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Let it bean! Legumi, una proteina a basso costo che fa bene alla salute e all’ambiente

Considerati la carne dei poveri sono stati un’alternativa sostenibile sino al secondo dopoguerra ma nel tempo sono stati trascurati. La rete Slow Beans promuove una serie di appuntamenti per sensibilizzare tutti a una nuova cultura dei legumi piatto base della dieta mediterranea e a un rapporto sano e concreto con il cibo fondamentale per la nostra salute

Let it bean! Legumi, una proteina a basso costo che fa bene alla salute e all’ambiente

Sostenibilità, sicurezza alimentare e alimentazione sana. I legumi sono un cibo umile e semplice, spesso sottovalutato, ma che offrono importanti opportunità non solo sul piano nutrizionale, provvedendo a un adeguato apporto proteico per tutti, ma anche ambientale ed economico, dato che i costi di produzione sono decisamente inferiori rispetto all’analogo quantitativo di proteine di origine animale.

Per questi motivi, TerraMadre ha promosso una serie di eventi legati ai legumi, al consumo responsabile e alla riscoperta di varietà “dimenticate”. Un ciclo di incontri itinerante per far conoscere i prodotti leguminosi dei vari territori e le loro peculiarità, attraverso le testimonianze degli agricoltori, la storia e la preparazione dei piatti a base di legumi con un chef locale. Inoltre, partecipano anche i sindaci che esprimeranno tutto il loro sostegno verso la coltivazione dei legumi locali.

L’iniziativa è promossa della rete italiana Slow Beans in collaborazione con Meatless Monday, il movimento di origine Statunitense che propone appunto i lunedì free-meat per migliorare la nostra salute e quello del pianeta. Disponibili anche sul canale YouTube di TerraMadre, gli appuntamenti evidenziano tutte le azioni della rete italiana a sostegno di un cibo semplice e genuino a livello mondiale.

Slow Beans nasce oltre 10 anni fa, dall’aggregazione spontanea di produttori Slow Food, ambasciatori ed estimatori di piatti a base di legumi della tradizione, sani e gustosi. L’idea è quella di sensibilizzare la popolazione su un’alimentazione sana, che sappia distinguere le materie prime di qualità, con un occhio sempre orientato verso la sostenibilità ambientale. Ma ci sono anche altre iniziative promosse da Slow Beans: il format “fagioliadi”, in cui il pubblico assaggia i piatti cucinati dai produttori e li giudica in base a 4 parametri; le mostre itineranti “ facce da fagiolo”; la diffusione del modello di accoglienza delle mostre-mercato, la partecipazione a convegni, i “forzieri di Slow Beans” che permettono di acquistare una selezione “rara” di legumi, difficili da reperire.

“Siamo un gruppo senza struttura eppure coeso, affrontiamo le diversità giungendo per ora sempre a iniziative condivise – afferma Laura Solinas, membro della rete Slow Beans e del Presidio Fagiolo gialèt della Val Belluna -.Siamo innamorati non solo del “nostro” legume, ma dell’approccio Slow Food alla biodiversità coltivata in modo pulito, che si conserverà fino a che avremo persone (co-produttori prima che clienti) che hanno il piacere di cucinare e mangiare i nostri tanti localissimi legumi, e la capacità di distinguerne le caratteristiche. Siamo conoscitori di quel che coltiviamo, dalla terra alla tavola: una rara competenza di filiera!” E aggiunge: “Abbiamo una visione ampia: una umanità che recuperi un rapporto sano e concreto col cibo, che sappia distinguerne i gusti e metterli in relazione con la produzione e con gli effetti sull’ecosistema, che si nutra anche di relazioni con chi la terra la coltiva mantenendola fertile per le generazioni future”.

Tra i legumi che Slow Beans vuol fare riscoprire ci sono: le cicerchie molto diffuse in epoca Romana; la roveja, una sorta di pisello selvatico molto saporito che cresce anche in montagna; il maracuoccio del Cilento, piccolo legume usato sotto forma di farina. Non possono mancare le varietà di fave, che consumiamo quasi esclusivamente importate; le lenticchie, ceci, lupini, piselli e molti altri ancora.

Se guardiamo i dati elaborati dal Centro Studi di Confagricoltura la produzione e il consumo di legumi è nettamente peggiorato. Circa 60 anni fa, nel nostro Paese si producevano all’incirca 1,2 milioni di tonnellate di legumi, soddisfacendo un consumo annuo pro capite di 13 kg. Nel 2011, invece, la produzione dei legumi si è ridotta del 63% rispetto agli anni ’60, con un consumo procapite inferiore ai 6 kg. Sebbene negli ultimi 8 anni ci sia stata una timida ripresa della produzione (circa 1/3 del 1960), il consumo annuo di legumi nel 2020 è arrivato a 9 kg.

Ma perché i legumi sono sostenibili e nutrienti? Dal punto di vita ecologico, I legumi hanno nelle loro radici dei batteri in grado di assorbire l’azoto dall’atmosfera e trasferirlo al suolo, così da ridurre l’uso dei fertilizzanti chimici e, allo stesso tempo, aumentare la fertilità di terreni agricoli. Dal punto di vista dei nutrienti, i legumi forniscono carboidrati complessi e grassi polinsaturi, fibre, vitamine (B1 E H) e sali minerali, quali ferro, magnesio e zinco. Noto come “carne dei poveri”, sono una fonte proteica vegetale salutare, utile ai diabetici e chi vuole mantenere il peso forma perché danno un senso di sazietà. Sono ricchi di antiossidanti, privi di colesterolo e aiutano a prevenire malattie cardiovascolari. Inoltre, sono estremamente versatili in cucina, si possono fare zuppe, pasta, burger o semplicemente inserirli nelle insalate per renderle più appetitose.

È un mercato di nicchia, ma con un grande potenziale. Un prodotto che sino al secondo dopoguerra ha garantito un’alimentazione proteica sufficiente, ma nel tempo è stato dimenticato. Bisogna valorizzare le diverse varietà locali, ma soprattutto mantenere l’identità gastronomica di quelle aree che spesso vengono abbandonate.

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