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Le tre paure dei mercati sulle mosse Bersani-Grillo: instabilità, meno rigore e meno Europa

SCENARI POST VOTO – I mercati temono che un governo di minoranza Bersani orientato a chiedere il voto di Grillo volta a volta apra la strada all’instabilità e affievolisca sia la politica del rigore che gli impegni assunti in Europa – Gli occhi sono puntati su Napolitano, che può fare l’ultimo miracolo prima di lasciare il Quirinale – L’alternativa Amato.

Le tre paure dei mercati sulle mosse Bersani-Grillo: instabilità, meno rigore e meno Europa

Ci sono tre parametri che orientano in queste ore i mercati e che alimentano le loro paure sul caso Italia: la stabilità di governo, il rispetto degli impegni di bilancio assunti con l’Europa e la fedeltà alla politica di rigore e di riforme. Ecco perché – come segnala la corsa all’insù dello spread e dei rendimenti nell’asta dei Btp di questa mattina e come si era visto ieri dalle reazioni ribassiste della Borsa dopo la prima conferenza stampa postelettorale di Pier Luigi Bersani – i mercati vedono come fumo negli occhi la prospettiva, adombrata dal segretario del Pd, di un governo di minoranza Bersani costretto a chiedere, volta a volta – come suggerisce  Nichi Vendola -, il voto in Parlamento di Beppe Grillo, che finirebbe per diventare il vero ago della bilancia e il vero arbitro della politica italiana.

Non c’è chi non veda i pericoli d’instabilità che una soluzione politica del genere provocherebbe, ma ci sono altri timori che tengono in ansia i mercati: l’affievolimento della politica del rigore e delle riforme avvita dal governo Monti e l’allontanamento dall’Europa e dagli impegni in difesa dell’euro (Fiscal compact in testa) assunti in precedenza dall’Italia per recuperare credibilità e calmare i mercati. Grillo si è dimostrato anche ieri un buon pragmatico, ma la sua ostilità all’Europa e all’austerità è nota.

Ecco perché i mercati guardano con fiducia e speranza a Giorgio Napolitano, il presidente che già fece il miracolo di sostituire Berlusconi quando l’Italia era sull’orlo della bancarotta e d’inventare il governo Monti che evitò il default. Ora il Capo dello Stato potrebbe tirar fuori un altro coniglio dal cappello a pochi mesi dalla sua uscita dal Quirinale. Che cosa aspettano i mercati dal Colle? Che si imbocchi una strada che dia maggior stabilità al governo e che non spacchi il Paese e il Parlamento in due. Tradotto: che non consegni a priori il centrodestra all’opposizione. 

Naturalmente l’idea di un governissimo Pd-Pdl sembra per ora impraticabile e Bersani l’ha già nettamente esclusa. Ma le alternative non mancano. Nelle ultime ore sembra guadagnare terreno l’ipotesi di un governo del Presidente, che non avrebbe una maggioranza predefinita e che sarebbe anche in questo caso costretto a trovare i consensi in Parlamento volta a volta, ma con una differenza sostanziale rispetto alla soluzione Bersani-Grillo: che i voti verrebbero chiesti a tutti, a Grillo come a Berlusconi, rendendo più ampio lo spazio d’azione del nuovo Esecutivo.

Se la sentirebbe Bersani d’imboccare una strada del genere dopo le sue prime dichiarazioni post-voto? Sembra difficile, ma è improbabile anche che Napolitano si rassegni a un governo Bersani ai piedi di Grillo, con i rischi che la politica europeista del rigore – anziché essere corretta, com’è giusto che sia – venga del tutto abbandonata, scatenando le reazioni dei mercati.

Ecco perché, se Bersani s’intestardisse sul governo di minoranza aperto a Grillo, potrebbe avanzare l’ipotesi alternativa di un governo del Presidente aperto a destra e a sinistra e affidato a una personalità istituzionale, gradita al Pd ma anche al Pdl, come quella di Giuliano Amato, che già nel ’92 tirò fuori l’Italia dalla bufera. Ma la parola spetta prima di tutto a Giorgio Napolitano. 

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