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Facebook e blockchain: sarà vero amore?

All’inizio di maggio Zuckerberg ha messo al lavoro un team guidato da Davis Marcus per esplorare la possibilità di portare dentro Facebook la tecnologia della blockchain, quella usata per le criptovalute – Grandi potenzialità ma anche moltissimi dubbi.

Facebook e blockchain: sarà vero amore?

L’attivismo di Facebook

Non si può certo dire che il gruppo dirigente di Facebook se ne stia a cantare dopo la valanga che le è caduta addosso. Non mancano certo l’energia, le idee e le azioni nel campus di Memlo Park. Questo attivismo è qualcosa che va senz’altro ascritto a merito di Mark Zuckerberg e del suo team, un team composto essenzialmente da tecnologici. È quindi naturale che il loro pensiero sia rivolto in primo luogo alla tecnologia anche se Facebook è diventato qualcosa di molto di più di una compagnia meramente tecnologica. Secondo Steve Bannon, per esempio, è ormai una public utility e come tale va regolata. Una eventualità che toglie il sonno a parecchia gente. E allora non si può stare con le mani, qualcosa bisogna fare prima che venga domani.

Qual è l’idea più disruptiva con la quale il gruppo dirigente di Facebook sta filtrando? È quella di trasformare la natura stessa del social media convertendolo da una struttura centralizzata a una struttura decentrata. “Molti di noi hanno scelto di lavorare nella tecnologia con la convinzione che essa può essere una forza decentrata in grado di mettere più potere nelle mani delle persone”, ha scritto Zuckerberg nel suo messaggio di fine anno. Invece è successo l’inverso: ha prevalso la centralizzazione che ha finito per concentrare il potere invece di distribuirlo. Con la concentrazione di questo potere è venuto il successo e i quattrini, ma sono venuti anche tanti problemi che adesso minacciano il successo. Per questo il fondatore di Facebook ha deciso di esplorare soluzioni in controtendenza alla centralizzazione.

Una criptovaluta di Facebook?

All’inizio di maggio Zuckerberg è passato all’azione: ha chiesto a David Marcus di guidare un piccolo team per esplorare la possibilità di portare dentro Facebook la tecnologia della blockchain, il registro decentralizzato di attività che sta infiammando l’immaginazione non solo degli innovatori ma anche del grande potere economico e finanziario costituito e addirittura di intere nazioni come la Svizzera. David Marcus, di origine francese ma cresciuto – appunto – in Svizzera è un executive di peso. Il suo curriculum è veramente fuori dal comune. Unitosi a Facebook quattro anni fa, dopo essere stato presidente di PayPal per un biennio, ha preso in carico Facebook Messanger dove ha implementato un sistema di pagamento peer-to-peer. Recentemente Marcus è entrato a far parte del Consiglio di amministrazione di Coinbase, una delle più grandi piattaforme di scambio di bitcoin e di ether del mondo.

C’è ormai la diffusa convinzione che la blockchain ha la potenzialità di costruire un mondo del tutto nuovo nel campo dei commerci e delle relazioni nel ciberspazio, grazie alla sua capacità di fare a meno di qualsiasi struttura di intermediazione centralizzata, come sono, in effetti, anche server e i data center di Facebook.

Facebook non ha diffuso alcun dettaglio sulla missione di Marcus per cui occorre andare in cerca di indizi per capire quello può essere lo scopo e lo sbocco di tale sperimentazione. Per esempio, Facebook potrebbe usare questa tecnologia per gestire i pagamenti sui social network attraverso una propria criptovaluta. Questa potrebbe essere lo sbocco più semplice e naturale del lavoro del team guidato da Marcus. Ma c’è molto di più

Oltre la criptovaluta

Infatti potrebbero esserci degli scopi più ambiziosi nel lavoro di Marcus. La blockchain potrebbe fornire delle soluzioni per impattare direttamente le attuali criticità del social network che si sono pienamente manifestate nell’ultimo periodo e cioè la privacy e le fake news. La blockchain potrebbe essere lo strumento per decentralizzare definitivamente il trattamento dei dati personali

e consegnarne il controllo nelle mani degli utenti stessi. La blockchain infatti è in grado di supportare gli smart contract, che regolano transazioni o relazioni, nei quali i soggetti possono definire dei permessi di accesso ai propri dati e alle proprie attività.

