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L’assemblea Abi non potrà ignorare l’analisi di Bankitalia sul vero stato di salute delle banche

L’assemblea di domani dell’Abi non potrà non fare i conti con la severa analisi di Bankitalia sul reale stato di salute delle banche italiane ma resta una domanda: chi deve guidare l’inevitabile riconversione industriale del nostro sistema creditizio? – Il caso Mps indica una strada e solleva una questione: si può fare a meno dello Stato?

L’assemblea Abi non potrà ignorare l’analisi di Bankitalia sul vero stato di salute delle banche

L’assemblea di domani dell’Abi – con l’intervento del presidente Giuseppe Mussari ma anche del Governatore della Banca d’Italia e del Tesoro – sarà certamente l’occasione per fare il punto e indicare soluzioni per una della fai più difficili delle banche italiane. Ma sul reale stato di salute delle nostre banche c’è un documento che fa già chiarezza ed è la Tavola a17.11 della Relazione Annuale della Banca d’Italia sui “Conti economici delle banche italiane: formazione dell’utile” che offre una rappresentazione dei risultati, rapportati al valore dei fondi intermediati, dell’ultimo esercizio chiuso dell’intero sistema bancario secondo lo schema di conto economico cui ogni intermediario e’obbligato a uniformarsi nella pubblicazione del bilancio annuale. La Tavola della banca d’Italia espone altri dati significativi, sempre a livello di sistema, quali il totale dei volumi intermediati, il numero dei dipendenti, il roe, il prodotto bancario per addetto, il costo unitario medio del lavoro, effettuando un raffronto temporale con i due esercizi precedenti a quello in esame.

Quantunque sintetica, essa è, dunque, estremamente efficace per esporre l’andamento dei principali profili tecnici delle banche italiane, cui, ad avviso di chi scrive, esperti e commentatori del Report annuale della banca centrale italiana non dedicano sufficiente attenzione. Quest’anno è invero difficile sottrarsi a una analisi più attenta, anche per i richiami, più critici che nel passato, alla situazione delle banche italiane compiuti dal nuovo Governatore nelle Considerazioni finali con particolare riguardo alle loro condizioni di efficienza.

In esse si legge infatti della necessità non più rinviabile per il sistema di “aumentare significativamente l’efficienza dei processi produttivi e distributivi, valorizzando il contributo delle nuove tecnologie”.

Tornando alla Tavola della Banca d’Italia si ha modo di mettere ancora più a fuoco gli elementi di criticità richiamati dal Governatore in termini di redditività e produttività dei fattori impiegati nella produzione bancaria.

Ad un risultato estremamente ridotto ormai da alcuni anni del margine di interesse (1,1% dei fondi intermediati) e ad un apporto stabile attorno all’uno per cento dei ricavi da servizi e da negoziazione (di talché il margine di intermediazione è fermo al 2,1%), si contrappone una struttura elevata e crescente dei costi operativi (1,35% nel 2010, 1,43% nel 2011); cosa che determina la flessione del risultato di gestione ridottosi ad un modesto 0,69%. Su di esso si sono scaricate poi rettifiche negative per crediti dubbi e altre svalutazioni, pari all’ 1,02%, cioè a 2,5 volte quelle dell’anno precedente.

Di tale quota le rettifiche su crediti, per quanto leggermente aumentate (0,40%), sono uguali alle svalutazioni non più procrastinabili degli avviamenti conseguenti alle operazioni di aggregazione compiute negli ultimi anni. Il risultato al lordo delle imposte è negativo per 0,73%, ciò che porta il roe del sistema ad un valore negativo pari al 6,6% dei fondi intermediati.

Anche se l’onere straordinario dell’impairement degli avviamenti e’ il fattore responsabile delle perdite 2011, gli elementi di debolezza nel processo di produzione del reddito sono evidenti e destinati a perpetuarsi anche nel corrente esercizio. In particolare, il costo del lavoro per unita’ di prodotto e’ in crescita, quale effetto combinato dell’aumento dei salari nominali (+1,9%) e della diminuita produttività del lavoro (-3%). Nel 2011, il primo valore è passato da 75,6 mila euro a 76,5 mila euro pro capite, il secondo da 10,9 mln a 10,6 mln sempre per addetto. Il numero complessivo dei dipendenti e’ diminuito soltanto dell’1,9% rispetto all’anno precedente, attestandosi a 316.000 unità.

