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Italia, la vera vittima della crisi sono i giovani

Secondo il servizio studi Bnl la situazione è più grave di quanto non sembri: solo un ragazzo ogni 5 è occupato, gli impieghi sono mediamente più precari e meno remunerativi – Inoltre aumentano drammaticamente i Neet, quei giovani che non lavorano, né studiano, né cercano un lavoro – E’ necessario un recupero strutturale della generazione esclusa

Italia, la vera vittima della crisi sono i giovani

La vera vittima della crisi sono i giovani, almeno in Italia. Tra l’inizio della recessione del 2008 e la scorsa estate, il tasso di disoccupazione dei residenti in età compresa tra i 15 e i 24 anni è salito in Italia dal ventuno per cento a poco meno del trenta per cento. I media dicono che un giovane su tre non è occupato in Italia. Omettono di aggiungere che quei tre giovani sono solo quelli che partecipano attivamente al mercato del lavoro e che a essi vanno aggiunti altri due ragazzi che, per scoraggiamento o altro, non si impegnano in alcuna ricerca di impiego. Oggi in Italia risulta occupato solo un giovane su cinque contro un giovane su due in Germania e uno su tre nella media dell’area dell’euro. Guardando ai tassi di occupazione, la quota di giovani in età compresa tra i 15 e i 24 anni che ha un lavoro è scesa dal 24,2% del primo trimestre del 2008 al 19% del secondo trimestre del 2011. È questo, secondo i dati confrontabili di Eurostat, il conto salato che la crisi ha chiesto a quella che è stata definita come la “generazione esclusa”.

Meno lavoro. Ma anche un impiego mediamente più precario e meno remunerativo. Numeri che parlano chiaro sono quelli contenuti nell’ultimo Rapporto Annuale dell’ISTAT. La crisi ha ridotto la probabilità per i giovani di passare da un lavoro atipico a uno standard. Ogni 100 giovani con contratto atipico nel primo trimestre 2009, solo 16 risultavano occupati stabilmente dopo un anno (10 in meno dell’anno precedente) ovvero nella primavera del 2010. Contestualmente, la crisi fa crescere la quota di giovani rimasti occupati a tempo determinato o con un rapporto di collaborazione (da 51 nel 2008-2009 a 60 nel 2009-2010). La diffusione dei contratti atipici ha permesso di sostenere l’occupazione, ma al prezzo di affermare sul mercato del lavoro un iniquo dualismo che assegna ai giovani maggiori rischi e minori ritorni rispetto ad una fascia di lavoratori anziani sicuramente più tutelati. Come ha osservato Fabrizio Saccomanni, “oggi un giovane che si affacci per la prima volta sul mercato del lavoro in Italia ha il 55 per cento di probabilità di vedersi offrire soltanto un lavoro in qualche modo precario”. Un eccessivo ricorso alla flessibilità sull’impiego giovanile potrebbe avere anche contribuito – come ha di recente osservato Luigi Abete – alla realizzazione in Italia di una dinamica degli investimenti fissi inferiore a quella realizzata dalle imprese di altri paesi nostri concorrenti.

La crisi ha accentuato questo dualismo aggiungendo alla precarietà anche un peggioramento delle condizioni economiche del lavoro giovanile. Al netto dell’inflazione i salari di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro sono fermi da oltre un decennio. Né, come osservano le analisi compiute dalla Banca d’Italia, sono nel frattempo migliorati gli “itinerari retributivi” che ai giovani si prospettano nel corso della carriera retributiva. Occorre riequilibrare la flessibilità.

Più della liquidità o dell’energia, è il capitale umano dei giovani – le loro abilità, l’istruzione, la proiezione all’innovazione e alla globalità – la vera risorsa strategica che la crisi ha reso drammaticamente scarsa in Italia. Lo indica, tra l’altro, l’aumento dei cosiddetti NEET, ovvero dei giovani che non lavorano, non cercano occupazione, non studiano né sono impegnati in attività di formazione. Nel solo 2010 i NEET in età compresa tra i 15 e i 29 anni sono cresciuti in Italia di 134mila unità raggiungendo i 2,1 milioni di unità. Avere oltre un quinto dei propri giovani in panchina è un lusso che l’Italia non si può più permettere. I nuovi incentivi fiscali all’impiego a tempo indeterminato di giovani sotto i 35 anni previsti nel Decreto “salva-Italia” rappresentano un primo passo nella direzione di un recupero strutturale della “generazione esclusa”. Altri ne dovranno seguire.

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