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LE INTERVISTE DEL WEEK END – Cina, Iran, Grecia: Franco Bernabè controcorrente

INTERVISTA A FRANCO BERNABE’, già numero uno di Eni e Telecom Italia – “In Cina più che una bolla è scoppiato un petardo che non avrà effetti sistemici” – “Solo il futuro dirà se l’accordo sul nucleare iraniano è stato una scelta storica o uno storico errore” – “Il debito greco è ormai un finto problema ma l’Europa è tornata ai tempi della pace di Westfalia”

LE INTERVISTE DEL WEEK END – Cina, Iran, Grecia: Franco Bernabè controcorrente

“La bolla delle Borse cinesi? Più che una bolla mi sembra un petardo per il fragore ma anche per l’inconsistenza. Non credo proprio che avrà effetti sulla crescita della Cina e che contagerà gli altri mercati finanziari”. Franco Bernabè, top manager tra i più celebri a livello internazionale, è un profondo conoscitore della Cina, dove è stato per 15 anni nel board di PetroChina ed è appena tornato da Hong Kong e da Shanghai a conclusione di una delle sue periodiche missioni d’affari per Barclays, di cui è senior advisor dopo aver lasciato la presidenza di Telecom Italia. E’ la persona giusta per cercare di capire che cosa stia realmente succedendo in Cina e sui suoi mercati ma anche per un giro d’orizzonte sugli altri grandi temi internazionali che stanno infiammando l’estate: dall’accordo sul nucleare iraniano alla crisi della Grecia e all’accordo dell’Eurosummit. L’intervista che Franco Bernabè ha concesso in esclusiva a FIRSTonline riserva non poche sorprese, soprattutto sul debito greco ma non solo.

FIRSTonline – Dottor Bernabè, lo scoppio della bolla delle Borse cinesi è tra gli avvenimenti, non solo finanziari, che più hanno impressionato il mondo e la comunità finanziaria internazionale. Lei è appena tornato da Hong Kong e da Shanghai, che situazione ha trovato e come vede lo scenario cinese?

Bernabè – Più che una bolla mi sembra che sia scoppiato un petardo. La bolla è un processo di lunga incubazione come si vide agli inizi del Duemila in America con la bolla delle dot.com. Non è il caso della Cina dove c’è stato un crollo dei listini azionari dell’ordine del 35% in un mese ma dopo un’ascesa del 150% negli ultimi dodici mesi. Mi sembra che all’origine della caduta di Borsa ci sia un fattore unico, che è la forte passione dei cinesi per il gioco d’azzardo: quando hanno scoperto la Borsa pensavano che fosse come al casinò e hanno cominciato a comprare titoli a debito, ma alla fine molti di loro si sono scottati e quando è cominciato il sell off per alcuni investitori è stata una catastrofe, per fortuna dagli effetti circoscritti.

FIRSTonline – Ammetterà che il caso cinese resta però un unicum sulla scena finanziaria ma anche politica internazionale: non s’era mai visto uno Stato e un partito comunista sponsorizzare tanto vistosamente la Borsa e poi ricorrere a tutte le armi dell’interventismo e del dirigismo statale per spegnere l’incendio. Ma ora il problema è capire se quanto è successo avrà effetti sull’economia reale e contagerà o no gli altri mercati finanziari: Lei che ne pensa?

Bernabè – Certamente la regolamentazione finanziaria in Cina ha ancora limiti e irrisolti appaiono i problemi legati al ruolo delle grandi imprese pubbliche e a quello della politica monetaria, ma quanto è successo in Borsa è un fatto più marginale di quel che sembra in Occidente e soprattutto è senza effetti sistemici sia sull’economia che sui mercati.

FIRSTonline – Per le nuove generazioni cinesi, che sono state abituate a una crescita a due cifre, anche un piccolo rallentamento del Pil può generare ansia: in questo momento in Cina ci sono timori sul futuro dell’economia?

Bernabè – Non nel senso con cui pensiamo noi. In realtà i cinesi non ne possono più di una crescita troppo accelerata che ha devastato l’ambiente rendendo l’aria irrespirabile e inquinando il cibo e i fiumi. E il nuovo piano quinquennale testimonia che lo Stato cinese è consapevole di dover riorientare la crescita in modo più equilibrato e più attento all’ambiente, rimediando alle devastazioni di decenni di crescita spasmodica. La verità è che la Cina sta cambiando in corsa il modello di sviluppo, che sarà meno export oriented e più attento ai consumi interni e alla qualità della vita.

FIRSTonline – Negli stessi giorni in cui si consumava la turbolenza di Borsa in Cina, è maturato un altro avvenimento epocale nel mondo con l’accordo sul nucleare iraniano: è un “accordo storico” come dice il presidente Obama o un “tragico errore” come sostiene Israele?