Ma potrebbe essere anche lo strumento per identificare e neutralizzare i propagatori di fake news. Impostando una chiave pubblica per individuare l’identità degli utenti all’interno della blockchain sarebbe possibile limitare la diffusione dello hate speech e la propaganda terroristica.

Ci sono già degli esperimenti in corso soprattutto nel campo del giornalismo e dell’informazione. Facebook potrebbe avere le risorse per portare queste iniziative fuori dalla marginalità.

La blockchain, inoltre, potrebbe essere la soluzione per trasformare il social media da un servizio totalmente gratuito in un servizio con micropagamenti, facilmente gestibili con la blockchain, a doppio binario per l’acquisizione di servizi da parte degli utenti e per l’acquisizione di dati e contenuti da parte del social media.

Facebook infatti potrebbe creare una propria criptovaluta con cui regolare le transazioni all’interno del social media anche quelle realizzate da terze parti che attualmente accusano Facebook di introitare tutti i benefici economici delle attività che vi si svolgono anche se motorizzate da terze parti.

Combattere le minacce della concorrenza

Forse l’avventura di Facebook nella blockchain risponde più a una esigenza di tipo strategico. Zuckerberg & co. sono stati sempre attenti a neutralizzare qualsiasi azione concorrente nel campo dei social media. È questa la logica che ha portato ad acquisire Whats app, quindi Instagram e a clonare i servizi più innovativi di Snapchat una volta sfumata la sua acquisizione. La stessa ratio potrebbe muovere le iniziative collegate alla blockchain che in effetti, proprio per il carattere basilare e generale di questa tecnologia, potrebbe dar luogo ad attività concorrenziali pericolose.

Un competitor c’è già e ha le caratteristiche per far nascere qualche preoccupazione. Si tratta di Telegram, il servizio di messaggistica istantanea fondato dai fratelli russi Nikolai e Pavel Durov. Telegram ha tutto quello che manca a Facebook e che gli servirebbe per uscire dalle criticità che pesano sul suo futuro. Con Telegram le conversazioni sono cifrate punto-punto e salvate sul dispositivo dell’utente e non sui server centrali del social media. Telegram ha già una soluzione avanzata per applicare la tecnologia blockchain debitamente rivisitata, il Telegram Open Network (TON). Per questo progetto i fratelli Durov hanno raccolto, con una ICO epica, 1,7 miliardi di dollari in criptovaluta sottoscritti e da investitori anche istituzionali. Telegram ha già 70 milioni di utenti attivi.

Ci sono altre iniziative che guardano alla blockchain come il nuovo paradigma tecnologico per i social media e la messaggistica. C’è Kik, un’app di messagistica, che ha lanciato i propri token digitali e sta implementando un sistema di pagamento basato sulla criptovaluta. C’è Steemit, una piattaforma di social media, che ricompensa gli utenti che collocano dei post con pagamenti in criptovaluta.

Conviene la decentralizzazione a Facebook?

Ci sono molti osservatori che nutrono grandi perplessità sul matrimonio tra Facebook e la blockchain. Facebook è oggi un’impresa molto centralizzata: ha 25mila dipendenti in California, vari data center e 2miliardi e mezzo di utenti mensili le cui attività tendono ad essere gestite centralmente. La forza di Facebook sta in un database centralizzato che si fa carico dei contenuti e delle relazioni. Facebook è oggi una struttura ipecentralizzata che è impegnativo reindirizzare verso la decentralizzazione che è il principio portante della blockchain. Se diventasse una struttura decentralizza, come è implicito nella decisione di implementare la blockchain, probabilmente Facebook perderebbe il contro sui propri utenti.

Il che è un male peggiore della cattiva stampa, del Congresso americano, dell’Unione europea e di Steve Bannon. Forse l’unione tra Facebook e la blockchain non è amore, ma un calesse.

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