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Fmi a Fed: “Rinviare aumento tassi almeno al 2016”

Il Fondo ha anche tagliato le previsioni sulla crescita degli Stati Uniti nel 2015 e nel 2016 – “Stabilità finanziaria a rischio” – “Dollaro moderatamente sopravvalutato”.

Fmi a Fed: “Rinviare aumento tassi almeno al 2016”

Secondo il Fondo monetario internazionale, la Federal Reserve “dovrebbe rimandare il primo aumento dei tassi d’interesse finché non ci saranno segnali migliori su salari e inflazione”, quindi almeno alla “prima metà del 2016”. E’ quanto si legge nella dichiarazione conclusiva del Fmi al termine della missione di monitoraggio Articolo IV negli Stati Uniti.

L’istituzione con sede a Washington sostiene che il primo aumento dei tassi in quasi nove anni “è stato attentamente preparato e anticipato”, tuttavia, indipendentemente dalla tempistica, un aumento dei tassi “potrebbe ancora tradursi in significativi e improvvisi ribilanciamenti dei portafogli internazionali, con conseguenze sulla volatilità dei mercati e la stabilità finanziaria che possono andare anche oltre i confini americani”.

In questo contesto la Fed deve essere attenta a non agire troppo presto o troppo tardi. Alzare il costo del denaro con troppo anticipo “potrebbe innescare un inasprimento maggiore alle previsioni delle condizioni finanziarie o generare instabilità finanziaria, con uno stallo dell’economia”, dice il Fmi. Questo costringerebbe la Fed a invertire la direzione, riportando i tassi vicino allo zero, “con potenziale danno alla credibilità” dell’istituto.

Viceversa, alzare i tassi troppo presto potrebbe provocare una fiammata inflazionistica, al di sopra del target del 2% della Fed. Secondo il Fmi “questo innescherebbe più rapidi aumenti dei tassi di interesse, con conseguenze imprevedibili, anche sulla stabilità finanziaria”.

PIL: TAGLIATE LE PREVISIONI SU 2015 E 2016

Il Fondo, inoltre, ha tagliato per la seconda volta in due mesi le previsioni sul Pil degli Usa portando quelle sul 2015 al +2,5% e quelle 2016 al +3% (le stime precedenti erano +3,1% in entrambi i casi). Il Fondo ritiene che le condizioni finanziarie accomodanti, il calo del petrolio e un mercato del lavoro solido sosterranno la congiuntura americana nella parte restante dell’anno, ma l’andamento dei primi mesi “inevitabilmente trascinerà verso il basso la crescita del 2015”. 

Si tratta perciò di “un rallentamento temporaneo e non di un freno duraturo alla crescita”. Negli Stati Uniti “continua a esserci sostegno alla crescita e alla creazione di posti di lavoro”, ma lo slancio è stato frenato negli ultimi mesi “da una serie di shock negativi”, come le condizioni climatiche sfavorevoli, la contrazione degli investimenti nel settore petrolifero e gli effetti del dollaro forte.

Il mercato del lavoro sta recuperando e “vari indicatori suggeriscono che sta ritornando alla normalità precrisi”, anche se la disoccupazione di lungo termine, frenata dalla partecipazione, e alti livelli di occupazione part-time rappresentano un freno. I salari mostrano “una crescita tiepida”.

Il Fmi prevede un tasso di disoccupazione al 5,3% quest’anno e al 5,2% nel 2016, mentre l’inflazione “core” dovrebbe attestarsi all’1,3% quest’anno e all’1,5% il prossimo, per poi “raggiungere il target del 2% della Federal Reserve solo verso la metà del 2017”.

“POSSIBILI RISHCI PER LA STABILITA’ FINANZIARIA”

Negli Stati Uniti, in ogni caso, stanno emergendo potenziali “sacche di rischio per la stabilità finanziaria”, cosa che dovrebbe convincere le autorità a migliorare la resistenza del sistema finanziario. Infatti, “la riforma della regolamentazione rimane incompleta e la struttura del sistema di supervisione deve essere rafforzato”. 

Gli sforzi dovrebbero essere rivolti “al rafforzamento della cornice macroprudenziale, a sviluppare strumenti di regolamentazione e a colmare i vuoti di regolamentazione e supervisione”. Il Fmi ammette comunque che “molto è stato fatto negli ultimi anni per rafforzare il sistema finanziario americano”, ma è importante “assicurare che non si facciano passi indietro” rispetto a quanto fatto.

“DOLLARO MODERATAMENTE SOPRAVVALUTATO”

Ai livelli attuali il dollaro è “moderatamente sopravvalutato” e, di conseguenza, “il deficit delle partite correnti potrebbe allontanarsi ulteriormente dai fondamentali di medio termine”, a oltre il 3% del Pil. Il biglietto verde ha guadagnato il 13% in termini effettivi reali negli ultimi dodici mesi, “un movimento rapido” generato da differenze nella crescita, traiettorie diverse delle politiche monetarie delle economie importanti da un punto di vista sistemico e cambiamento dei portafogli di investimento, più orientati verso gli asset in dollari.

Finora, sottolinea il Fmi, gli aggiustamenti dei tassi di cambio sono stati legati a cambiamenti della domanda, tuttavia “il dollaro più forte incide sulla crescita americana, la creazione di posti di lavoro e sull’inflazione”. Esiste inoltre il rischio che “un ulteriore deciso apprezzamento del dollaro possa essere dannoso”.

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