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Vedova e Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco

Il progetto “San Rocco Contemporaneo: in dialogo con Tintoretto” mette in relazione cinque grandi artisti del Novecento internazionale con l’opera del Maestro Manierista – Il primo appuntamento di questo ciclo è dedicato alla figura di Emilio Vedova

Vedova e Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco

La Scuola Grande di San Rocco, che ospita il grandioso ciclo dei Teleri di Jacopo Tintoretto, si apre all’arte moderna e contemporanea con il progetto “San Rocco Contemporaneo: in dialogo con Tintoretto”. il progetto mette in relazione cinque grandi artisti del Novecento internazionale con l’opera del Maestro Manierista.

Il primo appuntamento di questo ciclo è dedicato alla figura di Emilio Vedova, un protagonista della scena internazionale del Novecento e per la prima volta saranno esposte le sue opere che testimoniano il profondo legame che il giovane Vedova sentiva verso l’opera di Tintoretto fino alla maturità dei lavori più recenti, in una mostra Vedova-Tintoretto che resterà aperta fino al 3 novembre 2013 è stata realizzata in collaborazione dalla Scuola Grande di San Rocco e dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova.

Le opere direttamente riferite a Jacopo Tintoretto saranno esposte, secondo il progetto di Germano Celant e Stefano Cecchetto, come in un ideale viaggio e dialogo nel tempo quasi lo spettatore possa rivivere e percepire lo sguardo attento e sensibile che provocò Vedova in quella situazione di forte attrazione mentre il ciclo degli Oltre verrà installato nella Sala Terrena tra le colonne della navata centrale.

Si potranno vedere gli studi di Vedova dal Tintoretto, realizzati in epoche diverse fin dal 1936, due sculture e una grande tela degli anni Sessanta fino al ciclo degli Oltre che l’artista realizzò nel 1985, in un ideale percorso che ritrova Vedova nei luoghi di Tintoretto.

Dal testo critico di Germano Celant: La trasmissione del gesto cromatico da Tintoretto a Vedova si concretizza attraverso elementi  comuni  quali la passione ed il furore, la relazione con la città, Venezia, lo spirito maledetto, il vedere in avanti, la densità interiore, la spinta ad aprire la pittura al volume e la singolarità di una solitudine che “moltiplica le forze mentali e le spinge al parossismo” . Un esistere artistico che insiste sulla densità  del rappresentare  che porta ad una condizione estrema del dipingere, quella di un rito artistico che mette al centro l’essere umano sia come attore che spettatore. E’ il tentativo di riscattare l’essere dall’angoscia della morte e della vita cercando in Tintoretto una risposta  spirituale, connessa con il mondo del sacro, e spingendo Vedova a indagare su un’azione ed una gestualità che nella loro violenza visiva mettono in discussione ogni risposta che non sia fisica e concreta, laica. Di fatto in parallelo all’immersione nella densità cromatica, echeggiata da Tintoretto,  Vedova esprime i suoi conflitti con l’arte e con il sacro, di cui riconosce l’estrema grandezza, con un tentativo di distruzione segnica, condotta attraverso un sentire grafico aggressivo e dirompente “Salita al Calvario”, 1940. Spinge il carboncino e l’inchiostro al limite del visibile, squalifica quasi il visibile a favore di un magma, quasi informe : “Raccolta della Manna”, 1956 e “Erezione del serpente di bronzo”, 1956).

Da quello di Stefano Cecchetto: I due artisti rivelano, attraverso il sipario dello sguardo, l’inquieta  consuetudine del loro immenso immaginario figurativo: guardando la fissità di quei volti appare la consapevolezza che il tempo dell’innocenza è finito, resta ancora il tempo per la confidenza: un tempo più lungo e distante dove è possibile stemperare la memoria, dove è auspicabile mettere in fila i ricordi, non con la procedura di un inventario, ma con la determinazione di riconoscere tutti quei segnali che rivelano le ferite dell’anima, dentro alle quali riemergono innumerevoli silenzi e precipitose discese. E dove ogni ombra di chiaroscuro, ogni indugio, l’incertezza di ogni segno, anche il più lontano e impercettibile dichiara la sua appartenenza alla ricerca di una verità inespressa e alla sublime aspirazione di raccontarla. Il fluido di questa pittura: l’energica esasperazione di questo immaginario visivo, conduce alla condizione di un percorso vitale che svela in ogni dipinto il processo mediatico di un’incessante autobiografia.

Jacopo Robusti detto Tintoretto dalla professione del padre Giovanni Battista, tintore di stoffe e seta, nasce a Venezia nel 1519, data che si deduce dall’atto di morte del 31 maggio 1594 nel quale è indicato settantacinquenne. Intorno al 1550 sposa Faustina Episcopi madre, fra gli altri, di Marietta (1554 circa), Domenico (1560) e Marco (1561), anch’essi pittori attivi nella organizzata bottega de lpadre. Appena ventenne Jacopo è già un maestro indipendente; gli anni della sua formazione incrociano quindi quel periodo vitalissimo nel quale la scena pittorica veneziana si rinnova profondamente sotto l’urgenza degli stimoli manieristici. Le prime opere dell’artista risentono di questo particolare clima e sono ricche di suggestioni stilistiche che rimandano alla scioltezza di invenzione di Bonifacio Veronese e dello Schiavone.

