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Spagna, Sanchez mina Psoe e Governo: nascerà un Macron spagnolo?

La riconquista del Psoe da parte di Pedro Sanchez sposta il partito su posizioni massimaliste e lo espone al rischio di una spaccatura con effetti destabilizzanti sul governo Rajoy – Ma in prospettiva potrebbe aprirsi uno spazio di centro sinistra: però servirebbe un leader che assomigli a Macron.

Spagna, Sanchez mina Psoe e Governo: nascerà un Macron spagnolo?

La vittoria di Pedro Sanchez alle primarie del PSOE, il partito socialista spagnolo, ha sollevato più di una preoccupazione. Si teme innanzitutto per la stabilità del governo Rajoy e per la riapertura di una lunga fase di stallo e incertezza politica. Ma c’è anche preoccupazione per il futuro del partito socialista spagnolo, un partito che in Spagna ha una lunga tradizione e cultura di governo, e che ora potrebbe essere spinto dalla leadership di Sanchez verso posizioni estremiste e populiste nel tentativo di superare Podemos e riaffermarsi come unico partito di riferimento della sinistra spagnola. Una corsa a sinistra che potrebbe determinare una spaccatura dello stesso PSOE, con il distacco della parte più “governativa” e moderata e con la deriva minoritaria della parte rimanente – preludio alla definitiva implosione del partito socialista così come abbiamo visto in Francia.

Naturalmente sono tutte ipotesi – abbiamo visto quanto può essere imprevedibile la politica oggi. Ma, viste le tensioni di questa campagna congressuale, e considerato lo stile di leadership piuttosto aggressivo e poco conciliante di Sanchez, la spaccatura potrebbe non essere un’ipotesi così remota, soprattutto se il PSOE dovesse davvero trovarsi davanti all’ipotesi di una alleanza con Podemos e le forze nazionaliste.

Eppure, per quanto possa spaventare, l’ipotesi di una spaccatura e persino una eventuale disgregazione del PSOE potrebbe avere anche effetti positivi, per la Spagna e per l’Europa. Da un lato, l’abbraccio dei populisti di Podemos con una fetta del vecchio PSOE (se funzionasse, perchè Podemos fa già fatica a tenere insieme le sue varie correnti ed è molto litigioso), potrebbe dare alla formazione di Pablo Iglesias quel minimo di cultura politica ed istituzionale che finora non ha mostrato di saper sviluppare. Dall’altro lato, si potrebbe creare uno spazio di aggregazione per tutte quelle forze liberal-democratiche desiderose di dare al Paese una politica più moderna mettendo mano ad alcune riforme necessarie sul fronte sociale ed istituzionale. Insomma, si potrebbe creare lo spazio per un Macron spagnolo – era quello che aveva provato a fare qualche anno fa Albert Rivera con Ciudadanos, ma senza riuscire a spaccare veramente i partiti tradizionali. Le cose potrebbero però cambiare in futuro.

Certo, nell’immediato non è semplice. L’anima più moderata del PSOE che si contrappone a Sanchez è appesantita da figure del passato (da Gonzalez a Zapatero) che rendono meno credibile la sua capacità (e reale volontà) di innovazione. E non si vedono figure nuove capaci di emergere in breve tempo. Susana Diaz, la candidata che ha perso contro Sanchez, ha dimostrato di non esserne all’altezza. Analogamente, la parte migliore del partito popolare fatica a far emergere figure nuove di fronte alla granitica presenza di Rajoy che tiene ancora in pugno il partito. Ma per quanto i vecchi leader possano dominare i loro partiti, fanno sempre più fatica a tenere in pugno l’elettorato, oggi più che mai imprevedibile e bisognoso di novità e credibilità.

Un bisogno che qualche anno fa prendeva la strada del populismo più distruttivo, ma che ora sembra accompagnarsi ad un bisogno di ricostruzione positiva. E’ questa esigenza, in fondo, che ha frenato gli estremisti e i nazionalisti in Francia, in Austria e in Olanda. E che potrebbe arrivare presto in Spagna, generando una forza di cambiamento positivo di cui il Paese, nonostante la ripresa economica, ha comunque molto bisogno.

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