Condividi

Da Assonime una mappa delle responsabilità societarie

A dieci anni dall’entrata in vigore della disciplina 231, l’ultima relazione dell’Associazione affronta le questioni più spinose riguardo agli oneri amministrativi degli enti societari: dal ruolo dei modelli organizzativi all’entità del profitto confiscabile.

Da Assonime una mappa delle responsabilità societarie

Una vera e propria mappa della disciplina 231, decreto legislativo del 2001 sulle responsabilità amministrative delle società, è quella delineata da Assonime nella sua relazione sulle “Responsabilità della società da reati finanziari e societari”. Prendendo spunto dalla sentenza del Tribunale di Milano del 3 novembre 2010 relativa al caso Banca Italease, vengono affrontati i punti più importanti e spinosi in tema di oneri amministrativi degli enti societari, a dieci anni dell’entrata in vigore della disciplina.

In particolare, viene definito il ruolo dei modelli organizzativi nel quadro della colpa da organizzazione, chiarendo il significato da attribuire all’interesse o al vantaggio dell’ente se connesso al fine dell’illecito. Viene approfondita infine la delicata questione dell’entità del profitto confiscabile. La vicenda della Italease, su cui si è pronunciato il gip di Milano, trae origine da una serie di condotte illecite di cui sono stati accusati l’amministratore delegato e il direttore generale della Banca. Sono stati giudicati per false informazioni sociali, manipolazione di mercato e ostacolo alle funzioni di vigilanza.

La relazione dell’Associazione fra le società italiane per azioni mira ad evidenziare come questo caso giuridico abbia definito quelle che sono le responsabilità delle società per i reati commessi dai suoi alti manager. Il caso di Milano ha chiarito che l’ente è sempre responsabile in caso di illeciti, viene ritenuta infatti causa a tutti gli effetti un inefficiente modello di organizzazione, che non ha prevenuto il verificarsi dei comportamenti illegittimi. Inoltre basterebbe dimostrare che l’ente si sia avvantaggiato dagli illeciti per formulare un’accusa nei suoi confronti. Solo se il reato ha comportato un guadagno esclusivo per la persona fisica che lo ha commesso o per terzi, la società è esente da responsabilità, ha precisato il pm.

Il secondo argomento spinoso che la sentenza ha cercato di definire è quello legato all’applicazione delle sanzioni, aspetto delicato dell’impianto formativo della 231, sul quale l’auspicio delle S.p.a. italiane è un intervento legislativo che riveda l’attuale disciplina. L’art. 19 del d.lgs. 231/01 stabilisce che: “Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato”. La giurisprudenza ha fatto chiarezza, si considera profitto del reato quello costituito dal vantaggio economico che ha un nesso causale con l’illecito stesso e che “si determina concretamente al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato”.

Viene da sé quindi che nel calcolo appare irragionevole fare uso di parametri valutativi quali utile netto o utile lordo. Inoltre il ricorso a questi dati contabili renderebbe “diabolico” distinguere l’attività lecita da quella illecita che hanno contribuito alla sua formazione. Quindi per esempio, nel caso di Italease, per il reato diffusione di informazioni false e manipolazione del mercato, sebbene il titolo in borsa abbia certamente giovato di tale illecito, non si può procedere ad una confisca in quanto è impossibile determinare l’entità del profitto indebitamente lucrato e la sanzione sarebbe stata forfetaria. Mentre, per quanto riguarda le false comunicazioni sociali, è stato possibile dimostrare una diretta e precisa incidenza sul risultato economico conseguite dall’ente, che sottostimando gli stanziamenti per i rischi ha evidenziato un utile maggiore di quello che si sarebbe verificato operando correttamente. Ne consegue che la confisca del profitto è stata applicata come da norma.

Commenta