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Nuovo Dpcm, la drammatica realtà e la disinvolta narrazione

Di fronte alla drammatica realtà di 900 morti al giorno, la presentazione del nuovo Dpcm che ha fatto in tv il premier Conte è parsa ragionieristica e senz’anima, oltre a contenere interventi discutibili

Nuovo Dpcm, la drammatica realtà e la disinvolta narrazione

Dall’inizio della pandemia, il 23 novembre scorso il numero di morti ha superato in Italia la soglia dei 50 mila. Come è stato scritto, quasi il doppio delle vittime civili durante la Seconda Guerra Mondiale. Ieri sono decedute 993 persone, mai così tante da quando il virus è arrivato nel nostro Paese. In contemporanea a quest’ultima, drammatica notizia, l’intervento del Presidente del Consiglio, ad annunciare l’ennesimo Dpcm.

UN ANNUNCIO SCONFORTANTE

Chi ancora crede nelle istituzioni si sarebbe atteso un discorso breve e di alto profilo. Il cordoglio per le vittime, prima di tutto, la volontà di onorarle intervenendo nel modo più risoluto possibile, l’annuncio di decisioni drastiche, seppure, probabilmente, impopolari. È accaduto qualcosa di molto differente, con una ragionieristica elencazione delle misure di compromesso strappate dopo l’ennesimo braccio di ferro con le Regioni.

La prima domanda da parte dei giornalisti, dopo il lungo intervento, ha riguardato la vicenda della scorta del Presidente del Consiglio, intervenuta a difesa della sua compagna assediata da una troupe televisiva. Potremmo terminare qui senza ulteriori commenti: la semplice cronaca è sufficiente a sconfortare gli animi anche dei più ottimisti, nel Paese e nel suo governo.

DECISIONI AMBIGUE

La situazione, tuttavia, è troppo drammatica per tacere ed è opportuno soffermarsi su alcuni punti. Innanzitutto, le decisioni assunte non sembrano in linea con le raccomandazioni dell’Ue, che suggerisce di prolungare le vacanze scolastiche e la didattica a distanza per creare un cuscinetto tra i contagi che potrebbero nascere nel periodo festivo e la ripresa della didattica in presenza. Il Dpcm, invece, prevede l’inizio della scuola il 7 gennaio per il 75% degli studenti, senza rendere noto se siano state prese misure di sicurezza, a cominciare dai mezzi di trasporto. Inutile, verrebbe da dire, invocare l’Europa solo quando fa comodo.

Il divieto di movimento tra regioni, fissato dal 21 dicembre al 7 gennaio, appare risibile. Sembra addirittura un invito alla grande fuga, come avvenuto nella prima fase della pandemia: partite tutti quattro giorni prima di Natale e tornate a inizi di gennaio. Ecco un modo per affermare un principio e smentirlo allo stesso tempo.

Come quello di tenere i ristoranti chiusi ma non a Natale, Santo Stefano e Capodanno. Perché? In quei giorni si è concordato che il virus non circolerà? Con questo Dpcm si è probabilmente sancito il prolungamento della pandemia, non una terza ondata, perché, purtroppo, la seconda non è mai terminata ma nessuno vuole dirlo.

Secondo il Presidente del Consiglio, l’Italia si sta avviando verso una grande zona gialla. Perché la pandemia è sotto controllo o per decreto? Come conciliare il numero crescente dei morti con i messaggi rassicuranti? E perché non vengono fornite statistiche su quanto accade ai malati di Covid? Le terapie intensive sembrano meno affollate della primavera scorsa, ma, viene da chiedersi, quante sono le persone malate che vengono tenute a casa e ricoverate solo quando è ormai troppo tardi?

Prendiamo tristemente atto che su una situazione così drammatica è stata creata una narrazione cinica, che cela l’incapacità di governare e l’intento, più o meno consapevole, di ingannare, colpevolizzare e alla fine assolvere chi le responsabilità dovrebbe assumerle. Due esempi per chiarire questo aspetto.

LA SCUOLA

Sulla scuola si è creata una singolare unanimità e un’incredibile ostinazione nel volerla tenere aperta, con giustificazioni che appaiono piuttosto sconcertanti. Si parla di generazioni perdute e di importanza fondamentale della didattica in presenza, sono stati usati toni che hanno fatto addirittura credere che l’istruzione sia la prima e assoluta priorità del Paese. Eppure, da oltre vent’anni, la scuola italiana è agli ultimi posti, tra i paesi dell’Ocse. Lo è in termini di investimenti, di età e di preparazione degli insegnanti, di risultati conseguiti dagli studenti.

Sono queste condizioni di carattere strutturale che hanno indebolito la posizione competitiva dell’Italia anche sotto il profilo economico e ciò continuerà ad avvenire, purtroppo, anche negli anni futuri, giacché l’istruzione non trova spazio adeguato in nessuna legge finanziaria. Non ci sono piani né idee di intervento.

