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Merger leveraged buy out, ecco perché l’Agenzia delle Entrate li contesta

Da qualche anno l’Agenzia delle entrate contesta la totalità delle operazioni dei fondi di private equity di merger leveraged buy out, per evitare che la base imponibile venga ridotta – Le argomentazioni usate sono: inerenza del costo, elusività della manovra e applicazione della normativa legata al transfer price – Ma leggi e linee Ocse dicono il contrario

Merger leveraged buy out, ecco perché l’Agenzia delle Entrate li contesta

L’Agenzia delle Entrate ha già da qualche anno contestato la totalità delle operazioni di merger leveraged buy out (di seguito MLBO) con l’obiettivo di evitare che la base imponibile, costituita dalla società oggetto dell’acquisizione (di seguito Target), venga ridotta per effetto degli interessi passivi connessi al finanziamento assunto per la realizzazione dell’acquisizione.

A tal fine l’Agenzia ha utilizzato diverse argomentazioni che si possono  qui di seguito riassumere:
– Inerenza del costo ex art. 96 TUIR;
– Elusività della manovra;
– Applicazione della normativa legata al Transfer price.

I tratti essenziali delle operazioni di MLBO sono i seguenti: più frequentemente si tratta di operazioni effettuate da fondi di Private equity o esteri per acquistare società italiane (Target). Il Fondo, anche in virtù di norme regolamentari, costituisce una società veicolo di diritto italiano (Newco) che viene fornita delle risorse necessarie mediante dotazione di equity, capitale e sovrapprezzo, fornito dal fondo stesso, oltre che da una quota di debito messo a disposizione dal ceto bancario e garantito essenzialmente dalle azioni della società Target.

La Newco acquisisce il controllo o la totalità del capitale della società Target e si fonde con quest’ultima. Dal punto di vista civilistico la liceità dell’operazione non è più in dubbio per effetto della legge 31 ottobre 2001 n. 366 che ha delegato il Governo ad emanare la riforma del codice civile che tra l’altro ha previsto all’art. 2501 bis operazioni di tal fatta corredandole di una serie di cautele riguardanti l’equilibrio economico finanziario dell’operazione oltre che adeguati obblighi informativi, il tutto ispirato al principio della ragionevolezza.

Con l’introduzione dell’art. 2501 bis il Legislatore ha voluto dichiarare espressamente la legittimità delle operazioni di MLBO superando in maniera netta tutte le perplessità al riguardo. Per effetto dell’evoluzione normativa e del mantenimento dell’art. 2358 Cod. Civ. (che non ha nulla a che vedere con le operazioni di MBLO) si deve discendere che lo schema classico di traslazione del debito sulla Target deve considerarsi lecito e che anche le operazioni che perseguono lo stesso obiettivo ma con modalità diverse debbano, parimenti considerarsi lecite, purché vengano realizzate nel rispetto delle modalità e dei principi indicati nell’art. 2501 bis del Cod. Civ.

Sul tema dell’inerenza degli interessi, una recente sentenza di Cassazione sez. trib. 25  novembre 2011 n. 24930 ha riaperto un dibattito che sembrava ormai chiuso grazie ad un consolidato orientamento giurisprudenziale che si era formato nel corso degli anni. A riguardo per non ricadere in strumentali applicazioni di singoli pronunciamenti è importante rammentare brevemente l’evoluzione normativa che ha portato all’attuale assetto dell’art. 63 del TUIR che regola la disciplina degli interessi passivi per i soggetti IRPEF, soggetta al sindacato dell’inerenza, e dell’art. 96 del TUIR che per i soggetti IRES determina l’ammontare degli interessi passivi deducibili, non soggetti al sindacato dell’inerenza, ad un percentuale pari al 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica.

Il mancato richiamo alla disciplina dell’inerenza nel contesto dell’art. 96 TUIR non può essere attribuito ad una semplice dimenticanza ma trattasi di una deliberata scelta del Legislatore. Infatti il meccanismo forfettario di cui all’art. 96 TUIR ha individuato un parametro univoco per la determinazione della deducibilità degli interessi passivi risultanti dalle scritture contabili e dalla relativa documentazione di appoggio.

E’ altresì facilmente intuibile il diverso meccanismo previsto per i soggetti IRPEF (imprenditori individuali) dove è più facilmente sovrapponibile la sfera personale a quella imprenditoriale, da qui la necessità di “mantenere” il sindacato di inerenza. In ogni caso, nell’analisi relativa alla deducibilità degli interessi passivi nelle operazioni di MLBO, qualora dovesse prevalere in maniera residuale la tesi relativa al sindacato dell’inerenza, sembra veramente difficile negarla nella fattispecie in esame.

