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Manpower: “Ecco le professioni più richieste dalle aziende”

INTERVISTA A RICCARDO BARBERIS, amministratore delegato di Manpower Italia – “Dobbiamo insegnare ai ragazzi a prepararsi all’ingresso nel mondo del lavoro, con il percorso di studi e le competenze adeguate. Il rischio è quello di creare categorie di non occupabili”

Manpower: “Ecco le professioni più richieste dalle aziende”

In Italia il tasso di disoccupazione giovanile è vicino al 30% e oltre un milione di ragazzi cerca lavoro tra le mille difficoltà che la crisi economica ha lasciato nel nostro Paese. C’è però un paradosso: ad oggi ci sono 730mila posizioni aperte nel mercato del lavoro italiano, ma le aziende faticano a trovare candidati in possesso delle competenze richieste. “Per questo motivo il tema della formazione è diventato fondamentale in Italia, altrimenti si rischia di creare categorie di non occupabili”, spiega Riccardo Barberis, amministratore delegato di ManpowerGroup, agenzia del lavoro attiva in tutto il mondo che si occupa proprio di fare da tramite tra aziende in cerca di personale e giovani che mirano a trovare un’occupazione.

Manpower, insieme a Bosch ed altre realtà, ha da poco lanciato il progetto NEETON, un programma che aiuta i ragazzi a inserirsi nel mercato del lavoro attraverso un percorso di formazione e professionalizzazione lanciato a Udine nel marzo del 2019 e replicato a novembre a Roma, coinvolgendo 20 giovani disoccupati.

In quest’intervista a FIRSTonline, dalla sua posizione privilegiata, Barberis analizza i problemi che ragazzi e ragazze devono affrontare ogni giorno, ma dà anche alcuni consigli preziosi per farsi trovare preparati di fronte ad un mercato del lavoro poco inclusivo, ma pieno di opportunità. Su quali competenze puntare? Quali università e professioni scegliere? Ecco le risposte.

Dottor Barberis, il progetto che avete presentato mira a favorire l’inserimento dei NEET nel mondo del lavoro. L’Italia è al primo posto in Europa per numero di ragazzi che non lavorano e non frequentano un percorso di studi o formazione. Quali sono i motivi alla base di questo primato e come si può invertire la rotta? 

“Nel nostro Paese il 28,9% dei ragazzi tra 20 e i 34 anni non lavora né è impegnato in un percorso formativo o professionalizzante. È una percentuale altissima. Alla base di questi numeri ci sono una serie di fattori diversi e paralleli. I primi due sono senza dubbio la distanza che si è creata tra scuola e lavoro e la carenza di informazioni che forniamo ai giovani. C’è un dialogo da consolidare, a scuola bisogna spiegare ai ragazzi com’è realmente il mondo del lavoro e informarli in maniera corretta su ciò che li aspetta e sul modo giusto di prepararsi.

Un altro fattore da tenere in considerazione riguarda le carenze relative all’orientamento. Occorre partire dalle scuole elementari e medie, aiutando i ragazzi a conoscersi e a fare scelte di studio consapevoli, favorendo un bilanciamento tra scuole professionali e licei. Siamo la terza realtà manifatturiera d’Europa e sforniamo un perito ogni dieci diplomati. Dobbiamo far capire ai nostri giovani che scegliere una scuola tecnica non significa fare una scelta di serie B, ma andare incontro alle richieste delle aziende e trovare più facilmente lavoro, sviluppare il proprio knowhow e avere più possibilità di costruire un’impresa propria, perché chi possiede competenze tecniche può sfruttarle sia per le imprese terze che per i propri progetti”. 

Il progetto NEETON mira a colmare alcune di queste lacune?

“Siamo già alla seconda edizione di questo progetto lanciato insieme a Bosch, allo studio Legale LabLaw e a Generation Italy. Lo scopo è quello di offrire ai ragazzi che non studiano e non lavorano uno strumento concreto di lavoro e formazione, partecipando a laboratori professionalizzanti attraverso i quali acquisire competenze tecniche e capacità relazionali. Manpower ha sempre investito in progetti che favoriscono l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e continuerà a farlo cercando di colmare il gap esistente tra le competenze in circolazione e le esigenze effettive delle aziende”.

In base ai dati in Italia il 37% delle aziende non trova i profili che cerca. È Il cosiddetto mismatch. Per colmare questo gap basta il lavoro di aziende private come Manpower o servono azioni su larga scala a livello politico e istituzionale?

