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Mori (Elettricità Futura): “L’energia argine ai populismi in Europa”

Parla il presidente di Elettricità Futura che si dice abbastanza ottimista sull’integrazione europea in materia di energia: “Un’Europa integrata funziona meglio e dà maggiori garanzie di approvvigionamento” – “Anche chi sembra voler resistere, come la Polonia, al momento opportuno gioca le sue carte sul futuro” – Il caso dell’Airbus delle batterie. Sulle rinnovabili fino a 300 miliardi di investimenti in Italia al 2030. “L’Europa deve difendere la leadership. Nel 2050 la mobilità privata sarà elettrica”

Mori (Elettricità Futura): “L’energia argine ai populismi in Europa”

E’ dal mondo dell’energia che potrà arrivare, in un’Europa in tensione per la secessione catalana e ancora sotto choc per l’esito del voto a Vienna, un argine al populismo e alle spinte disgreganti modello Brexit. O per dirla con altre parole, è proprio il settore energetico la molla che può essere vincente verso una maggiore integrazione tra gli attuali 28 (incluso per ora il Regno Unito), a volte rissosi, Paesi membri dell’Unione.

Ad affermarlo è Simone Mori, top manager di Enel come responsabile degli Affari Europei, e presidente di Elettricità futura. Ed è in quest’ultima veste che risponde alle domande di FIRST online. L’associazione è nata nel 2016 dall’unione tra i “termoelettrici” di Assoelettrica e dei produttori green di Assorinnovabili. Una distinzione che non ha più senso dal momento che tutta la generazione elettrica è ormai proiettata verso le rinnovabili e la decarbonizzazione, obiettivo al centro dei target europei al 2030: riduzione dei gas climalteranti del 40% rispetto al 1990; quota di almeno il 27% di rinnovabili sui consumi di energia; almeno il 27% di risparmio energetico rispetto allo scenario a politiche correnti. Ma reggeranno, questi obiettivi, in un’Europa che perde consensi? Quanto durerà la transizione verso quella che si presenta come una rivoluzione epocale? E quale ciclo di investimenti si mette in moto per le aziende italiane?  Ecco le sue risposte.

La Catalogna litiga con la Spagna, l’Austria sbanda a destra e alza barriere anti-immigrazione, il Regno Unito lascerà il club dei 28: le tensioni geopolitiche sono in aumento in Europa spinte dall’avanzata populista. Teme l’impatto di tutto questo sul settore dell’energia dove invece si sta progettando il mondo dei prossimi 40 anni? 

“Tendo ad essere abbastanza ottimista: per carattere, ma anche per ragioni oggettive. La Ue cerca di usare gli strumenti che ha per favorire l’integrazione europea in campo energetico. Certamente vi è una linea delicata là dove si devono conciliare le policy che si decidono a Bruxelles con le scelte operative che rimangono nella disponibilità delle singole nazioni. E’ il caso dell’Italia con la Strategia energetica nazionale (Sen) in corso di approvazione definitiva da parte del governo: andrà sottoposta a Bruxelles.

“Lei mi chiede cosa succederebbe se le politiche nazionali affossassero gli obiettivi europei. Le rispondo che non mi sembra ricorra questa ipotesi: nessuno dei 28 membri Ue ha finora messo in discussione gli obiettivi dell’integrazione energetica, nemmeno i più oltranzisti, dallo Ukip di Farage alle destre dell’Est europeo. E osservo anche un certo clamore mediatico nel proclamare che l’Europa è in pericolo quando Le Pen sale, poi è salva quando vince Macron e di nuovo precipita quando Kurz conquista l’Austria. Teniamo i piedi per terra: che l’integrazione enegetica sia un valore per tutti è piuttosto condiviso in Europa perché un’Europa integrata è più sicura, funziona meglio e risolve con il mutuo soccorso i problemi di approvvigionamento. Inoltre l’Europa ha una posizione di leadership su temi come l’efficienza energetica, le smart grid, la mobilità elettrica e tutto questo conta. E fa argine contro spinte divisive. Non è un caso che proprio poche settimane fa Bruxelles si sia mobilitata per il progetto dell’”Airbus delle batterie”. ”

Di che si tratta?

