 2007, dovrebbe fare nel 2015 un’ulteriore salto di qualità: diventare entro fine anno un mercato unico dell’energia in Europa. Si torna così a parlare di nuove riforme per adattare un mercato così strategico alle mutate esigenze di famiglie e imprese. E in Italia il governo sta valutando interventi innovativi, con la legge sulla Concorrenza, in grado di spingere la competitività del settore. “Riforme elettriche tra efficienza ed equità” (Il Mulino, 573 pagine, 42 euro) raccoglie il contributo di 34 economisti e studiosi, uno strumento utile per chi dovrà valutare le prossime scelte. Il volume è curato da Stefano Boffa, Stefano Clô e Alberto Clô del quale pubblichiamo, qui di seguito, ampi stralci tratti dalle”Conclusioni niente affatto conclusive” con le quali si chiude il libro.

Conclusioni niente affatto conclusive

“I risultati conseguiti dalle riforme elettriche, ma lo stesso potrebbe dirsi per quelle simmetriche nel metano, sono stati nel loro insieme di segno positivo, ma nondimeno in parte lontani dalle aspettative inizialmente alimentate. Due, in particolare, i versanti che non paiono aver pienamente superato la prova del mercato. In primo luogo, la dinamica dei prezzi, che pur nelle sensibili diversità riscontrabili nei singoli mercati nazionali, ha beneficiato più della regolazione nei segmenti in monopolio naturale (trasmissione e distribuzione) che del radicarsi nelle fasi potenzialmente concorrenziali (generazione e vendita) di un’effective  competition: capace di traslare una parte non marginale dei miglioramenti di efficienza sui prezzi all’ingrosso e, di qui, su quelli finali (Bernardini).(…) Anche se non ne deriva che le cose sarebbero andate meglio nei precedenti assetti monopolistici, «i processi di liberalizzazione hanno incontrato maggiori criticità in presenza di risultati attesi poco o per nulla accettabili a livello sociale» (Biancardi e Pagano).

 Secondo aspetto critico è la insoddisfacente dinamica degli investimenti, cartina di tornasole della capacità dei mercati di scontare le esigenze di lungo termine. Investimenti che sono risultati relativamente scarsi nella costruzione di nuova capacità di generazione, ove si escludano le sussidiate nuove risorse rinnovabili, e «piuttosto bassi e insufficienti rispetto alle necessità» (Boffa, Piacentino e Poletti) nel potenziamento e modernizzazione delle linee di trasmissione, sia interne, per renderle compatibili con la penetrazione della discontinua generazione distribuita, che transfrontaliere, per l’edificazione sia fisica che economica di un mercato unico. Nel panorama europeo il caso italiano, quanto a investimenti, risulta, peraltro, anomalo e virtuoso (almeno dal 2003): per il combinato disposto del market design pur faticosamente delineatosi e delle accorte politiche di regolazione adottate da un’Autorità indipendente istituita prima dell’avvio delle liberalizzazioni (Clarich e Sclafani) e della maggior parte degli altri paesi. Nonostante i progressi registrati nella gestione congiunta dei sistemi di trasmissione e nella cooperazione delle Autorità nazionali di regolazione (Napolitano e Cirielli), resta il fatto che l’Europa dell’Energia, retorica europeista a parte, rimane una sommatoria di mercati nazionali che riflettono taluni interessi comuni degli stati ed altri, da loro gelosamente difesi, divergenti se non conflittuali, specie nelle cruciali politiche estere di approvvigionamento. Duplice la conclusione. Primo: che l’approdo ad un Singolo Mercato Europeo dell’energia, ottimisticamente fissato per la fine del corrente anno, è ancora lontano dall’intravvedersi. Secondo: che le condizioni dei consumatori – che dalle riforme avrebbero dovuto trarre il maggior (pur se incerto) beneficio – non possono dirsi univocamente migliorate. Evidenziare questi limiti non significa disconoscere la portata storica di uno dei più grandi esercizi congiunti di riforma di un’industria, quale quella elettrica, immobile nei suoi assetti da molti decenni, cui gli stati hanno sempre riconosciuto una particolare valenza strategica, industriale, sociale. Significa, piuttosto, coglierne le ragioni e individuare gli strumenti idonei al loro superamento.(…)

Quale sia il punto di equilibrio tra stato e mercato – perché questo da sé non può bastare – è l’interrogativo di fondo che fronteggiano gli Stati europei. (…) Verso quale direzione far muovere  le decisioni, se non supportate dal mercato, di operatori divenuti privati, garantendo piena convergenza tra priorità politiche e priorità aziendali, è il compito di rinnovate strategie energetiche. Sua asse portante, nel quasi generale consenso degli autori, è il recupero da parte degli stati di una programmazione di lungo termine e del coordinamento delle decisioni assunte dai diversi soggetti, non potendo fare affidamento, come ci si era illusi accadesse, al solo market coordination (A. Clô; Finon e Roques; Thomas; Stern; S. Clô e Di Giulio; Cassetta e Monarca; Biancardi e Pagano).

Se le riforme di liberalizzazione hanno sortito esiti non univoci sul versante dell’offerta, permanendo posizioni di potere che hanno impedito il pieno dispiegarsi di un’effettiva concorrenza, risultati non pienamente soddisfacenti si sono avuti anche sul versante dei consumatori. I prezzi dell’elettricità dopo riduzioni nella prima fase post-liberalizzazione hanno conosciuto una generalizzata progressiva crescita, acuita, nei valori finali, dalla traslazione delle incentivazioni alle risorse rinnovabili (Bernardini). (..)

