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Lavoro, Inapp: per le donne sempre più precario e part-time

Aumenta il gender gap in Italia: quasi il 50% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini- Al Sud meno contratti ma più stabili

Lavoro, Inapp: per le donne sempre più precario e part-time

La ripresa c’è ma non contempla le donne. Nonostante il Pnrr, la precarietà occupazionale e la discontinuità continuano a colpire soprattutto l’universo femminile che ha già pagato il prezzo più caro durante l’emergenza pandemica. Attualmente sono a tempo indeterminato solo il 14% dei nuovi contratti e solo il 38% delle stabilizzazioni da altre forme contrattuali. Il 49,6% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. Si amplia il divario di genere e allo stesso tempo si acuiscono i divari territoriali: sono 4 i diversi scenari regionali per occupazione creata, livello di stabilità e numero di ore lavorate dalle donne. A fare il punto della situazione il rapporto “Gender Policies”, elaborato dall’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche.

Secondo i risultati dell’indagine, nel primo semestre del 2021 i nuovi contratti attivati sono più di 3 milioni di cui 2 milioni a uomini e 1,3 milioni, (ossia il 39,6% del totale) a donne. Il 35,5% sono rivolti a giovani under 30, mentre oltre il 45% si colloca tra i 30 e i 50 anni senza rilevanti differenze di genere. Prevalgono per entrambi le forme contrattuali a termine, ma l’incidenza della precarietà per le donne è maggiore, con un ruolo prevalente della piccola impresa fino a 15 dipendenti.

Inoltre, la ripresa non è uguale in tutte le regioni italiane, fatta eccezione per l’inferiorità dei contratti stipulati a donne rispetto agli uomini. Le donne sono un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria. Sono sotto il 40% in Calabria, Molise, Puglia, Lombardia, Abruzzo e Lazio; mentre tutte le altre si collocano tra il 41% e il 46,5%. L’incidenza più elevata, però, viene registrata in Trentino Alto Adige.

Per quanto riguarda la nuova occupazione, con oltre 100mila contratti a donne si collocano Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto; dalle 50mila alle 100mila Toscana, Piemonte, Campania, Puglia e Sicilia; dai 15mila ai 99mila contratti a donne: Trentino Alto Adige, Marche, Sardegna, Liguria, Abruzzo, Friuli, Calabria e Umbria e al di sotto delle 15mila attivazioni sono Basilicata, Valle d’Aosta e Molise.

Tuttavia, si evidenzia nel rapporto che la maggiore occupazione non sempre determina una maggiore stabilità o maggiore redditività. Per questo è importante sostenere una buona occupazione nel lungo periodo.

E qui la sorpresa: sebbene il Sud presenti un numero di attivazioni al di sotto delle 80mila unità, l’incidenza del tempo indeterminato superiore alla media nazionale e superiore a quella di diverse regioni del centro-nord. Meno contratti e più stabili, testimonierebbe ad esempio il caso della Campania con oltre 75mila contratti e il 21,4% a tempo indeterminato. O la Sicilia con quasi 60mila contratti di cui il 17,7% a tempo indeterminato o la Calabria, in cui gli oltre 20mila contratti presentano una quota stabile del 18%.

Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp ha sottolineato che “Purtroppo, la questione della scarsa quantità e qualità dell’occupazione femminile nel nostro Paese continua ad essere percepita come una questione di parte: la questione non è solo di pari opportunità di genere, ma di sviluppo economico di un Paese che continua a lasciare in panchina metà della sua formazione vincente”, ha concluso Fadda.

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