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Google e Alibaba tolgono il sonno ai banchieri: così la tecnologia rivoluzionerà l’asset management

Dopo Alibaba, che ha creato il fondo comune a maggior crescita di sempre, ora Google si prepara a entrare nelle gestioni patrimoniali – La tecnologia sta rivoluzionando il risparmio gestito – Uno studio di Kpmg (“Investing in the future”) sull’avanzata dei colossi high tech nel mondo dei servizi finanziari – I megatrend che accerchiano la finanza

Google e Alibaba tolgono il sonno ai banchieri: così la tecnologia rivoluzionerà l’asset management

In principio fu Jack Ma. Il cinese visionario fondatore di Alibaba da ormai più di un anno sta sconquassando i servizi finanziari asiatici con il suo Yu’EBao, fondo monetario online che remunera meglio dei depositi bancari (il 6% quando è stato lanciato a giugno 2013) e permette di avere liquidità istantanea. E così 100 milioni di cinesi hanno smesso di tenere molti dei loro soldi in banca per correre a versarli sulla piattaforma di Alibaba: alla fine di aprile totalizzava 90 miliardi di dollari arrivando a pesare per più di un terzo del totale del business dei fondi monetari cinesi (che a loro volta contano per circa il 30% di tutta l’industria dell’asset management). Il che ha reso Yu’EBao il fondo comune a maggiore crescita di sempre. Solo tre fondi di investimento Usa sono più grandi (sopra i 100 miliardi di dollari) ma sono stati su piazza per molto più tempo: Vanguard Prime, Fidelity Cash riserve, JpMorgan Prime.

Mentre Jack Ma è pronto a lanciare Yu’EBao anche ad Hong Kong, il cantiere che si candida a mettere insieme bit e bigliettoni, tecnologia e risparmio, è ormai aperto. Google, ha rivelato il Financial Times, già due anni fa aveva chiesto a una nota società di consulenza nel settore dei servizi finanziari un parere su come entrare nelle gestioni patrimoniali. L’intenzione di sbarcare nell’asset management non è ufficiale ma la diversificazione del colosso di Mountain View nel mondo finanziario è più di un indizio: a Mountain View esistono già Google Ventures che investe in start up tecnologiche e Google Capital che guarda alle aziende high tech più consolidate. 

GOOGLE KID E DINOSAURI FINANZIARI
FINANZA, BUSINESS DI INFORMAZIONI

“Perché Google non dovrebbe guardare a un’industria caratterizzata da alti livelli di fedeltà dei clienti e da forti margini?”, si chiede Kpmg nello studio “Investing in the future”. L’avanzata dei colossi high tech nel mondo dei servizi finanziari toglie il sonno ai colossi finanziari e del risparmio gestito. La domanda che li tormenta, o che li dovrebbe tormentare, è: come è possibile fare breccia nelle nuove generazioni sotto i quarant’anni che non sanno cos’è un fondo ma conoscono alla perfezione come funziona un social network o un motore di ricerca? Ormai non si parla neanche più di nativi digitali ma di Google kid, come li definisce Kpmg nel report, i ragazzi che dal 2010 crescono a pane e Google. In altre parole, si sta formando una nuova generazione di clienti radicalmente diversa a quella conosciuta fino ad ora. Con cui è necessario fare i conti.

In molti però nel mondo dell’asset management tradizionale hanno sottovalutato la questione delle competenze tecnologiche e dell’importanza di un certo tipo di conoscenza e interazione con i clienti. Che non equivale ad avere semplicemente una strategia social. “L’incapacità degli asset manager di stare al passo con il cambiamento tecnologico creerà opportunità a gruppi come Apple, Twitter e Amazon”, ha sottolineato in un report la società di consulenza PwC. I motori di ricerca e i social network sanno ormai quasi tutto di noi. E non ci metterebbero molto grazie a i loro potenti algoritmi tecnologici a farci un’offerta commerciale ritagliata al millimetro sui nostri bisogni. La finanza è in gran parte un business di informazioni.

I colossi dell’high tech hanno poi in questo momento storico un grosso vantaggio competitivo. “Le uniche organizzazioni finanziarie che compaiono nelle prime venti posizioni della classifica 2013 di Fortune sulle società maggiormente ammirate sono la Berkshire Hathaway al numero 8 e la American Express al numero 13”, fa notare la società di consulenza Kpmg. JpMorgan arriva solo a distanza al numero 28. Al di là delle note metodologiche su come è costruita la classifica, il risultato si traduce in un endorsement da non trascurare. “Ci vorrà tempo – spiega Kpmg – per ricostruire la fiducia e per far risplendere i brand opacizzati dalla crisi. Non solo. In molti si chiedo se questo è davvero possibile, soprattutto nei confronti delle generazioni più giovani che sono indifferenti al settore tradizionale dei servizi finanziari”. E questo potenzialmente offre opportunità ai chi vuole entrare per la prima volta nel settore. 

