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Jobs Act, vademecum anti-controversie

Colloquio con il giuslavorista Giuseppe Cucurachi dello studio Nunziante Magrone: nei primi anni si rischiano più contenziosi, ma poi si invertirà la tendenza – Dipendenti come i dirigenti: puntare sulla negoziazione di clausole di maggior tutela prima dell’assunzione – Il ruolo dei sindacati nei licenziamenti collettivi con il contratto a maggior tutela.

Jobs Act, vademecum anti-controversie

Jobs Act, più conflitti nell’immediato ma meno in futuro. E poi cambio di mentalità per le aziende e per i sindacati. Tutti saranno chiamati a fare i conti con un diverso approccio soprattutto nella redazione e nella negoziazione dei contratti di lavoro. Ne parliamo con Giuseppe Cucurachi, giuslavorista dello studio Nunziante Magrone che da anni segue questo settore.

Avvocato, con il Jobs Act e l’introduzione del contratto a tutele crescenti aumenteranno o diminuiranno i motivi di conflitto tra aziende e dipendenti? Gli italiani sono già abbastanza litigiosi…

“Nel breve termine prevediamo che un eccesso di fiducia riposto dai datori di lavoro nella flessibilità introdotta dal Jobs Act possa fare aumentare il contenzioso giuslavoristico. Nel medio-lungo tuttavia il numero e la durata delle controversie potrebbe ridursi in maniera anche significativa rispetto ad aggi”.

Qual è lo spazio temporale del breve termine? Uno, due anni?

“ Non è facile dirlo, possiamo pensare ai prossimi 2-3 anni. Oggi abbiamo solo alcuni dei decreti attuativi del Jobs Act. Inoltre, alcune norme sono applicabili a tutti i lavoratori: per esempio quelle sui controlli a distanza o sulla variazione delle mansioni; ma una parte rilevante del Jobs Act, i contratti a tutele crescenti, si applica solo ai nuovi assunti. Quindi una parte rilevante del mercato continuerà a sostenere le stesse procedure e gli stessi costi per i licenziamenti coperti dall’articolo 18. Il doppio binario è indubbiamente una complicazione ulteriore. Gestire lavoratori con regole diverse all’interno della stessa azienda può generare confusione, quindi errori, quindi potenziale contenzioso”.

Che tipo di errori?

“La nuova legge può ingenerare un eccesso di fiducia nel datore di lavoro o comunque atteggiamenti di leggerezza nei licenziamenti o nei cambiamenti di mansione. Ancora il quadro non è chiaro sulla possibilità di demansionare o variare le mansioni di un dipendente. Il decreto introduce una certa flessibilità interpretativa e un’interpretazione troppo estensiva può generare conflitti. Comunque è anche la consulenza stragiudiziale, che attualmente occupa il 70% del nostro lavoro, che potrebbe cambiare. Almeno in parte.”

In quale direzione?

“Potrebbe essere più frequente la richiesta di consulenza nella redazione e negoziazione del contratto di lavoro. E potrebbe tornare l’attenzione su istituti spesso passati in secondo piano negli ultimi anni, come per esempio la mobilità interna o gli orari di lavoro.”

La riforma può spingere verso una maggiore contrattazione individuale?

“Ci aspettiamo che il contratto individuale di lavoro torni ad essere centrale. Così come per i dirigenti, anche per i normali dipendenti avrà senso contrattare condizioni migliori prima di firmare l’assunzione. Va in questa direzione l’esperienza di altri Paesi, come la Spagna, dove i contratti a tutele crescenti sono applicati già da tempo. Penso per esempio alle intese sull’anzianità convenzionale di servizio: nel momento in cui, in caso di licenziamento, è previsto un risarcimento di due mensilità per ogni anno di anzianità aziendale, con un minimo di 4 mensilità, spostare le lancette all’indietro e riconoscere al lavoratore un’anzianità maggiore può fare la differenza. Soprattutto nella fase di transizione, in attesa che il quadro normativo venga completato e chiarito, ritengo verosimile che ci siano imprenditori disposti a concedere qualcosa in più al neo-assunto”.

 Tornando ai salari, cambierà la contrattazione collettiva?

“Il nuovo contratto a tutele crescenti rende più flessibile l’uscita. E’ possibile che ci sia una maggiore flessibilità anche nel contrattare i salari: è un ulteriore aspetto lasciato aperto dalla riforma. Per ora lascerei un punto interrogativo ma potrebbe andare effettivamente nella direzione di una maggiore contrattazione a livello aziendale”.

Cambia il ruolo del sindacato?

“Certamente, il sindacato dovrà cambiare sia nei rapporti con le aziende che al suo interno. Ci sono molte ragioni perché il livello aziendale torni a rivestire un ruolo centrale nella trattativa. Se la riforma funziona, avremmo imprese meno piccole e siccome è nelle imprese di maggiori dimensioni che i sindacati raccolgono più tesserati, il sindacato continuerà a giocare un ruolo ma su basi modificate. Potrebbe tornare a concentrare i propri sforzi sulla negoziazione delle condizioni di lavoro così come, in caso di riorganizzazioni o licenziamenti collettivi, puntare ad ottenere tutele superiori a quelle di legge. Dovrà anche riformarsi al suo interno, però, rafforzando l’ articolazione territoriale e cercando di attrarre i tanti lavoratori, dalle Partite Iva ai somministrati, che oggi non sono sindacalizzati”.

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