“Le due cose non sono opposte e anzi possono procedere in parallelo. Progetti come il nostro possono essere replicati e testimoniano come anche le imprese possano contribuire a costruire una comunità più inclusiva. Ovviamente noi ci aspettiamo che alcune scelte di sistema siano rafforzate e non depauperate. Faccio un esempio pratico: l’alternanza scuola-lavoro va ridotta perché qualcuno l’ha usata male o va implementata perché tocca il nervo scoperto relativo alla capacità di una persona di formarsi in un mix tra studio e lavoro? Io propendo per la seconda opzione. Bisogna far capire ai giovani, sin dall’adolescenza, che il classico modello “studio-lavoro-vado in pensione” non potrà essere applicato a loro. Non ci sarà più l’azienda in cui lavorare tutta la vita perché il ciclo delle competenze si è fortemente abbreviato”.

E questo cosa comporta?

“Parliamo spesso della globalizzazione e del suo impatto economico, parliamo invece poco dell’impatto che ha avuto sulle competenze. Le aziende per competere devono essere molto più veloci rispetto al passato e quindi continuano a innovare. Questo comporta che le competenze necessarie a sviluppare le loro attività debbano essere sempre nuove e aggiornate.

Prima le competenze che una persona acquisiva bastavano per 20-30 anni di lavoro, adesso nel giro di 5 anni diventano obsolete. Il tema della formazione e dell’alternanza formazione-lavoro è dunque fondamentale e non solo per i giovani. Secondo i dati la disoccupazione di lunga durata è in aumento. Coloro che vengono espulsi dal mondo del lavoro dopo 24 mesi fanno molta più fatica a reinserirsi. Per questo motivo è importante sottolineare la differenza tra politiche attive e politiche passive. Sono le prime ad aiutare queste persone a rientrare e a vivere il periodo di disoccupazione non come un fallimento personale, ma come un passaggio nel percorso della propria vita professionale in cui accelerare sulla formazione e sulla professionalizzazione. Altrimenti il rischio è quello di creare categorie di non occupabili, cioè di persone che anche se stanno cercando lavoro non hanno le competenze per poter accedere al mercato”. 

Il reddito di cittadinanza può aiutare o potrebbe addirittura peggiorare le cose?

“Secondo la mia visione, come AD di ManpowerGroup e come vicepresidente di Assolavoro, il reddito di cittadinanza nasce da un errore, quello di mischiare un provvedimento di assistenza sociale con un provvedimento di politica attiva per il reinserimento nel mondo del lavoro. Sono due aree completamente diverse. Le misure di supporto al reddito, soprattutto in questa fase in cui l’economia continua a stentare, sono fondamentali per aiutare le persone che hanno reali problemi di sostentamento, ma non aumenteranno le loro probabilità di trovare lavoro. 

Anche se è ancora presto per dare un giudizio definitivo sul reddito di cittadinanza, in base ai primi dati sono pochissime le persone che stanno firmando il patto per il lavoro previsto dalle regole per accedere al reddito di cittadinanza. Non ci aspettiamo quindi che questo provvedimento faccia miracoli anche perché l’occupazione non si crea con la legge o con provvedimenti normativi, ma con l’economia che funziona, politiche economiche e industriali efficaci. Sono questi i prerequisiti”. 

Su quali competenze e professioni dovrebbe puntare un giovane per avere maggiori possibilità di entrare nel mercato del lavoro? 

“Ci sono settori che non stanno risentendo delle difficoltà economiche del Paese ed è su quelli che consiglio di puntare. Il primo è quello dell’Information Technology. Tutte le competenze legate alla tecnologia sono oggi una fonte continua di opportunità di lavoro che siamo in grado di offrire ma che anche noi, come azienda che si occupa di mettere in contatto domanda e offerta, fatichiamo a trovare. Servono ingegneri elettronici e ingegneri specializzati in Verification and Validation, Optical, PLC, Computer Vision e Machine Learning, specialisti del settore IT come data scientists, programmatori Java/PHP, specialisti cybersecurity, cloud Architects, e-Commerce Manger e sistemisti Linux.

Ci sono poi altri settori che rappresentano i punti di forza del nostro Paese in cui ci sono molte opportunità: aerospazio, energia, telecomunicazioni. Pensiamo alle nuove skill che saranno necessarie per lo sviluppo del 5G e per la digitalizzazione delle imprese. Sono posizioni e competenze richiestissime dalle aziende, occorre però formarsi nella maniera corretta per approfittarne”.

Partendo già dal percorso di studi magari. Quali università scegliere?

“Tutte le facoltà Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, ndr.) sono facoltà ad altissima occupabilità, ma anche le scienze sociali. Io non sono d’accordo con chi le definisce lauree deboli, non esistono lauree deboli. Filosofia, scienze sociali, psicologia sono facoltà di cui avremo sempre più bisogno in futuro perché le macchine continueranno a produrre una mole enorme di dati e ci sarà sempre bisogno di qualcuno che li legga, li interpreti, li trasformi in informazioni e deduzioni”. 

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