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L’America del 2020 è come la Germania del 1918?

Proponiamo, in traduzione, un contributo importante dello studioso tedesco Jochen Bittner, pubblicato dal “New York Times” che fa un parallelo tra il mito della Dolchstosslegende e la campagna Stop the steal

L’America del 2020 è come la Germania del 1918?

Da una parte un’illustrazione del 1919 che raffigura il mito della pugnalata alla schiena che influenzò enormemente il quadro politico tedesco tra le due guerre. Dall’altra un manifestante pro-Trump esibisce un cartello della campagna “Stop the steal”. Ci può essere un parallelismo tra la Germania del 1918 e l’America del 2020? La resa della Germania nel 2018, con l’esercito praticamente intatto, e la successiva punizione del Trattato di Versailles alimentò il mito della “pugnalata alle spalle” che minò l’esperimento democratico di Weimar e nutrì l’ascesa del nazismo.

In modo latamente analogo la campagna delle “elezioni rubate”, alimentata incessantemente da Trump e dai suoi sostenitori, può provocare uno squarcio irramendabile nel tessuto democratico americano, una delle più antiche e solide democrazie del mondo.

Un sondaggio ci informa tristemente che l’89 per cento degli elettori di Trump pensa che le elezioni siano state inquinate da frodi elettorali e che pertanto l’amministrazione Biden sia nata sotto il segno della illegittimità.

Una frustrazione, che consolidandosi in rabbia, è in grado di sferrare un colpo mortale al cuore del sistema democratico e contribuisce a radicalizzare senza rimedio l’opinione pubblica americana. Allo stesso modo molti tedeschi pensavano che il governo di Weimar non avesse basi legittime dopo la pugnalata alle spalle del 2018 e la mazzata di Versailles.

A proposito di questo parallelismo tra Germania 1918 e America 2020 vi proponiamo un contributo importante dello studioso tedesco Jochen Bittner, pubblicato dal “New York Times”. Buona lettura.


Può essere che i tedeschi abbiano una particolare predisposizione a farsi prendere dal panico per gli spettri della loro storia, e, a volte, tale allarmismo è eccessivo. Eppure, osservando la campagna “Stop the Steal” del presidente Trump che si sviluppa dal giorno delle elezioni, non si può fare a meno di tracciare un parallelismo con uno degli episodi più infausti della storia della Germania.

Un secolo fa, con l’implosione della Germania imperiale, i poteri forti che guidarono i tedeschi in guerra si rifiutarono di accettare la sconfitta. Il loro rifiuto di prendere atto della realtà produsse la menzogna politica più potente e disastrosa del XX secolo, la Dolchstosslegende, ovvero la leggenda della pugnalata alle spalle.

LA MENZOGNA DELLA PUGNALATA ALLA SCHIENA

Secondo questo mito la Germania imperiale non aveva mai perso la Prima guerra mondiale. Sì, era stata dichiarata la resa, ma la sconfitta sul campo non era mai avvenuta. Era una cospirazione, una truffa, una capitolazione, un indelebile tradimento che avrebbe macchiato per sempre la purezza della nazione tedesca.

Che l’affermazione fosse palesemente falsa non aveva alcuna importanza. Essa suscitò risentimento, umiliazione e rabbia tra un numero considerevole di tedeschi. E la figura che seppe meglio interpretare questa frustrazione fu Adolf Hitler.

IL MONITO DELLA DOLCHSTOSSLEGENDE

Non fraintendiamoci: non si tratta di assimilare Trump a Hitler, il che sarebbe assurdo. Ma la Dolchstosslegende è un avvertimento. Si può respingere l’irrazionale affermazione di Trump dell’“elezione rubata” come un risibile ultimo episodio di una commedia shakespeariano o il cinico tentativo di aumentare il valore di mercato per il suo prossimo venturo personaggio televisivo.

Ma sarebbe un grave errore indulgere in questa sottovalutazione. La campagna intentata da Trump dovrebbe invece essere vista per quello che è, cioè una manovra per elevare “l’elezione rubata” a livello di leggenda, nel tentativo di portare la polarizzazione e la divisione sociale su una scala che l’America non ha mai visto.

IL VERO 1918 IN GERMANIA

Nel 1918, la Germania era sulla strada della sconfitta. L’entrata in guerra degli Stati Uniti l’anno prima, e una sequenza di riusciti contrattacchi da parte delle forze alleate, avevano lasciato le forze tedesche demoralizzate. I marinai erano entrati in sciopero. Non avevano alcuna voglia di sacrificare le loro vite nella disperata e falsamente sacra missione del Kaiser Guglielmo II, degli aristocratici e dei militaristi prussiani che esprimevano il Comando supremo dell’esercito.

Una popolazione affamata si unì agli scioperi e le richieste di una repubblica divennero pressanti. Il 9 novembre 1918, Wilhelm abdicò e due giorni dopo i capi dell’esercito firmarono l’armistizio. Per molti era troppo da sopportare: ufficiali, militari in carriera, monarchici e politici di destra diffusero il mito che, se non fosse stato per il sabotaggio politico e morale da parte dei socialdemocratici e degli ebrei, l’esercito tedesco avrebbe alla fine trionfato.