Il ritorno al centro delle loro preoccupazioni degli interessi dei consumatori, ha portato nella generalità dei paesi, ad un confronto – di cui questo volume dà ampio riscontro – sull’opportunità del permanere di forme di regolazione dei prezzi finali dell’elettricità, così che mercati «vengono lasciati al libero gioco della concorrenza e quindi consegnati alla sola tutela ex post delle autorità antitrust sul presupposto che la migliore regolazione sia quella che crea le condizioni per poter fare a meno di se stessa» (Clarich e Sclafani). Perché, si sostiene, la regolazione, per definizione, dovrebbe essere temporanea nei segmenti concorrenziali e strutturale solo in quelli fisiologicamente monopolistici. Perché, si conclude, si otterrebbero riduzioni considerevoli dei prezzi a beneficio dei consumatori minori. È indubbio che in queste affermazioni vi sia del vero. Lo è altrettanto il fatto che esse poggiano su due opinabili assunti, mentre sollevano un sottile dubbio.(…)

Il primo assunto è che il mercato finale possa ritenersi effettivamente concorrenziale. Quel che richiederebbe il verificarsi di diverse condizioni, al di là della numerosità degli operatori, quali: un’adeguata propensione al rischio dei consumatori; un’assoluta trasparenza/correttezza delle informazioni loro disponibili, così da contenerne le asimmetrie ed i costi di transazione nella confrontabilità delle offerte; una loro piena capacità di scegliersi il fornitore di un servizio, quale quello elettrico, non paragonabile ad altri servizi; non ultimo: un’adeguata tutela dei loro diritti di fronte ad inadempienze se non comportamenti ingannevoli dei fornitori (Vazio). Condizioni che non possono dirsi pienamente soddisfatte anche in ragione del fatto che «lo spazio per ottenere benefici dall’apertura alla concorrenza dell’attività di vendita al dettaglio è particolamente ridotto soprattutto per i clienti di minore dimensione», così che «è sufficiente prevedere la possibilità per i clienti finali di vedersi trasferire – senza l’applicazione di costi di transazione eccessivi – il prezzo all’ingrosso che si forma sul mercato per ottenere prezzi realmente competitivi» (Boschi). D’altro avviso Ranci, secondo cui: «compito delle autorità è quello di rendere più solida l’impalcatura del mercato libero e disegnare il percorso verso l’eliminazione del regime regolato, individuando le misure di accompagnamento» che aiutino il consumatore «a esercitare la libertà di scelta senza dover sopportare costi eccessivi [e] progredire verso una tutela più efficacemente basata sulla consapevolezza del consumatore, su comportamenti rispettosi da parte degli operatori, sulla trasparenza del mercato». (..)

Il secondo assunto, correlato al primo, è che il mercato libero, divenuto totalizzante nelle vendite finali, costituisca, di per sé, il miglior strumento di tutela dei consumatori. Vero, ma ancora più in teoria che nella realtà di un mercato, guardando a quello nazionale, che, a monte, è andato vieppiù rinsecchendosi, per il crescente peso delle rinnovabili nella generazione (40% nel 2013), e che, a valle, conta poco oltre la metà nella formazione della bolletta elettrica. Il sottile dubbio è che l’eliminazione del mercato tutelato offra la tentazione alle imprese fornitrici di migliorare i loro magri bilanci, manovrando al rialzo la leva dei prezzi per accrescere margini oggi irrisori. Quel che accadrebbe se ai circa 28 milioni di utenti fosse sottratta la possibilità di rifornirsi dal mercato tutelato, a prezzi, a detta dell’Autorità, talora inferiori a quelli offerti su quello libero. (..)

A queste argomentazioni, dovrebbero aggiungersi due altre considerazioni. La prima, è che i prezzi indicati dall’Autorità nel mercato tutelato non possono dirsi «prezzi amministrati», senza riferimento a quelli di mercato, giacché essi ne riflettono proprio le quotazioni all’ingrosso a cui l’Acquirente Unico – una sorta di grande consorzio di acquisto di consumatori – si approvvigiona per la metà dei suoi fabbisogni in competizione con altri operatori (Di Porto). (…)

Seconda ragione dell’accresciuto interventismo pubblico, è l’emergere in Europa – per i colpi di maglio della Grande recessione e dell’aumento dei prezzi energetici – di ampie e crescenti sacche di povertà energetica, una «nuova priorità sociale che deve essere combattuta a tutti i livelli nazionali ed europei», che attanaglia vulnerable consumers, impossibilitati ad acquisire servizi pur essenziali. Una povertà che non ha risparmiato il nostro paese in ragione della dinamica dei prezzi relativi, ma soprattutto dell’espansione dell’area di povertà (Miniaci, Scarpa e Valbonesi). Vale rammentare che Parlamento e Consiglio europeo avevano imposto agli Stati membri l’obbligo di garantire nell’elettricità il servizio universale, quale «diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a prezzi ragionevoli» e di adottare «misure adeguate per tutelare i clienti finali». Obblighi che, in entrambi i fronti, non può dirsi siano stati rispettati. (..)

L’auspicio è che il libero confronto di analisi, idee, proposte che ha motivato la pubblicazione di questo volume possa dar conto, da un lato, della grande complessità dei problemi che l’Europa si trova ad affrontare nella costruzione di un unico mercato dell’energia, nelle secche di una crisi economica che non sembra aver fine, e sia di ausilio all’individuazione delle scelte più oculate e lungimiranti per il nostro paese”.

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