“I primi tre gruppi della classifica di Fortune sono Apple, Google e Amazon. Può sembrare un po’ banale, ma potrebbero essere loro i prossimi poli dell’asset management?”, si chiede Kpmg che elenca una serie di argomenti a favore di questo scenario: hanno un brand onnipresente in cui le giovani generazioni hanno sempre più fiducia e proposte che coinvolgono e che sono rilevanti; hanno business model che li mettono al centro di un network esteso disegnato per rendere la vita dei clienti più facile, risolvere i problemi e cambiare le abitudini; godono di un’invidiabile posizione di distribuzione; hanno una grande base di clienti sparsa in tutti i gruppi demografici e un’abilità di catturare e fare leva sui dati per capire i loro clienti e le infrastrutture con cui fornire servizi personalizzati e su misura. Le opzioni al loro arco sono molteplici. In prospettiva, potrebbero entrare nell’arena come un player dell’asset management a tutto tondo, potrebbero cercare partnership con il mondo finanziario, diventare distributori di fondi.  

I MEGATREND CHE ACCERCHIANO L’INDUSTRIA

C’è comunque chi sottolinea che i colossi internet devono affrontare il nodo della questione privacy se vogliono sfondare nel mercato dell’asset management. D’altra parte, non sembra un ostacolo insuperabile per le nuove generazioni visto che l’accerchiamento al fortino bancario è già iniziato sul fronte dei servizi di pagamento. Dopo Google wallet, il nuovissimo iphone 6 che ha scatenato file chilometriche fuori dai negozi permette agli utenti di fare pagamenti senza  estrarre carte di credito e senza digitare nulla. E ora anche Facebook ha ottenuto dalla banca centrale irlandese la licenza per diventare una istituzione monetaria elettronica per permettere i trasferimenti internazionali di soldi online e via smartphone. Aggiungi l’exploit delle valute digitali create dai potenti algoritmi che viaggiano sulla rete, dal bitcoin ai fratelli alphacoin, fastcoin, litecoin, etc… E il cocktail micidiale è servito: un universo di consumatori digitali felici di muoversi sempre più al di fuori del sistema bancario tradizionale, tra cui si stanno tra l’altro accomodando anche molti simpatizzanti dei movimenti di contestazione Occupy Wall Street e anti-euro.  

“Le banche devono sfidare Amazon e Google o muoiono”, avvertiva già un anno fa dalle pagine del Financial Times Francisco González, boss della banca spagnola Bbva, per il quale le banche “stanno perdendo il loro monopolio sul fare banca”. Paypal e iTunes, esempi di sistemi di pagamento usati sulla rete, sono visti per ora come un business di nicchia. “Ma potrebbero espandersi e cercare alleanze – metteva in guardia González – E quasi certamente alcuni grandi nomi nel mondo digitale, compagnie con brand forti e milioni o miliardi di utenti, si butteranno nella mischia”. 

L’avvento nell’asset management di Google &Co provocherebbe uno scossone epocale nell’industria. Perché il risparmio gestito è già alle prese con la necessità di fronteggiare alcuni importanti mega trend destinati a cambiarne la fisionomia  e lo scenario competitivo: dalle dinamiche demografiche, agli sviluppi tecnologici, dalle questioni ambientali ai comportamenti etici. In questo quadro, sottolinea Kpmg, la rapida crescita della tecnologia e delle società retail che offrono piattaforme online e di social media metteranno a rischio la struttura tradizionale dell’industria degli investimenti portando al dimezzamento dei posti di lavoro entro il 2030. In altre parole, l’industria avrà sempre più bisogno di competenze online e di social media per espandersi e connettersi con i clienti, rendendo molti degli attuali posti di lavoro superflui.

Di fronte a questi cambiamenti epocali, alle connesse sfide e opportunità, è lecito chiedersi, come si muoveranno le varie Apple e Amazon? “Là fuori dall’industria dell’asset management – rileva Kpmg – è pieno di organizzazioni basate sulla tecnologia che possono fornire il servizio ai clienti, la personalizzazione e l’onnipresenza del brand che i clienti stanno cercando”.

In Cina la tecnologia applicata ai servizi finanziari sta già attuando una rivoluzione lanciando una seria sfida alle banche di proprietà statale. Oltre ad Alibaba, che ha appena ottenuto anche  il via libera per la creazione di una nuova banca privata, Zhejiang Internet Commerce Bank, anche il rivale e colosso internet Tencent ha lanciato un prodotto simile a Yu’EBao: si chiama Licaitong e funziona tramite un’App di messaging (WeChat). Con un rendimento del 7,5% ha rastrellato 130 milioni di dollari di depositi nel solo suo primo giorno di vita a inizio 2014.

E in Europa il rischio di scenari “disruptive” (che provocano un forte cambiamento nell’industria)  è tanto più forte se si pensa che l’asset management sta riconquistando importanza nei bilanci delle banche per far stare a galla i ricavi e rianimare la bottom line, ossia l’utile. Mentre cercano di tagliare i costi, gli istituti devono per forza di cose lavorare anche sui ricavi. Ma il margine di interesse è agonizzante e con il costo del denaro a terra non si prevede possa riprendere forza a breve. Così non rimane che sperare in fee e commissioni, anche dell’asset management. 

“L’industria non può fare affidamento sulla propria storia – mette in guardia Kpmg – il passato non è indicazione per il futuro! Abbiamo visto molte altre industrie che sono state radicalmente fermate dall’improvviso emergere di nuovi player da settori tradizionalmente non in concorrenza. Perché questo non dovrebbe essere lo stesso per l’asset management?”

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