Questi elementi sono ormai fattori strutturali di rigidità del sistema, i cui processi produttivi, oltre a essere fortemente labour intensive, si poggiano su una rete di distribuzione estremamente costosa, se si considerano i circa 33.000 sportelli bancari (55 per 100.000 abitanti, contro i 36 della media europea e i 20 dei paesi più sviluppati) e le reti di distribuzione esterne (promotori finanziari,mediatori crediti, agenti in attività finanziaria).

Il costo del rischio appare infine sottovalutato, se si tiene conto tanto della dinamica quanto del tasso di copertura dei crediti non performing. Le sofferenze lorde, superando i 124 miliardi, si ragguagliano al 7,1% del totale degli impieghi. Se alle sofferenze si aggiungono gli altri crediti dubbi si arriva a 220 miliardi di partite deteriorate, pari a ben il 13% degli impieghi. Il tasso di copertura di questi stessi crediti e’ tra i più bassi tra i sistemi bancari europei essendo pari al 41% del totale, cosicché l’allineamento alla media europea costerebbe, secondo alcune stime, 23 mld circa, segnando fin da adesso il risultato 2012, che sarebbe ancora di segno negativo.

L’attività creditizia retrocede significativamente dato che gli impieghi in termini monetari segnavano a marzo scorso un incremento nullo rispetto ai dodici mesi precedenti. Unico sollievo alla redditività e’ atteso dallo spread che si e’ artificialmente generato dalle operazioni di LTRO messe in campo dalla Bce. La condizione del sistema non induce insomma a valutazioni favorevoli.

L’inversione che tutti auspichiamo (ma le previsioni di ripresa è stata posposta a fine 2013) non può essere sufficiente per risolvere le criticità evidenziate, evitando soprattutto di considerarle come contingenti piuttosto che come deficit strutturali dell’industria bancaria nazionale. D’altro canto anche il rafforzamento patrimoniale resosi indifferibile negli ultimi tempi per tutte le grandi banche ha richiesto operazioni di natura straordinaria, non ripetibili. La sostenibilità nel medio termine dell’aumento del patrimonio non può che essere affidata alla crescita del business e al miglioramento delle condizioni di efficienza. Questo secondo aspetto ha a che fare con una vera e propria riconversione industriale del sistema per conseguire un diverso mix tra capitale e lavoro, un decisivo impulso verso l’automazione, un drastico ridimensionamento della rete distributiva, un rapido passaggio a strumenti direzionali di governo efficiente dell’impresa. I processi di lavoro dell’impresa bancaria italiana dovranno finalmente diventare meno fisici e più virtuali. I rapporti con la clientela dovranno svolgersi soprattutto da remoto, integrando i benefici delle piattaforme digitali e dei canali multimediali con le certezze giuridiche della firma digitale, della posta elettronica certificata, delle modalità certificate di conservazione sostitutiva, della sicurezza informatica. Le imprese andranno stimolate a passare fin da subito a standard Sepa nella effettuazione dei pagamenti di massa (bonifici e addebiti diretti), utilizzando infrastrutture di trasmissione dati a banda larga per il trattamento in tempo reale delle disposizioni impartite. Andranno automatizzate fasi di concessione del credito, quali l’erogazione di operazioni, attraverso l’utilizzo di strumenti come le carte e i conti di pagamento.

Per una buona parte del sistema il ricorso alla fornitura di servizi con le modalità dell’outsourcing può rappresentare una risposta alle esigenze di miglioramento della macchina operativa a condizione che queste organizzazioni siano veramente efficienti e disponibili a investire in migliorie tecniche, secondo piani chiari e sostenibili, ampliando e integrando la propria offerta.

Ad oggi la risposta a queste ineludibili esigenze di riconversione industriale delle banche italiane sono di portata tale che il sistema non sembra in grado di autogenerarle. La domanda è chi deve farsene promotore. Quando in altri periodi storici si è giunti a questo dilemma, gli interventi di sostegno a favore dei maggiori intermediari sono sempre stati esogeni al sistema e di natura pubblica. E’ veramente fuori luogo pensare che questa sia l’unica soluzione possibile, quando il nuovo Presidente della terza banca italiana ha affermato che la stessa e’ de facto già sotto l’egida dello Stato?


Allegati: Tavola Banca d’Italia.pdf

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