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Argentina, crisi senza fine: dopo l’inflazione record, la siccità distrugge l’export

L’inflazione ha raggiunto il record storico a marzo(oltre il 100% su base annua), ma ora a preoccupare ancora di più è l’assenza di piogge: dal 2020 nel Paese piove pochissimo e questo sta stroncando le coltivazioni dalle quali dipende l’export, in particolare della soia

Argentina, crisi senza fine: dopo l’inflazione record, la siccità distrugge l’export

Non c’è pace per l’Argentina. L’ex prima economia del Sudamerica, da tempo ampiamente superata dal Brasile, sta vivendo probabilmente il periodo più buio della sua storia. Non bastavano infatti l’inflazione ai massimi storici (oltre il 100% a marzo su base annua), il tasso di povertà oltre il 40%, il debito monstre con l’Fmi e persino una crisi politica, visto che ad ottobre si vota e l’attuale presidente Alberto Fernandez ha già detto che non sarà della partita, lasciando spazio per l’ascesa di populismi pronti a soffiare sul fuoco: adesso ci si è messa anche la siccità. Per la verità è da 3 anni, dal 2020, che a Buenos Aires e dintorni di fatto non piove più: da quando è apparso il fenomeno meteorologico La Niña, che ha portato ad un raffreddamento dell’Oceano Pacifico, il livello di precipitazioni è stato il più basso da quando viene rilevato, cioè da oltre 30 anni. In particolare le secche hanno colpito la zona della Capitale e l’estremo Sud, in Patagonia, mettendo a rischio in tutto 138 milioni di ettari di coltivazioni.

Siccità in Argentina: crisi per soia e mais

Non è un dato banale, visto che le materie prime agroalimentari rappresentano oltre la metà delle esportazioni del Paese, che praticamente vive di questo: esportare prodotti della terra, in particolare la richiestissima soia, consente l’ingresso di capitale straniero, in particolare gli ambiti dollari americani, dalla cui circolazione dipende tutta l’economia Argentina, considerando che il Paese non ha riserve valutarie e sta tentando di rinegoziare un debito monstre con il Fondo Monetario Internazionale, pari a 44 miliardi di dollari. Per dare un parametro, le coltivazioni di soia, che sono le più colpite dalla scarsità di piogge, hanno ridotto la capacità del 50% in questi tre anni, bruciando solo nell’ultimo ciclo produttivo la bellezza di 14 miliardi di dollari di export (stima della Borsa di Commercio di Rosario). Insieme al mais, la soia rappresenta il 40% dei dollari che entrano in Argentina, e questa sciagura le ha già fatto perdere il titolo di primo esportatore al mondo di soia, a vantaggio del vicino Brasile.

In ginocchio anche gli allevamenti per la siccità

Nella raccolta 2022-2023 la produzione di soia è precipitata a 18 milioni di tonnellate, mentre otto anni fa era intorno ai 54 milioni di tonnellate. Dimezzato anche il raccolto di grano, da 22 a 11 milioni di tonnellate, e la produzione di mais è tornata ai livelli del 2012. La siccità, oltre alle coltivazioni, sta mettendo in ginocchio anche gli allevamenti: secondo la Direzione Nazionale del Rischio Agricolo, in tutto il Paese sono oggi a rischio 21 milioni di capi di bestiame, un dato allarmante se si considera che un dollaro su ogni 20 che entrano in Argentina, è dovuto alla vendita di carne bovina. E a penalizzare ulteriormente gli agricoltori ci si sono messe anche alcune scelte del governo, che non ha rinunciato ad applicare i dazi sulle esportazioni, in particolare proprio su quella della soia per la quale la ritenuta è del 33% (12% per grano e mais).

Nubi all’orizzonte per i Fernandez

Mai come questa volta insomma Buenos Aires si trova di fronte ad una doppia crisi: quella finanziaria, e quella dell’economia cosiddetta reale, le quali sono entrambe legate al dollaro e al debito con l’estero. Proprio per questo, il presidente Fernandez ha chiesto l’intercessione dell’amico Lula per tentare una mediazione con l’Fmi e rinegoziare il prestito, e anche per agilizzare gli scambi commerciali tra Argentina e Brasile e non lasciare il Paese scoperto di materie prime e di prodotti finiti (Brasilia è il primo partner commerciale). In questo scenario, si addensano nubi anche sulla tenuta democratica dell’Argentina: Fernandez lascerà e probabilmente con lui si chiude il peronismo, lasciando spazio a estremismi alla Trump e Bolsonaro. Secondo la stampa, l’80-90% dei produttori agroalimentari argentini ha intenzione di votare per l’outsider populista Javier Milei.

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