Non appare infatti possibile negare l’inerenza degli interessi pagati per i prestiti contratti per l’acquisto di partecipazioni ovvero per l’attività di investimento rientrante nell’attività d’investimento rientrante nell’operatività ordinaria dell’impresa. Non esiste nessuna preclusione, sotto il profilo dell’inerenza, alla deducibilità degli interessi passivi sostenuti dalla holding in relazione al debito contratto per l’acquisto della partecipazione sarebbe comunque deducibili nell’ambito del consolidato. Tale istituto permette di utilizzare il ROL non sfruttato di altre società del gruppo (anche estere qualora ne ricorrano i presupposti) e l’art. 96 TUIR conferma che gli interessi possono essere dedotti facendo riferimento alla capacità reddituale complessiva del “consolidato”.

L’Amministrazione finanziaria ha anche percorso la strada dell’elusione e dell’abuso per contestare la validità delle operazioni di MLBO. Asserita la liceità civilistica dell’operazione secondo lo schema tracciato dall’art. 2501 bis, in quanto l’evoluzione normativa ha definitivamente chiarito che la traslazione del debito, contratto per l’acquisizione, sulla stessa Target non viola il divieto di assistenza finanziaria stabilito dall’art. 2358 Cod. Civ., si dovrebbe dedurre che restano altrettanto lecite le operazioni condotte al di fuori dello schema indicato dall’art. 2501 bis ma altrettanto rispettose di tutti gli obblighi procedurali e d’informazione previste dal su citato art. 2501 bis Cod. Civ.

Detto questo il tema della presunta elusività resta di difficile comprensione in quanto la scelta di procedere alla fusione ex art. 2501 bis non genera nessun beneficio fiscale indebito: è pacifico, infatti, che l’applicazione dell’istituto del  consolidato fiscale comporterebbe il medesimo livello d’imposizione. Resta da esaminare il concetto di “ragionevolezza” dei programmi economici finanziari quale ulteriore motivazione, seppure estremamente debole avendo accertato l’assenza di qualunque indebito vantaggio fiscale derivante dalla fusione.

La sindacazione di comportamenti soggettivi dell’imprenditore, persona giuridica, appare irrilevante in presenza degli obblighi previsti dall’art. 2501 bis che prevedono la relazione dell’esperto e in alcuni casi l’intervento della società di revisione. Ne consegue che in presenza di una equilibrata struttura del debito e di un piano economico finanziario ragionevole che dimostri la sostenibilità  dell’operazione le valide ragioni economiche ne sono una logica conseguenza. Nella maggior parte dei casi sono le stesse banche finanziatrici a richiedere che il debito sia trasferito quanto più possibile vicino ai flussi in modo tale da ottenere una maggiore garanzia per il security package che accompagna tutte le operazioni di “acquisition finance”, talché il realizzo della fusione ex art. 2501 bis diventa l’unico modo per portare a termine l’operazione.

L’Amministrazione finanziaria nel caso di operazioni MLBO effettuate da soggetti non residenti ha motivato i propri rilievi richiamando la normativa sul transfer price. In tale circostanza non è stata contestata la deducibilità degli interessi passivi ma è stato imputato alla società risultante dalla fusione un maggior ricavo pari al costo dell’indebitamento traslato quale corrispettivo per il servizio che la Newco/Target avrebbe svolto a favore della controllante non residente. Proprio la natura di non residente della controllante giustificherebbe secondo l’Amministrazione finanziaria l’applicazione della normativa in materia di “transfer price”  contenuta nell’art. 110 comma 7 del TUIR.

Ciò comporterebbe, secondo una errata interpretazione delle linee guida OCSE, relativamente alle “shareholders activities” una attività della controllata italiana a favore e nell’esclusivo interesse della casa madre non residente. Attraverso questa interpretazione l’Amministrazione finanziaria ribalta completamente le indicazioni fornite dall’OCSE che nel caso specifico indica quali sono i costi che la casa madre non può addebitare alle controllate per le attività svolte a favore di quest’ultima in qualità di azionisti. In buona sostanza il tema affrontato nelle linee Guida OCSE riguarda i servizi resi dalla controllante alla controllata con l’intento di stabilire quando può giustificarsi l’addebito di un costo per un servizio prestato. Ne consegue che se fosse dimostrato che la casa madre avesse prestato i propri servizi alla controllata in relazione ad un acquisto di una partecipazione da questa effettuata ne deriverebbe titolo perché la casa madre addebiti un costo e non viceversa. Secondo i principi OCSE i costi dell’indebitamento devono gravare sul soggetto che lo utilizza per la sua attività.

Più precisamente il paragrafo 7.10 lett. c) delle linee Guida OCSE preclude alla capogruppo che intende acquisire una partecipazione addebitare alla partecipata i costi sostenuti per il reperimento dei fondi necessari per l’acquisizione. Sempre lo stesso paragrafo al secondo capoverso stabilisce che una società facente parte di un gruppo che intende acquisire una partecipazione utilizzando risorse reperite e messe a disposizione dalla capogruppo deve sopportare i relativi costi dell’indebitamento, determinando così a carico del soggetto che ha effettuato l’acquisto impiegando le risorse fornite, i costi della raccolta ivi compresi e se prestato, il costo del servizio della casa madre. Anche in questo caso in presenza di una Newco residente e di una Target residente ricorrerebbero tutti i presupposti per la tassazione consolidata.

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