E allora perché buttare in strada, all’improvviso, a settembre, senza orari scaglionati, senza piani di trasporti, senza regole unanimemente condivise e nel mezzo di una curva della pandemia che aveva ricominciato a crescere, otto milioni e più di studenti? Non sembra certo la prima e giusta mossa per rilanciare l’istruzione. E perché riaprirle il 7 gennaio? Si dice che la scuola è sicura, ma non viene fornito, come purtroppo accade sempre più spesso anche su tanti altri temi, alcun dato a supporto di tali affermazioni.

Ed è solo dalle cronache dei quotidiani locali che si legge di scuole che sono state chiuse, di studenti, docenti e personale non docente risultati positivi al Covid. Quanti saranno in tutto? Quante classi e scuole sono state chiuse da settembre? Queste informazioni non sono purtroppo note. E che dire delle migliaia di genitori che si assembrano davanti ai cancelli tutti i giorni?

Come tutte le grandi comunità la scuola è un brodo di cultura del contagio, amplificato dall’oggettiva difficoltà di mantenere il distanziamento, dalla formidabile occasione che viene offerta al virus di diffondersi, tramite le storie di contatto, di abitudini e attenzioni di tipo diverso delle famiglie, nei loro luoghi di lavoro e svago, che gli studenti portano incolpevolmente con loro nelle classi.

Insomma, la scuola è divenuta una mucca sacra e intoccabile, generando così anche moti di protesta, pasdaran della didattica, sotto sotto, premesse per movimenti o quanto meno atteggiamenti negazionisti. Sdoganata la scuola si è implicitamente dato il via libera a comportamenti che appaiono poco comprensibili nel contesto attuale.

C’era un’altra strada possibile, raccomandata da alcuni, inascoltati esperti. Quella di attuare un vero lockdown totale, di poche settimane, che avrebbe raffreddato il contagio, fatto salire da un’estate all’insegna della sregolatezza. Il periodo delle feste natalizie lo consentirebbe ancora. Ma è stato deciso diversamente.

In fondo, a volerlo, ci sarebbe sempre modo di recuperare qualche settimana di chiusura: quasi tre mesi di vacanza all’anno sembrano troppi a molti, anche confrontati con quanto accade all’estero. Ne sarebbero stati impattati meno anche gli operatori economici e in particolare gli esercizi commerciali.

L’ECONOMIA

Nel frattempo, è iniziata a circolare la parola ristori. Nel Dizionario Treccani leggiamo che significa compenso, risarcimento, oppure l’azione di ristorare le forze del corpo o quelle dello spirito, il fatto di ristorarsi o di venire ristorato. È questa l’azione più corretta quando le previsioni di caduta del Pil sono le peggiori d’Europa e lo scenario economico per il 2021 appare fosco? Non si è più sentito parlare del Piano Colao, liquidato in fretta, come pure degli Stati Generali dell’Economia tenutisi a giugno a Villa Pamphili.

Siamo ancora alla coniugazione italiana, fatta di compromessi e inefficienze, del modello Helicopter Money, indispensabile in una fase di crisi improvvisa e acuta, ma del tutto insufficiente per rilanciare l’economia di un paese che di problemi ne ha accumulati parecchi, ancor prima dell’avvento del Covid.

Intanto, la Cina prevede una crescita del Pil, per quest’anno, del 4,9%, mentre la contrazione degli Usa potrebbe fermarsi al -4,6%. Per la Germania si stima una perdita del 5,2% e una crescita nel 2021 del 5,1%. Ricordiamo gli ultimi dati disponibile per l’Italia: -8,9% quest’anno, +4% nel 2021, ma, almeno per il nostro Paese, sappiamo che le previsioni sono sempre più ottimistiche di quanto successivamente accade. Intanto si va verso uno sforamento del bilancio di 15 -20 miliardi, ma nessuno parla più di programmi di intervento a lungo termine.

Il Governo è di fatto fermo, nell’attesa del Recovey Fund, ma l’economia reale ci sta dicendo cose diverse: gli imprenditori temono una gelata di ordini e fatturato nel primo trimestre del nuovo anno, mentre le banche appaiono sempre più preoccupate per l’attesa crescita delle insolvenze. Ancora una volta, purtroppo, un grave distacco tra la narrazione politica e la realtà.

Nel frattempo, i divari sociali e le posizioni si inaspriscono. Chi sta in smart working e chi è quotidianamente esposto ai rischi del contagio, chi lavora nei servizi di ospitalità e ristorazione che si sente abbandonato e cova rabbia corporativa. Quattrocentomila disoccupati in più da inizio 2020.

Con queste terribili minacce si dovrà fare i conti nel 2021, dopo un nuovo, quasi evanescente, Dpcm.

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