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Agricoltura sostenibile: i rifugiati stranieri vanno a lezione

Il progetto promosso da Reale Foundation per reclutare manodopera ed avere un Made in Italy alimentare trasparente. Una piattaforma per domanda ed offerta

Agricoltura sostenibile: i rifugiati stranieri vanno a lezione

Non è solo questione di pandemia.  La manodopera nell’agricoltura italiana scarseggia da lungo tempo a causa di errori diffusi e di politiche poco attente al maggiore export italiano.

Misurarsi con il fenomeno vuol dire cercare anche strade diverse per rimettere in sesto le aziende e non mancare appuntamenti importanti come quelli dettati dall’agenda europea sull’agroalimentare.

Nelle campagne si combatte come non mai tra necessità di ripresa dallo shock pandemico e maggiore produzione di qualità. Vincere essendo sostenibili, puliti e a posto con leggi e salari sono tratti distintivi di un ‘epoca di svolta – come si dice spesso- dai campi alla tavola. Il programma di formazione per l’inclusione sociale in agricoltura “ Cultum change” presentato in questi giorni, viene accreditato come una soluzione avanzata.

 Nasce da un’idea di Reale Foundation con aggregati UNHCR, Università di Tor Vergata, Senior Età della Saggezza, Federazione Apicoltori Italiani, Rete Fattorie Sociali, Ente di formazione Enapra. Reale Foundation del Gruppo Reale mette in campo la propensione agli aiuti in un settore fiaccato da scarsa manodopera, eventi climatici e caporalato incontrollato. Il target utile a far decollare “Cultum change” sono le aziende agricole e i piccoli produttori che hanno bisogno di specializzazioni. Nel progetto Confagricoltura ha assunto l’impegno di selezionare le imprese, non solo in base ai criteri produttivi, ma anche in base a sistemi di sostenibilità.

Se in un’azienda agricola entra un giovane immigrato, la sua condizione deve essere quella di rifugiato o di titolare di protezione internazionale. Il suo lavoro sarà riconosciuto e le sue attitudini valorizzate.  Insomma, si tenta un passo avanti verso il riconoscimento di diritti fondamentali della persona e del lavoratore in quanto tale. Si cerca di chiudere la porta all’infinito elenco di sfruttamento e di sottomissione umana.

Una odiosa e oscura condizione che, purtroppo, sta dietro a molti successi del made in Italy agroalimentare e su cui pesano mancati controlli sul territorio. Trucchi di imprenditori furbi. “L’accesso a questi percorsi formativi in ambito agricolo – dice Chiara Cardoletti, rappresentante di UNHCR- è per le persone rifugiate un’occasione preziosa per migliorare e riqualificare le proprie competenze, accrescendo le opportunità di inserimento lavorativo dignitoso e lontano da dinamiche di intermediazione illecita e sfruttamento”.

La piattaforma https://www.cultumchange.it/ mette a disposizione dei rifugiati disoccupati corsi di formazione mirati. Le aziende possono documentare sia la disponibilità che le competenze lavorative richieste.  L’incrocio tra domanda ed offerta dovrebbe rendere più fluido il lavoro di reclutamento nei prossimi mesi. Dal punto di vista della Reale Foundation, Virginia Antonini, spiega che il senso del progetto di inclusione sociale va verso ” modelli di produzione e di consumo capaci di correggere gli squilibri sociali e ambientali che minacciano la nostra epoca”. Il lavoro e la manodopera sono essenziali per l’impresa agricola. E se l’agricoltura assume anche il ruolo anche di ammortizzatore sociale per categorie svantaggiate le strade da seguire non possono che essere quelle della chiarezza e del rispetto delle regole.

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