“Il vice presidente della Commissione, Maros Sefcovic, ha lanciato la proposta di un consorzio modello Airbus nel settore delle batterie per l’auto elettrica. Il punto di partenza è questo: come europei produciamo i motori a scoppio migliori del mondo ma rischiamo che, con la mobilità elettrica appunto, nei cofani delle nostre auto finiscano batterie americane o cinesi. Per questo Sefcovic ha radunato a Bruxelles 14 governi europei, esponenti dell’industria automobilistica e non. L’Italia purtroppo non si è presentata, la Polonia invece ha inviato due rappresentanti del governo e si dice che voglia candidarsi ad ospitare la maxi-fabbrica che nascerebbe dall’intesa paneuropea. Come vede, anche i Paesi che danno l’impressione di voler resistere, per esempio difendendo il carbone, quando poi giocano le proprie carte lo fanno scommettendo sul futuro”.

Smart grid, contatori digitali, risparmio energetico e soprattutto avanzata delle rinnovabili e mobilità elettrica: il mondo dell’energia è in piena transizione. Quanto tempo servirà per completare il processo? Anche sui tempi si giocano i contrasti: Fca con Sergio Marchionne pone dubbi sull’auto a trazione elettrica e parla di “arma a doppio taglio”. 

“Il 2030 è già domani e possiamo immaginare, per quella data, il rafforzarsi di alcune tendenze ma non di più. Gli effetti più visibili di questa rivoluzione noi li collochiamo al 2050. Allora la generazione elettrica sarà a emissioni pressoché zero, vale a dire interamente rinnovabile, e questo beneficio a monte non può non trasferirsi a valle. Nel 2050 la mobilità elettrica avrà soppiantato quella da combustibili fossili nel trasporto privato anche se il trasporto pesante, marittimo ed aereo conserveranno ancora spazi per gli idrocarburi. Nei prossimi anni prevediamo percentuali molto significative di crescita per l’auto elettrica sul venduto nuovo, anche se il tasso di sostituzione sulle auto in circolazione si apprezzerà maggiormente al 2050. E’ comunque molto importante decidere oggi gli obiettivi al 2030 perché determineranno gli investimenti e ce ne porteremo dietro gli effetti al 2050 e oltre”.

Quali target ritenete realistici per l’industria elettrica italiana al 2030?

“Noi prevediamo una riduzione delle emissioni climalteranti al 48% sul 2005; un aumento della penetrazione del vettore elettrico dal 21 al 25%. In altre parole, per ogni caloria consumata, un quarto sarà elettrica. Deloitte prevede un’elettrificazione al 50% al 2050. E una riduzione del 25% dell’intensità energetica, cioè della quantità di energia necessaria per produrre un’unità di Pil. Infine la quota di rinnovabili la proiettiamo al 48-50%, poco al di sopra delle stime del governo con la Sen. Sono obiettivi raggiungibili con uno scenario di consumi elettrici a 340 miliardi di chilowattora annui, ma possono accelerare se salgono i consumi anche per effetto delle politiche che saranno adottate”.

Quanti investimenti può mettere in moto questa “rivoluzione”? 

“Deloitte stima da 220 a 330 miliardi al 2050 solo per l’Italia. In pratica 9 miliardi l’anno. Sono numeri realistici, non li riteniamo straordinari. Il 25-30% andranno in impianti rinnovabili, è chiaro, non solo per aumentare capacità ma per non perderne con il progressivo invecchiamento del parco.. E altrettanto occorrerà investire nel residenziale e nei servizi per promuovere l’efficienza energetica. Il resto verrà indirizzato sulle reti di distribuzione digitali, sugli accumuli, sulla promozione dell’auto elettrica”.

