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Scuole alberghiere, la formazione prima della tv: parla la presidente Zilli

INTERVISTA a MARIA ZILLI, presidente di Renaia (la rete nazionale dei 150 istituti alberghieri): “La formazione viene prima della fiction” – Un modello da esportare nel mondo

Scuole alberghiere, la formazione prima della tv: parla la presidente Zilli

Prima la formazione. Poi, casomai, la televisione. Sono anni che la Rete nazionale degli istituti alberghieri (Renaia) sostiene questo principio. Cercando di trasmetterlo non solo agli studenti, ma a tutti i cittadini-consumatori. E Anna Maria Zilli, che della Renaia è presidente dal 2017, ora più di prima è convinta che anche nel settore agroalimentare la scuola debba venire prima dei format.

“L’apporto della forza lavoro all’alberghiero e alla ristorazione è un volano per l’economia italiana e rappresenta un modello da esportare in tutto il mondo”, osserva la professoressa Zilli, che è anche dirigente scolastico dell’Istituto Bonaldo Stringher di Udine. Posto che un cuoco, o chef che dir si voglia, prima di tutto deve studiare. E oggi frequentare un istituto professionale nuovo, più arioso e al passo con i tempi. Una scuola che con la riforma appena scattata per le prime classi – anno scolastico 2018-2019 – in Italia prevede l’indirizzo di “Enogastronomia e ospitalità alberghiera”. A sua volta declinato e orientato in quattro specializzazioni: enogastronomia, sala bar e vendita, accoglienza turistica, arte bianca e pasticceria.

Ma come si è arrivati a questo nuovo percorso formativo?
“Con il decreto legislativo 61/2017, che ha rivisto e aumentato da 6 a 11 i percorsi dell’istruzione professionale statale – spiega Zilli – il ‘vecchio’ istituto alberghiero diventa di fatto un modello per una didattica inclusiva di qualità”. Risultato di una riforma attuata in Italia, ma che
tiene conto anche di una raccomandazione del Consiglio Ue del maggio 2018 sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente.

D’altra parte, il made in Italy è uno slogan ormai consolidato da anni. E il ministero della Pubblica istruzione e della ricerca (Miur), a fronte di un settore agroalimentare che vale quasi 140 miliardi di euro, nel quadro della riforma ha necessariamente dovuto rivedere i percorsi dell’istruzione professionale, tenendo presente che la cucina è parte integrante del successo spuntato dal nostro Paese nel mondo. Prevedendo così una scuola quinquennale più specializzata e qualificante per i giovani, che vengono formati per diventare dei professionisti della cucina a tutto tondo e rispondere a una crescente domanda del mondo del lavoro.

Quanti sono gli Istituti alberghieri in Italia?
“Quelli aderenti alla Renaia sono circa 150 – sottolinea Zilli – anche se al il Miur ne risultano praticamente il doppio, tenendo conto delle sedi periferiche e dei corsi serali. Solo a Udine, ad esempio, abbiamo quattro sedi”. E gli studenti iscritti? “Gli ultimi dati del ministero, riferiti all’anno scolastico 2016-17, indicavano quasi 226mila studenti, pari a oltre il 41% del totale iscritti agli istituti professionali”.

Come è organizzata la vostra rete, e quali sono le finalità?
“La Renaia è una rete storica che nasce dalla vecchia Anpias, l’associazione dei presidi degli istituti alberghieri costituita nel 1972. Anche se poi il progetto di rete è partito operativamente nel 1992. Ora, dopo il riordino previsto dal decreto 61, stiamo aspettando che il Miur ci fornisca le linee guida. Nel frattempo ci siamo organizzati sul territorio, grazie anche a un finanziamento che è rapportato al numero degli iscritti, delegando un istituto per ogni regione, a eccezione di Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta. In totale sono al lavoro una trentina di soggetti che stanno analizzando il testo della riforma, con il coinvolgimento di quattro docenti esperti”.

E come si pone la Renaia in ambito europeo? “Siamo in contatto con l’associazione Aeht, che rappresenta istituti analoghi ai nostri, anche se più tarati sul modello Hotellerie. L’anno scorso – racconta Zilli – ho partecipato personalmente all’assemblea europea, dove gli istituti italiani erano ben rappresentati. Tra le iniziative comuni, abbiamo previsto un concorso europeo e internazionale incentrato sulla Dieta mediterranea Patrimonio dell’Unesco”.

Detto questo, non si può negare che il mestiere dello chef abbia guadagnato appeal grazie alle trasmissioni televisive. “La scuola è la scuola, la fiction è la fiction – aggiunge la presidente della Renaia – E questa è arrivata a un punto di saturazione che paradossalmente potrebbe sminuire la valenza degli istituti e i percorsi di formazione. Di certo andrebbero ricalibrati i contenuti”.

E come? “Ad esempio, facendo passare il messaggio che se non c’è una brigata che lavora in cucina lo chef non esiste”.

Oggi però i cuochi puntano a mettersi in proprio, mentre in passato erano gli alberghi a tenere alta la bandiera della categoria e del mestiere. Qual è il ruolo svolto ora dagli alberghi nella ristorazione di eccellenza italiana?
“I tempi sono cambiati e i grandi alberghi, che in passato creavano circuiti importanti anche per la formazione, negli ultimi anni sono sempre più proprietà di gruppi e aziende che non facilitano gli incontri e la condivisione di strategie”. Certo, “gli chef di questi tempi sono persone che hanno visibilità, ma nonostante ciò si rivolgono ancora alla scuola per collaborare e realizzare intese e progettualità innovative. La Renaia in questo senso ha sottoscritto accordi e convenzioni con diverse associazioni proprio per poter migliorare rapporti e comunicazioni a vantaggio dei nostri studenti. In ogni caso, per noi la formazione deve restare il filo rosso del settore, soprattutto per i docenti che sono il cuore degli istituti ma ancora poco degni dell’attenzione che meritano”.

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