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Covid e Vitamina D: benefici e falsi miti da sfatare e attenzione agli eccessi

Con la Pandemia si sono favoleggiate proprietà immunologiche anti-Covid della vitamina D. Il nutrizionista dell’Università di Pisa fa chiarezza sulle sue prerogative, suggerendo gli alimenti che ne sono ricchi ma mette in guardia dai falsi miti, soprattutto sugli effetti di un suo uso eccessivo. Il caso di Jim Carrey in “The Truman Show” che ne doveva consumare molta perché viveva in un mondo artificiale senza gli effetti del sole.

Covid e Vitamina D: benefici e falsi miti da sfatare e attenzione agli eccessi

Quanti di voi, sinceramente, hanno come terapia rilasciata dal proprio medico la vitamina D? Immagino tanti! Quanti di voi, però, conoscono realmente questa particolare vitamina? Sono abbastanza sicuro che quasi tutti non sanno bene cosa assumono.

Partiamo con il dire che di vitamine D ce ne sono ben cinque, ma le più importanti per noi sono la vitamina D2 e la D3, rispettivamente ergocalciferolo e colecalciferolo. Per quanto riguarda la D3 la assumiamo principalmente con l’assunzione di prodotti di origine animale, mentre la D2 con alimenti di origine vegetale.

In entrambi i casi, per svolgere la loro funzione, queste vitamine hanno bisogno dell’irradiazione solare. Già a questo punto possiamo capire come l’integrazione, soprattutto in inverno, di questi precursori ormonali si renda utile se ci esponiamo alla luce solare, sennò non riusciremmo a fargli svolgere la loro funzione. Sono tutte liposolubili, quindi hanno bisogno di molecole lipidiche (grasse) per essere veicolate e assorbite. Secondo voi perché si trovano principalmente in alimenti principalmente grassi? Ma andiamo con ordine.

Nella loro metabolizzazione entrano in gioco sia il fegato, che ne consente una prima trasformazione e scissione sia i reni, che completano il percorso metabolico. Non solo, la vitamina D, noi la autoproduciamo proprio con l’esposizione ai raggi solari, ed ecco perché d’estate i nostri valori ematici sono sempre (o quasi) nei range di laboratorio, mentre d’inverno viene prescritta come integrazione. Se ci avete fatto caso, in uno dei film più belli di tutti i tempi, “The Truman Show”, il protagonista interpretato da Jim Carrey deve prendere costantemente ingenti quantità di vitamina D. Questo perché vive in un mondo artificiale e progettato come un set cinematografico e anche il sole è artificiale.

Abbiamo detto che possiamo trovare una fonte di questa vitamina anche negli alimenti, ma quali? Per quanto riguarda la tipologia 3 ne troviamo una buonissima quantità nell’olio di fegato di merluzzo, nei pesci grassi come salmone, sarde, aringhe, nelle uova e più precisamente nel tuorlo, nella carne di maiale e di vitello, soprattutto nel fegato, ma anche con buonissime quantità nel latte e nei latticini quali formaggi soprattutto a pasta morbida.

Per quanto riguarda la variante 2, i vegetali con più abbondanza sono tutte le verdure a foglia verde e i funghi. Attenzione, essendo una molecola termolabile, cioè che cambia la sua struttura chimica con una variazione di temperatura, alla cottura degli alimenti che ne implica una parziale perdita. In cosa ci aiuta la vitamina D? Questa molecola aiuta nell’assorbimento del calcio e nella mineralizzazione delle ossa. Ecco perché non dovrebbe essere assunta da quei soggetti che fanno alcuni particolari farmaci come prazoli contenenti alluminio o diuretici risparmiatori di calcio o potassio, oppure del semplice magnesio.

Come tutte le cose però anche un eccessivo utilizzo o assunzione può causare problemi, quali ipercalcemia (troppo calcio nel sangue) e calciuria (calcio nelle urine), tutte cose che non dovrebbero verificarsi. È interessante anche capire come siamo arrivati alle considerazioni attuali su questa molecola in campo medico e come si manifesta attuale l’interesse in questo periodo storico di pandemia.

Ha un’incidenza tangibile sulla prevenzione del COVID-19 oppure no?