Ma ci sono le condizioni per fare una massa così rilevante di investimenti? E soprattutto quali ricadute avrà sulle bollette elettriche? Nel fotovoltaico sono stati investiti più di 50 miliardi in cinque-sei anni e paghiamo ancora 12,4 miliardi di incentivi sulle bollette. 

“Le condizioni per investire ci sono. Inoltre il carico degli incentivi sulle bollette ha raggiunto il suo picco e decrescerà in modo significativo. Si apre dunque un cuneo per risorse disponibili : una parte andrà a sostegno delle industrie energivore italiane, ma una parte è verosimile destinarla a nuovi investimenti nelle fonti rinnovabili. Parliamo di 200 milioni l’anno, secondo le stime di Althesis, un livello più che sopportabile. Il meccanismo c’è già ed è quello delle aste sperimentato per gli impianti più grandi. E questo risolverà il problema degli incentivi in rapporto al costo che si scarica sulla collettività. Resta aperta la questione di come confrontare il prezzo d’asta con quello di mercato visto che l’Europa si è data un’orizzonte di breve termine, non esistono contratti di lungo periodo e la volatilità è elevata. L’entrata in vigore del capacity market, che remunera gli impianti disponibili a coprire la domanda quando serve, dovrebbe essere vicina dopo anni di un dibattito infinito. E anche questo stabilizzerà il mercato”.

Ma con le elezioni italiane ormai in dirittura d’arrivo non si rischia di dover ricominciare tutto daccapo? 

“Il ciclo politico è sempre da mettere in conto, la Sen è un atto di indirizzo, sul capacity market credo ci siano le condizioni per essere ottimisti”.

Al governo di oggi o di domani cosa chiedete?

“Essenzialmente chiediamo obiettivo chiari che consentano alle aziende di fare programmazione; chiediamo di evitare balzi in avanti o marce indietro e di mantenere una progressività. Per esempio chiediamo un piano triennale per le aste delle fonti rinnovabili, come si fa i Francia o Germania, anziché decreti annuali che arrivano a dicembre quando le aste partono in marzo. Infine chiediamo semplificazione amministrativa per il repowering degli impianti e che una parte delle aste venga riservata ai nuovi parchi da realizzare”.

Un’ultima battuta sulla piena liberalizzazione del mercato che scatterà dal 1° luglio 2019. Riguarderà 20 milioni di famiglie, più o meno. Molti temono possa portare ad aumenti dei prezzi. Ma soprattutto vi è la necessaria trasparenza sul mercato per garantire offerte chiare e confrontabili e operatori affidabili? Con l’energia non si scherza. Come associazione cosa potete fare? 

“L’elettricità è un bene insostituibile, sia per le famiglie e che per le industrie 4.0. E’ fondamentale che venga offerto nel modo più competitivo ma anche sofisticato e avanzato possibile. Come garantire che il mercato non vada a danno di consumatori che non possono o non vogliono fare scelte di consumo più sofisticate o innovative? A tutti, sia chiaro, vanno garantite offerte trasparenti e in linea con i loro bisogni. Va riconosciuto che il nostro mercato è piuttosto evoluto con un buon tasso di cambio tra gestori e contatori digitali di seconda generazione già in corso di installazione quando in Francia e Germania sono molto più indietro. Tuttavia margini di miglioramento ci sono. La proliferazione del numero di soggetti sul mercato, oltre 500, è un unicum italiano. E non tutti hanno quelle caratteristiche di stabilità e i requisiti economico-finanziari tali da garantire il servizio. L’elenco dei fornitori atteso per fine anno, al quale stiamo contribuendo nell’ambito della consultazione con l’Autorità per l’Energia, dovrebbe consentire di lasciare sul mercato solo gli operatori sani. Diciamo che serve un sistema di regole che aiuti il gioco della concorrenza ma senza ingessarla. E l’Authority a volte è stata tempestiva, altre ha finito per inseguire gli operatori”.

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