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Mps, con Unicredit o no? La battaglia è all’ultimo atto

Va in scena alla Camera l’atto finale della battaglia sulle attività fiscali differite (Dta) che aprirebbe le porte alla fusione con Unicredit. M5S punta i piedi e ostacola il progetto proponendo un’alleanza tra deboli. Ecco a che punto è la partita

Mps, con Unicredit o no? La battaglia è all’ultimo atto

“Incentivi alle fusioni aziendali”. S’intitola così il capitolo della legge di bilancio che prevede la conversione in crediti d’imposta delle Dta (attività fiscali differite) oggi in discussione alla Camera, un tassello importante per accelerare la trasformazione del sistema bancario italiano. Sarà infatti, un passaggio importante in vista di una possibile fusione tra Banco Bpm e Bper. Ma ancor più importante sul fronte dell’acquisizione di Monte Paschi ad opera  di Unicredit. E questo spiega perché i Cinque Stelle fin dai lavori in commissione si siano schierati contro l’uso, auspicato dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, della Dta come bonus fiscale per le operazioni di M&A bancarie.

Nello specifico i Cinque Stelle hanno cercato di introdurre un tetto di 500 milioni nel provvedimento per impedire che i 2,9 miliardi di crediti fiscali in  capo al Monte Paschi possano essere usati per un’operazione straordinaria a vantaggio di Unicredit, probabilmente l’unica a poter sfruttare integralmente il bonus fiscale. L’uso delle Dta, insomma, è un elemento chiave del piano che piazzetta Cuccia ha messo a punto per conto del ministero dell’Economia  che incontra il favore della maggioranza del consiglio di amministrazione del Monte, a partire dalla presidente Patrizia Grieco. Elemento chiave ma non unico.

 Mediobanca ritiene che Mps post fusione (non necessariamente con Unicredit) farebbe tra 290 e 482 milioni di utile netto in più, grazie a risparmi sul personale fino a 525 milioni, un minor costo della raccolta fino a 173 milioni, e 160 milioni di margine d’interesse in più. A un multiplo di 10, tali utili aggiungono da 2,9 a 4,82 miliardi di capitalizzazione, cui l’analisi somma fino a 854 milioni per una maggior “densità” degli attivi di rischio sul capitale, e 2,2 miliardi di crediti d’imposta che un articolo della Finanziaria consentirà di capitalizzare in caso di fusioni nel 2021.

Così si arriva ai 5,2-7,8 miliardi del totale. Un piano ardito che, nonostante il neopresidente Pier Carlo Padoan, sostenga che non ha pesato sull’uscita del ceo di Unicredit Jean Pierre Mustier (che ieri ha annunciato di rinunciare a tutti i bonus (salvo la liquidazione), ha probabilmente influito sull’addio del banchiere. 

Ma a favore di questa soluzione c’è la moral suasion della Bce che ha già fatto sapere che lo Stato non può sborsare la sua quota di fabbisogno (il 64% dei circa 2,5 miliardi da trovare entro gennaio) senza una contestuale fusione con altra banca.

Ma il piano deve superare ostacoli politici e sindacali a partire dall’opposizione di Guido Bastianini, l’ad che i Cinque Stelle hanno voluto alla guida della banca. Bastianini si presenta come il fautore di una soluzione stand alone, salvo poi simpatizzare per un’alleanza tra i deboli, ovvero una fusione a tre con gli altri malati del sistema, Banca Carige più Popolare di Bari. Difficile che da questa alleanza possano venir fuori una struttura in grado di stare in piedi. Ma Bastianini, forte del sostegno di una parte del sindacato e della politica locale, entrambe spaventate da una nuova ondata di esuberi, è proprio a battersi assieme alle forze politiche che lo sostengono. Ecco il valore del voto sulla Dta 

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