Le prime prestigiose affermazioni si riscontrano già nel 1547 con alcune significative opere: L’ultima cena per la chiesa di San Marcuola e il Miracolo di san Marco dipinto nel 1548 per la Scuola Grande di San Marco e ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Con una tensione interiore che sfocia nella poetica luministica, fuori dalle convenzioni accademiche, Tintoretto affronta i grandi temi religiosi e laici in assoluta indipendenza dagli altri protagonisti della scena artistica veneziana di allora e, se nelle tele celebrative di Palazzo Ducale si avverte la presenza della bottega, nelle opere di storia sacra si conferma invece il segno distintivo di una pittura in solitudine. In opere quali Le nozze di Cana del 1561, nel nuovo ciclo di teleri realizzato per la Scuola Grande di San Marco tra il 1562 e il 1566 – tra cui figura Il ritrovamento del corpo di san Marco – e nei grandi dipinti per la chiesa della Madonna dell’Orto, Tintoretto conferma la trama del chiaroscuro nella dinamica grandiosità di una concezione scenica pervasa da una costante inquietudine esistenziale. Ritroviamo la stessa inquietudine nello spettacolare ciclo della Scuola Grande di San Rocco, iniziato nel 1564, nel quale l’artista afferma il suo eccezionale talento e la sua visionaria forza espressiva. Le pagine straordinarie della sua pittura rivelano, nel racconto di questi teleri, tutta suoi la forza dell’impresa: ogni tela rimane nel luogo dove il pittore l’ha pensata, vista e voluta, in un edificio che diventa la sua Cappella Sistina. Jacopo Tintoretto si distingue anche per la cospicua serie di ritratti realizzati nel corso della sua lunga vicenda artistica; molto ricercato dalla nobiltà veneta e dalle personalità istituzionali della Repubblica, l’artista esegue tra gli altri il Ritratto di Alvise Cornaro; il Ritratto del doge Alvise Mocenigo; i ritratti dell’amico Jacopo Sansovino e i due Autoritratti: quello da giovane ora al Victoria and Albert Museum di Londra e lo straordinario autoritratto da vecchio che possiamo ammirare al Musée du Louvre di Parigi.

Emilio Vedova, nato a Venezia da una famiglia di artigiani-operai inizia a lavorare intensamente come autodidatta fin dagli anni trenta dipingendo figure e architetture. Giovanissimo, nel 1942, aderisce al movimento antinovecentista Corrente. Antifascista, partecipa tra il 1944 e il 1945 alla Resistenza e nel 1946, a Milano, è tra i firmatari del manifesto Oltre Guernica. Nello stesso anno a Venezia è tra i fondatori della Nuova Secessione Italiana poi Fronte Nuovo delle Arti. Nel 1948 partecipa alla sua prima Biennale di Venezia, manifestazione che lo vedrà spesso protagonista: nel 1952 gli viene dedicata una sala personale, nel 1960 riceve il Gran Premio per la pittura, nel 1997 riceve il prestigioso Leone d’Oro alla carriera. All’inizio degli anni cinquanta realizza i suoi celebri cicli di opere: Scontro di situazioni, Ciclo della protesta, Ciclo della natura. Nel 1954, alla II Biennale di San Paolo, vince un premio che gli permetterà di trascorrere tre mesi in Brasile la cui estrema e difficile realtà lo colpirà profondamente. Nel 1961 realizza al Teatro La Fenice le scenografie e i costumi per Intolleranza ’60 di Luigi Nono con il quale collaborerà anche nel 1984 per Prometeo. Dal 1961 lavora ai Plurimi, prima quelli veneziani poi quelli berlinesi realizzati, appunto, a Berlino tra il 1963 e il 1964 tra cui i sette dell’Absurdes Berliner Tagebuch ’64 presenti alla Documenta di Kassel nel 1964 dove aveva già esposto nel 1955, nel 1959 e poi nel 1982. Dal 1965 al 1967 lavora allo Spazio/Plurimo/Luce per l’EXPO di Montreal. Svolge un’intensa attività didattica in alcune università americane e successivamente alla Sommerakademie di Salisburgo e all’Accademia di Venezia. La sua carriera artistica è caratterizzata da una costante volontà di ricerca e forza innovatrice. Negli anni settanta realizza i Plurimi Binari dei cicli Lacerazione e i Cosiddetti Carnevali e negli anni ottanta i grandi cicli di teleri fino ai Dischi, Tondi, oltre e in continuum. Riceve numerosi e prestigiosi premi e riconoscimenti. Tra le ultime mostre personali di rilievo la grande antologica al Castello di Rivoli nel 1998 e, dopo la sua scomparsa nel 2006, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e alla Berlinische Galerie di Berlino.

Venezia, Scuola Grande di San Rocco – S. Polo 3054
Lunedì – domenica 9.30 – 17.30 (la biglietteria chiude alle 17)

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