IM FELDE UNBESIEGT

Questa menzogna ha trovato sostenitori solerti e volenterosi. “Im Felde unbesiegt” — imbattuti sul campo di battaglia — divenne lo slogan con cui si salutavano i soldati di ritorno dal fronte. Giornali e cartoline mostravano soldati tedeschi pugnalati alle spalle da figure malvagie che portavano la bandiera rossa del bolscevismo o da ebrei dalla caricatura grossolana.

Con il trattato di Versailles dell’anno successivo, il mito era già ben radicato tra i tedeschi. Le dure condizioni imposte dagli Alleati, tra cui gli assurdi risarcimenti, alimentavano il senso del tradimento.

Era particolarmente bruciante vedere che la Germania, in appena un paio d’anni, fosse passata da una delle nazioni più potenti del mondo a una delle più miserabili.

LA PERSISTENZA DEL MITO

L’aspetto sorprendente della Dolchstosslegende è questo: non solo non si è attenuata dopo il 1918, ma è diventata sempre più forte e assordante. Di fronte all’umiliazione, all’incapacità o alla mancanza di volontà di affrontare la verità, molti tedeschi si sono fatti avvolgere in una disastrosa illusione: la nazione era stata tradita, ma il suo onore e la sua grandezza non potevano andare perduti in questa macchinazione.

E coloro che avevano preso le redini del Paese — la sinistra e persino il governo eletto della nuova repubblica di Weimar — non potevano essere riconosciuti come legittimi custodi dell’interesse della Germania.

In questo modo, il mito è stato il cuneo che ha separato i cittadini dalla Repubblica di Weimar. Ma è stato anche al centro della propaganda nazista e strumentale per giustificare la violenza contro gli oppositori.

La chiave del successo di Hitler fu che, nel 1933, una parte considerevole dell’elettorato tedesco aveva posto le idee incarnate nel mito — onore, grandezza, orgoglio nazionale — al di sopra della democrazia stessa.

L’ASPIRAZIONE A UNA GUIDA FORTE

I tedeschi erano così esausti dalla guerra perduta, dalla disoccupazione e dall’umiliazione internazionale da essere ipnotizzati dalle promesse di un “Führer”, che assicurava di punire chiunque si fosse macchiato di tradimento, come lo erano la sinistra e, soprattutto, gli ebrei.

Il mito della pugnalata alla schiena fu centrale in tutto questo. Quando Hitler divenne cancelliere il 30 gennaio 1933, il giornale nazista “Völkischer Beobachter” scrisse della “gioia incontenibile di milioni di persone che avevano combattuto così a lungo per annullare la vergogna del 9 novembre 1918”.

La prima esperienza democratica della Germania cadde. Senza un consenso di base costruito su una realtà condivisa, la società si divise in gruppi di ferventi e intransigenti sette contrapposte. E in un’atmosfera di diffidenza e paranoia, l’idea che gli oppositori fossero una minaccia per la nazione prese sempre più piede.

NEGLI STATI UNITI

Allarmante! Questo sembra essere ciò che sta accadendo oggi negli Stati Uniti. Secondo il Pew Research Center, l’89 per cento dei sostenitori di Trump ritiene che una presidenza di Joe Biden recherebbe “danni durevoli agli Stati Uniti”, mentre il 90 per cento dei sostenitori di Biden pensa il contrario.

Mentre la questione di quali mezzi di informazione di cui fidarsi ha lungamente diviso l’opinione pubblica americana, ora anche Twitter è considerato di parte. Dalle elezioni, milioni di sostenitori di Trump hanno installato Parler, l’applicazione alternativa ai social media più diffusi. Le bolle dei filtri si stanno trasformando in reti di filtri.

In un tale panorama di frammentazione sociale, le accuse infondate di Trump sui brogli elettorali potrebbero arrecare un grave danno alla democrazia. Uno sbalorditivo 89 per cento degli elettori di Trump ritiene che il risultato elettorale sia illegittimo, secondo un sondaggio di YouGov (che conferma quello del Pew Center). Il mito del tradimento e della vittoria rubata è ben radicato nella società americana.

Ci sono voluti un’altra guerra e decenni di revisione storica affinché la Dolchstosslegende venisse bollata come una disastrosa, fatale e insensata menzogna. Se oggi ha ancora un qualche valore, è nella lezione che può insegnare ad altre nazioni. La prima di esse: attenzione a mettersi su questa strada.

Jochen Bittner è opinionista dell’“International New York Times” dall’autunno del 2013. Dal 2001 è stato redattore politico del settimanale tedesco “Die Zeit”. Dal 2007 al 2011 è stato anche corrispondente a Bruxelles sui temi dell’Europa e della Nato. Ha collaborato anche con il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e “Die Welt”.

Bittner ha conseguito un PHD in filosofia del diritto presso l’Università di Kiel, dove ha anche insegnato diritto costituzionale. È autore di tre libri The I.R.A. on Its Way From Myth to Mafia, Profession: Terrorist: A Diary of the New World Disorder e Not This Way, Europe!.

Vive ad Amburgo, in Germania.

Fonte: The New York Times, 1918 Germany Has a Warning for America, 30 novembre 2020.

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