Bernabè – Non lo sa nessuno. Si può dire quel che si vuole dell’accordo ma solo il futuro dirà se si è trattato realmente di un “accordo storico” o di “tragico errore”. Molto dipenderà dalle classi dirigenti iraniane e dalle conseguenze sulle dinamiche di un’area del mondo molto complessa. Sarebbe schematico pensare che l’accordo cambi solo i rapporti tra sciiti e sunniti perché la dialettica dentro i due campi è molto forte e le distinzioni e i contrasti tra gli Emirati Arabi rispetto al Qatar così come tra Egitto e Turchia sono di tutta evidenza. Nessuno può prevedere oggi se nel campo dei sunniti prevarrà l’asse Arabia-Egitto o quello, molto più ambiguo nei confronti delle minacce dell’Isis, composto da Turchia e Qatar.

FIRSTonline – Il futuro dipenderà però anche dall’America e da Israele.

Bernabè – Certamente. Ma per ora è difficile capire se l’accordo è realmente il frutto di una svolta di lungo periodo maturata nell’establishment americano o l’espressione della legittima ambizione di pace di un Presidente in uscita come Obama. Solo il futuro dirà se è stata una scelta giusta oppure no, ma auguriamoci che l’accordo faccia evolvere l’Iran in una direzione più favorevole all’Occidente e che la parte laica e riformista della sua classe dirigente cancelli decenni di oscurantismo e prenda finalmente il sopravvento. Ma speriamo anche che l’Occidente non ripeta gli errori drammatici compiuti in Iraq o in Libia.

FIRSTonline – Lei è stato a lungo anche l’amministratore delegato dell’Eni: al di là della geopolitica, che effetti avrà l’accordo iraniano sul mercato petrolifero?

Bernabè – Nel breve periodo gli effetti non saranno eclatanti perché oggi il mercato prolifero è condizionato da tre elementi: 1) la resilienza, molto al di là delle aspettative, della produzione di shale oil che avvicina la produzione americana alla soglia dei 10 milioni di barili al giorno; 2) la crescita della produzione di greggio dell’Iraq; 3) il mantenimento dei livelli produttivi dell’Arabia Saudita in parte per non perdere quote di mercato e in parte per alimentare la domanda interna.

FIRSTonline – Ma per le grandi compagnie petrolifere occidentali come l’Eni l’accordo iraniano presenta più vantaggi o più rischi?

Bernabè – Dipenderà dalle condizioni e dai prezzi ma certamente la possibilità di nuove esplorazioni fa sperare in una crescita del business.

FIRSTonline – La crisi greca, insieme alle turbolenze finanziarie della Cina e all’accordo sul nucleare con l’Iran, è il terzo elemento che, in questo luglio bollente, ha scosso i mercati e la comunità internazionale: sul nuovo accordo tra l’Europa e Atene sono piovute molte critiche e certamente i limiti sono evidenti, ma aver evitato Grexit e aver finalmente avviato la Grecia sulla via delle riforme è proprio un risultato da disprezzare?

Bernabè – Tutt’altro, soprattutto per come si erano messe le cose in quel drammatico Eurosummit del 12 luglio. E’ stata una vicenda quasi incredibile per la superficialità con cui è stata condotta e proprio per questo pericolosissima. La generale assenza di razionalità e di lungimiranza dei diversi protagonisti in campo ha rischiato di provocare disastri e di distruggere l’euro. Per fortuna all’Eurosummit c’era anche una persona come Mario Draghi che non ha mai perso la lucidità e che ha una visione molto chiara dei problemi. E alla fine c’è stato un guizzo di buon senso che ha portato a una conclusione positiva tra Europa e Grecia anche se in modo un po’ casuale.

FIRSTonline – Come hanno rilevato Fmi e Bce, sul tappeto resta però l’ingombrante problema del debito greco: cancellarlo, tagliarlo o ristrutturarlo? Come andrà a finire?

Bernabè – C’è un grosso equivoco sul debito greco che, al punto in cui si è arrivati, è sostanzialmente un falso problema. Con tassi medi all’1%, molto più leggeri di quelli che l’Italia paga sul suo debito, e con un allungamento delle scadenze al 2042 e un possibile ulteriore allungamento, il debito greco è di fatto già ristrutturato. Il problema è solo di rappresentazione nei bilanci del Fondo Monetario e della Bce perché il valore reale del debito greco, se venisse calcolato con il criterio del mark to market, è molto più basso dei 350 miliardi di valore nominale. La riduzione del debito greco è già nei fatti. Semmai il problema grosso è un altro.

FIRSTonline – Vale a dire?

Bernabè – Il caso greco ma anche quello dei migranti ha fatto chiaramente vedere che l’Europa è tornata paurosamente indietro al tempo della pace di Westfalia che escludeva ogni interferenza e ogni vera integrazione nelle relazioni tra Stati sovrani. La spinta utopica di una nuova Europa che ha caratterizzato il secondo dopoguerra si è dissolta e oggi si assiste all’Europa delle patrie di cui parlava De Gaulle. Ci sono tanti poli sullo scacchiere continentale: c’è la Germania, c’è la Gran Bretagna che rema contro l’Europa in linea con la sua storia, c’è la Russia ma non c’è più l’Europa.

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