Partiamo dalla sua scoperta, siamo nella Germania degli anni ’30, i rapporti delle principali nazioni mondiali erano già stati messi a dura prova dal primo conflitto mondiale e si viveva nella speranza di ripresa e senza l’idea che, poco dopo, gli animi mondiali torneranno a surriscaldarsi nuovamente.

C’era addirittura collaborazione e sana competizione. Si attribuisce ad Adolf Otto Reinhold Windaus (A. Windaus) la scoperta della struttura della vitamina D, medico e chimico tedesco premio Nobel per la chimica nel 1928 e allievo di un certo Hermann Emil Fischer, anch’egli Nobel per la chimica 26 anni prima (1902). Gli studi di Windaus si basavano sulle ipotesi e teorie di altri scienziati, primo su tutti un certo Kurt Huldschinsky, pediatra tedesco con origini polacche che già nel 1919, studiando bambini affetti da rachitismo (una patologia che si manifesta con ritardo della crescita ossea e fisica dei bambini per un difetto di assimilazione del calcio) si accorse che miglioravano visibilmente addirittura guarivano se sottoposti a luce ultravioletta. Della stessa cosa si accorse un medico inglese negli stessi anni, tale Edward Mellanby, ma confrontando cani cresciuti al chiuso con cani randagi, più inclini a stare all’aperto. I cani cresciuti al chiuso si mostravano più piccoli, con problemi di deambulazione già in età adulta e visibilmente più deboli.

Pochi anni dopo, circa nel 1923, un biochimico americano, tale Elmer Mc Collum, definito dal Time Magazine “Dr. Vitamin”, si accorse che doveva esserci una correlazione tra una qualche molecola e il metabolismo delle ossa. Si concentrò sull’olio di fegato di pesce, e questo fu il composto da cui partì per trovare questa molecola antirachitica.

Arrivando ai giorni nostri, ci troviamo ad affrontare una situazione sanitaria assai drammatica. Nonostante il SARS-CoV-2 sia di una “famiglia” di virus (Coronavirus) a noi nota, che spazia da parassiti più innocui ad alcuni decisamente più pericolosi, le nostre difese immunitarie non sono in grado di fronteggiarlo a dovere, in quanto sconosciuto. Il nostro organismo reagisce in maniera decisamente efficace ai virus che conosciamo e con cui possiamo entrare in contatto o che addirittura ci siamo trovati a fronteggiare già una volta, in quanto sviluppiamo anticorpi che si ricordano di quel particolare tipo di virus e schiera delle difese specifiche per lui.

Per i virus più particolari o che sono pericolosi ma difficilmente reperibili nella nostra quotidianità, abbiamo a disposizione dei vaccini che ci creano una immunità specifica per quel virus. È come se forzassimo il nostro sistema immunitario a creare difese nel caso ce ne fosse bisogno. Non solo, il vaccino ci consente di diminuire drasticamente le possibilità di contrarre quel virus e anche di avere una sintomatologia più lieve nel caso dovessimo contrarlo. Per quanto riguardo l’utilizzo di supplementi quali la vitamina D, non ci sono ad oggi (maggio 2021) prove di un’efficacia nella prevenzione della malattia.

Utilizzarla come ipotetico aiuto al sistema immunitario, o come fortificante dello stesso non ha valenza scientifica. Come non ce l’aveva prima di questa pandemia. Alcuni studi dimostrano però che ci sia una correlazione fra la carenza di questa vitamina e l‘aumento di rischio delle infezioni respiratorie. Essendo il COVID una patologia con prevalente interesse polmonare, si è trovato correlazione con carenza di vitamina D e gravità della malattia tenendo di conto come parametri anche i tassi di ospedalizzazione e di mortalità. In altre parole, solo in caso di carenza di vitamina D e contemporanea presenza dell’infezione da Sars-CoV-2 ci possono essere più probabilità che la malattia abbia un decorso peggiore. Ricordiamo inoltre che, nel caso i valori di vitamina D rientrino nei parametri non sarà necessario supplementarla, in quanto, come abbiamo visto prima, anche una quantità in eccesso può essere non idonea ad una condizione di salute.

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