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Autostrade, la rinazionalizzazione che illusione

Dopo il disastro del Ponte Morandi torna sulla scena l’ipotesi di rinazionalizzare le autostrade ma i costi e i rischi per i contribuenti non sono irrilevanti e non è affatto sicuro che scenderebbero le tariffe – In realtà servirebbero nuove regole e una forte Authority che controlli le concessioni: come all’estero

Autostrade, la rinazionalizzazione che illusione

Il recente dibattito sulle autostrade ha individuato nella rinazionalizzazione una potenziale soluzione ai mali che affliggono il settore. In verità, come vedremo, un dibattito maturo dovrebbe concentrarsi sul sistema delle regole che governano il rapporto tra concedente e concessionario. 

In teoria, la gestione delle autostrade potrebbe essere affidata ad un’impresa pubblica come accadeva anche in Italia prima della privatizzazione. Naturalmente rinazionalizzare ha un costo: al momento della scadenza della concessione, andrebbe riconosciuto ai privati il valore residuo degli investimenti sostenuti e non ancora ammortizzati.  Lo stesso principio vale per il sistema delle concessioni autostradali francesi. 

È poi vero che le imprese pubbliche possono applicare tariffe più basse? Si afferma spesso che un’impresa totalmente pubblica sarebbe in grado di indebitarsi a tassi inferiori al costo del capitale, con conseguente riduzione delle tariffe. Tuttavia, simile argomentazione è tutt’altro che pacifica.  Secondo diversi studiosi i rischi di un investimento pubblico scelto senza un’accurata analisi costi-benefici – o di un investimento mal costruito –  ricadono sui contribuenti che non sono remunerati per tali rischi. Se guardiamo la realtà, nel settore delle infrastrutture, la prassi di definizione del costo del capitale riconosciuto (WACC) per gli operatori pubblici astrae da ogni considerazione circa la proprietà: Il gestore idrico gallese, gli operatori dell’energia olandesi, e la stessa Rete Ferroviaria Italiana ricevono un WACC sulla base di una struttura finanziaria “di mercato”. Infine, per un monopolista pubblico, non sollecitato dagli stimoli della concorrenza, il passo dall’essere “benevolente” all’essere inefficiente è breve.  

Arriviamo così al ruolo della regolazione economica, vero caposaldo di un disegno del settore. La caratteristica di “monopolio naturale” delle autostrade richiede la presenza di una istituzione finalizzata al controllo delle tariffe e dell’efficienza dei gestori. 

Rispetto ad altri settori infrastrutturali, il modello di regolazione di tradizione anglosassone che prevede un’autorità indipendente per la definizione del metodo tariffario tarda ad arrivare, e non solo in Italia (il regolatore italiano è operativo ma non ha competenze sulle concessioni in corso). Le motivazioni di tale assetto andrebbero approfondite e hanno probabilmente anche una ragione storica, essendo tradizionalmente lo Stato il realizzatore delle infrastrutture stradali.  

Tuttavia, il ruolo delle autorità è cresciuto in molti paesi europei sul fronte del controllo della performance e dei rendimenti. In Inghilterra, è stato ritenuto necessario conferire nel 2015 maggiori poteri ad una autorità indipendente per il monitoraggio di Highways England. Fino al 2010, il sistema mostrava una pianificazione inadeguata e inefficiente. Oggi, Highways England deve raggiungere target di soddisfazione, riduzione degli incidenti, efficienza e condizioni della rete sulla base di “key performance indicator” coerenti con la strategia nazionale dei trasporti. In Francia, l’Autorità per la concorrenza ha segnalato dal 2013 l’eccessiva redditività delle concessioni stradali. Non a caso, nel 2015 è stata istituita una autorità con la responsabilità di analizzare annualmente il livello dei rendimenti. Senza dimenticare la crescente funzione di sorveglianza della Commissione europea che, anche nella recente occasione della revisione delle concessioni autostradali italiane, ha portato a una riduzione del tasso di remunerazione e garanzie di maggiore concorrenza per l’affidamento dei lavori.  

Il quadro regolatorio italiano è figlio di un processo di riforma disorganico e stratificato, che non vogliamo qui ripercorrere. L’effetto è stato un indebolimento della funzione di controllo tecnico, eterogeneità tariffaria e scarsa trasparenza. A prescindere dalla proprietà, ciò che conta è il sistema di regole con cui affidare, regolare e controllare le concessioni.  

Un primo passo sarebbe rafforzare i controlli tecnici da parte del concedente, sanare la frammentazione tariffaria individuando un nuovo set di regole (ad esempio, relativamente al riconoscimento degli investimenti e all’equilibrio del rischio commerciale tra operatori e utenti) da sottoporre ad ampia consultazione pubblica e su cui far convergere l’intero sistema autostradale. Sono principi apparentemente minimali ma in realtà delineerebbero un “cambiamento” significativo rispetto a prassi e regole attuali. 

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