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Recovery Fund, Polonia e Ungheria: la partita si sposta alla Corte di Giustizia

Le sanzioni contro Budapest e Varsavia potrebbero essere avviate solo dopo l’approvazione dei giudici europei – Ma i due Paesi continuano a sostenere che le preoccupazioni in materia di Stato di diritto siano in realtà solo un attacco politico

Recovery Fund, Polonia e Ungheria: la partita si sposta alla Corte di Giustizia

Giovedì scorso i leader Ue hanno sbloccato il bilancio di 1,8 trilioni di euro e il Recovery Fund, dopo aver raggiunto un compromesso con Ungheria e Polonia sul modo per collegare i fondi europei al rispetto dello stato di diritto. L’accordo è arrivato dopo intensi negoziati nelle ultime settimane, con l’obiettivo di revocare il veto di Budapest e Varsavia, che vedevano il nuovo meccanismo, già concordato dal Parlamento Europeo e da 25 Stati membri, come uno strumento per condurre guerre politiche contro di loro. Il blocco ha minacciato di far deragliare il prossimo bilancio settennale, volto a mitigare le conseguenze economiche della pandemia.

I leader Ue riuniti a Bruxelles hanno convenuto nelle conclusioni del Vertice che la condizionalità dello Stato di diritto sarà utilizzata solo per il bilancio a partire dal prossimo anno e per il Recovery Fund, non per i pagamenti effettuati dal bilancio corrente. L’uso del nuovo strumento sarà probabilmente ritardato, dal momento che i leader europei hanno convenuto che qualsiasi processo di sanzioni potrebbe essere avviato solo dopo l’approvazione della Corte di Giustizia dell’Ue.

I governi di Varsavia e Budapest, tuttavia, hanno voluto evitare qualsiasi legame tra i fondi Ue e il collegamento ai valori fondamentali. La condizionalità dello Stato di diritto molto probabilmente non sarà attuata per diversi mesi, dovendo ottenere il via libera dalla Corte di Giustizia. Economisti e gruppi di imprese di entrambi i Paesi avevano implorato i governi di non usare il veto, poiché gli altri 25 Paesi europei avrebbero potuto lavorare a un pacchetto di ripresa separato, escludendo Ungheria e Polonia.

Sia il governo polacco che quello ungherese affermano che le preoccupazioni dell’Ue in materia di Stato di diritto sono in realtà un attacco alle differenze politiche, nonostante i gruppi per la difesa dei diritti umani sostengano che vi siano casi ben documentati di violazioni in entrambi i Paesi. Nell’ultimo decennio, Orbán si è vantato di creare una “democrazia illiberale” e ha affrontato accuse di clientelismo e corruzione. Il partito polacco Diritto e Giustizia (PiS) è al potere solo da cinque anni, ma in questo periodo ha minato l’indipendenza della magistratura e i diritti delle donne.

Le forze di opposizione sia in Polonia che in Ungheria probabilmente discuteranno nei prossimi giorni se il compromesso sullo Stato di diritto sia una vittoria o una sconfitta per i due governi. Alcuni si sono concentrati sugli aspetti positivi, mentre altri si sono sentiti delusi dalla presidenza tedesca dell’Ue per aver accettato il compromesso. “L’accordo di oggi è una decisione politica di far passare il bilancio e, purtroppo, il meccanismo dello Stato di diritto è stato sacrificato. Ora è quasi sdentato”, è stata la dichiarazione congiunta dell’organizzazione dei cittadini ungheresi AHang e del movimento dei cittadini polacchi Akcja Demokracja, che in precedenza avevano chiesto all’Ue di rimanere ferma nella decisione.

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