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Da Keynes a Fassina, dibattito sulla crisi

La presentazione del libro di Giorgio La Malfa sulla figura di Keynes apre una discussione tra l’autore e Ernesto Auci sulla leva della spesa per rilanciare investimenti e occupazione. La Malfa: “L’Italia non è sulla buona strada. Ridiscutere i parametri europei”. Auci: “In Europa non ci sono scorciatoie: dobbiamo innanzitutto essere credibili”

Da Keynes a Fassina, dibattito sulla crisi

Si apre il dibattito, dopo la presentazione firmata da Ernesto Auci sul nostro sito, del nuovo libro di Giorgio La Malfa sulla figura di John Maynard Keynes. Nell’articolo dal titolo “Fassina, keynesiano immaginario: più Stato in economia e più spesa pubblica non sono una ricetta”, Ernesto Auci aveva sottolineato come l’ipotesi di Fassina di incrementare la spesa pubblica possa suscitare fuorvianti illusioni. Pubblichiamo di seguito le considerazioni dell’ex parlamentare Giorgio La Malfa sull’articolo pubblicato martedì mattina e la nuova replica di Ernesto Auci.

L’INTERVENTO DI GIORGIO LA MALFA

Caro Ernesto,
ho letto il tuo articolo sul mio libro e su Fassina. Ti ringrazio molto sia per l’esposizione del contenuto del mio saggio, sia per l’apprezzamento per la chiarezza dell’esposizione. Tu hai colto giustamente nel mio intervento conclusivo alla presentazione del libro l’affermazione che quello che va recuperato è lo spirito del keynesianesimo, più che i singoli strumenti, anche per le diverse condizioni internazionali di oggi rispetto ad allora. E tuttavia da questo riconoscimento io non faccio seguire la conclusione alla quale invece tu arrivi e cioè che non c’è nulla da fare, bisogna accettare che le nuove condizioni vincolano a tal punto le politiche economiche che non possiamo fare altro che restare entro per cosi dire i parametri europei.

Perché? Si potrebbe in primo luogo ridiscutere i parametri europei e affidare alla BCE un compito più simile a quello della Fed che non ha come unico orizzonte la dinamica dei prezzi, ma anche gli investimenti e l’occupazione. Oppure, se questo non fosse possibile, si potrebbe valutare se non sia meglio ‘litigare’ con l’Europa e crescere, piuttosto che accettare una politica economica che ci porterà presto a dovere violare l’impegno del fiscal compact di ridurre del 5% l’anno il rapporto debito-pil oppure aggiungere nuove misure restrittive.

La mia tesi è che l’Italia sta percorrendo un sentiero che non la porta fuori dalla crisi. Se è così, rischiamo di perdere tempo. Ho visto oggi sul Corriere un articolo, che però mi riservo di leggere più tardi, di Munchau che in sostanza dice qualcosa di questo genere.

Capisco la tua scarsa simpatia per Fassina, ma questo non può portarti a concludere che oggi l’Italia è sulla buona strada.
Molto grato per l’attenzione.
Giorgio La Malfa

LA RISPOSTA DI ERNESTO AUCI

Caro Giorgio, 
io non credo affatto che dobbiamo accontentarci della situazione attuale, ma anzi sono convinto che dobbiamo prendere esempio da uomini della tempra di Keynes per immaginare nuove sintesi economiche e politiche che consentano la piena saturazione dei fattori della produzione. Ed è per questo che ho trovato gradevole e stimolante il tuo libro. Il problema principale che separa la mia visione dalla tua, riguarda la ricerca della causa prima della crisi italiana che a sua volta si inquadra in una più vasta crisi europea.

L’Italia ha smesso di crescere ben prima del 2008 a causa soprattutto dello spreco di risorse indotto da un sistema politico ed amministrativo completamente incapace di perseguire qualsiasi obiettivo di interesse generale, ma ripiegato solo sulla difesa delle proprie posizioni di privilegio (a volte misero). La conseguenza è che ogni gruppo è stato indotto ad erigere barriere per salvaguardare la propria nicchia di benessere senza capire che stare solo fermi vuol dire arretrare. Così da noi non funziona la scuola e le Università sono dominate da logiche baronali. I servizi pubblici sono spesso scadenti, le persone non sono premiate rispetto al merito ma sulla base dell’appartenenza. La Giustizia (come dice Munchau) è un fattore frenante di qualsiasi iniziativa imprenditoriale, ma anche causa di una paralisi burocratica dove ormai nessuno vuole più assumersi una sia pur minima responsabilità.  

Se questo è il problema principale allora non sono le misure macroeconomiche che possono assicurare maggiore crescita. La spesa pubblica da sola non farebbe che aggravare le distorsioni del sistema. Ma per mettere a posto i tanti tasselli di una politica micro ci vuole forza politica che da decenni nessuno ha più. O meglio Berlusconi l’ha avuta per ben due volte nel 2001 e nel 2008 ma non l’ha saputa utilizzare. Di qui la necessità di varare riforme istituzionali giustamente apprezzate dall’Ocse e dagli investitori internazionali che non fanno che chiedere se ci si può fidare del nuovo corso politico.

Naturalmente anche l’Europa ha la sua parte di torti. Ma la nostra scarsa credibilità come paese ci ha precluso qualsiasi tentativo di fare dei ragionamenti seri e di imporre soluzioni diverse da quelle adottate. Ora mi sembra che la Bce abbia allentato i cordoni della politica monetaria, mentre il problema principale mi sembra quello dell’enorme surplus commerciale della Germania. Ma l’unica possibilità di imporre un cambio di passo in Europa è quello di essere credibili e per questo cerchiamo, con sacrificio di rispettare il parametro del 3%.

Fassina e compagni non sono affatto degli innovatori. Vogliono solo mettere una patrimoniale per aumentare un po’ le spese correnti. Vogliono ripristinare le pensioni di anzianità e le rigidità sindacali sui luoghi di lavoro. In questo modo non si faranno più occupati ma si darà un nuovo colpo alla produttività del sistema su cui si basa in ultima analisi la sostenibilità del debito.
Un caro saluto.
Ernesto 

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