Condividi

La Consulta: “Ha ragione Napolitano”

Il caso riguardava il conflitto d’attribuzione con la Procura di Palermo per le telefonate intercettate fra Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino – Le motivazioni della sentenza saranno pubblicate a gennaio – Il procuratore di Palermo Messineo: “Ne prendiamo atto”.

La Consulta: “Ha ragione Napolitano”

La Corte costituzionale ha dato ragione al Presidente della Repubblica in relazione al conflitto d’attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo. Il caso riguardava le telefonate fra Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino, indagato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia. Le motivazioni della decisione saranno pubblicate a gennaio, prima del cambio della guardia alla presidenza della Consulta (il mandato di Alfonso Quaranta scade il 27 gennaio 2013).

Secondo i giudici, “non spettava” alla Procura di “valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica” e “neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione”, con modalità “idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”. Verbali e file delle intercettazioni saranno quindi distrutti dal Gip senza passare dall’udienza con le parti ed è quindi probabile che restino segrete a lungo.

Le prime reazioni degli interessati sono improntate alla prudenza: “Le decisioni della Consulta non si commentano – ha detto il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo -. Ne prendiamo atto”. Il Quirinale, dal canto suo, ha fatto sapere che Napolitano ha atteso “serenamente” e “accolto con rispetto” la sentenza e ora attende di conoscere le motivazioni.

L’avvocato generale dello Stato Michele Giuseppe Dipace, prendendo la parola nell’udienza pubblica, ha accusato i pm palermitani di aver trattato le telefonate Mancino-Napolitano “come normali intercettazioni”, mentre esse “sono diventate illegittime” nel momento in cui è stato intercettato un soggetto che non poteva essere intercettato per “salvaguardare i supremi interessi della nazione” cui “la funzione è preposta”. Il costituzionalista Alessandro Pace, in rappresentanza della Procura, aveva suggerito il ricorso all’apposizione del segreto di Stato sulle telefonate, per aggirare il nodo della “immunità”, del “surplus di garanzie” che, a suo dire andando ben oltre il dettato costituzionale, l’Avvocatura ha chiesto per il Capo dello Stato. Ma la sua tesi è stata rigettata.

Commenta