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Coronavirus, in Anestesia e Rianimazione eroi in prima linea

La testimonianza di un primario del Policlinico Federico II di Napoli che nel 2003 visse in prima linea l’epidemia della SARS e nel 2009 la pandemia H1N1 – In questi giorni “l’opinione pubblica sta comprendendo l’importanza del ruolo dell’anestesista rianimatore, sempre in prima linea anche a costo della vita” – “Giusto il pugno duro del Governatore De Luca”

Coronavirus, in Anestesia e Rianimazione eroi in prima linea

In questi giorni di emergenza sanitaria, nei quali gli anestesisti rianimatori sono chiamati a lavorare duramente per assicurare un’idonea assistenza sanitaria ai pazienti affetti da Covid-19, avverto l’esigenza di fare alcune considerazioni in virtù della mia pluriennale esperienza sul campo.

Ero Assessore alla Sanità della Regione Campania, oltre che Primario del Servizio di Anestesia e Rianimazione del Policlinico “Federico II” di Napoli, quando nel 2003 si diffuse l’epidemia di SARS. Nel 2009 ho vissuto in prima linea la pandemia dell’H1N1, a capo di quella stessa Rianimazione, nel frattempo ristrutturata ex novo e dotata di 14 posti letto, di cui due stanze di isolamento, alle quali si accedeva attraverso una zona filtro. Ho visto genitori, figli, nonni disperati. Anche allora l’organo principalmente colpito dall’infezione era il polmone. Polmoniti che in pochi giorni evolvevano in gravi polmoniti interstiziali fino a configurare un quadro clinico e radiologico dell’ARDS conclamata: patologia polmonare aggressiva e temuta da noi rianimatori che, anche oggi, nonostante il progresso e la molteplicità delle tecniche di assistenza ventilatoria, è accompagnata da un’elevata mortalità.

L’infezione da SARS e da H1N1 colpì sia giovani che anziani, benché questi ultimi fossero più esposti ad eventi infausti soprattutto in presenza di concomitanti patologie pregresse. Nel 2009, l’allora ministro della Salute, Ferruccio Fazio, in ragione dello stato di difficoltà provocato dall’aggressività dell’infezione, istituì la rete nazionale ECMO, composta da 10 centri individuati sul territorio nazionale, in grado di fornire al paziente un possibile baluardo terapeutico per curare il cosiddetto “polmone bianco” (ovvero non areato). Con il ricorso all’ECMO, la circolazione extracorporea, supplendo alla funzione di scambio non più garantita dai polmoni, consente l’ossigenazione del sangue e favorisce la guarigione. Il centro di Rianimazione della “Federico II” fu individuato tra i 10 a livello nazionale.

Ricordo con soddisfazione, non priva di emozione, la storia di una giovane donna, gravida al sesto mese, che ricoverammo in condizioni disperate. Avevamo il compito di salvaguardare entrambe le vite, quella della madre e quella del figlio. Decidemmo, allora, di far nascere il bambino e di mettere la paziente, in un momento immediatamente successivo, in ECMO: scelta coraggiosa, rischiosa ma necessaria. Indescrivibile fu la gioia di sentire il primo vagito del bambino (nato prematuro ma sano) e, a distanza di una settimana, di constatare che la madre poteva respirare con i propri polmoni.

Non ho mai visto una pandemia come quella alla quale stiamo assistendo oggi. Il Covid-19 si caratterizza, infatti, rispetto alla SARS e all’H1N1, per la forte contagiosità. I primi casi lombardi, probabilmente sottovalutati, unitamente a condotte improprie adottate da parte degli ignari cittadini (penso ad esempio alle improprie corse nei pronto soccorso), hanno contribuito a mettere in ginocchio tutto il Nord del Paese.

Ancora una volta i polmoni. Ancora una volta lo spettro delle funzioni di scambio del polmone, ancora una volta “il polmone bianco”. I componenti degli organi direttivi della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva), come avvenne nel 2009, consapevoli delle problematicità provocate dalla patologia e soprattutto dell’evoluzione della stessa, hanno istituito una task force che ha emanato linee guida finalizzate a salvaguardare la salute dei pazienti sospetti (o con infezione accertata), nonché degli operatori sanitari. È stata sviluppata una flow chart nella quale sono stati raccomandati specifici approcci terapeutici a progressiva intensità di cura in funzione della gravità del quadro clinico del paziente. Tutto ciò rappresenta il frutto dell’esperienza che i rianimatori hanno acquisito e acquisiscono quotidianamente sul campo affrontando patologie gravi che mettono a rischio la vita del paziente.

Chi sono gli anestesisti rianimatori? Sono medici che, in virtù del loro decisivo apporto in sala operatoria, hanno consentito il progresso della chirurgia; sono medici che, nelle rianimazioni, gomito a gomito con gli infermieri, esperti in area critica, salvano tante vite umane, sacrificando spesso la propria vita sociale e familiare. Professionisti che di solito non cercano gli onori della gloria e non hanno l’attenzione della stampa, ma che, in silenzio, contribuiscono a salvaguardare la salute dei pazienti. Sono medici in grado di avere la visione d’insieme del paziente, dotati di profonde conoscenze delle complicanze che possono insorgere, per evitare le quali sono costretti ad assumere decisioni rapide, complesse e spesso determinanti. Sono medici che hanno portato alla ribalta dell’opinione pubblica il problema dell’accanimento terapeutico e l’esigenza di disciplinare le dichiarazioni anticipate delle cure.

Come si sente il rianimatore alla fine di un turno? Spossato, stanco, sconfortato se il malato non risponde alle terapie, ma entusiasta perché consapevole di aver anche contribuito a salvare vite umane.

Oggi vengono definiti eroi per lo sforzo sovraumano che stanno facendo per far fronte all’attuale contesto d’urgenza. Ma, finita l’emergenza, ricordiamoci che gli anestesisti rianimatori sono eroi tutti i giorni, perché tutti i giorni lottano per salvare pazienti in condizioni critiche.

Oggi, a causa della pandemia, l’opinione pubblica sta comprendendo l’importanza del ruolo dell’anestesista rianimatore. Oggi, l’opinione pubblica viene a conoscenza del problema, noto da tempo agli appartenenti al settore, della grave carenza di posti di terapia intensiva su tutto il territorio nazionale. Qualche giorno fa leggevo un’intervista nella quale si riteneva che gli anestesisti, richiamati al lavoro, di fronte al pericolo di contagio, si sarebbero tirati indietro. Non sono d’accordo e avverto la necessità di far presente che la nostra categoria è stata formata per essere sempre in prima linea e pronta a far fronte ad ogni necessità.

L’Italia uscirà da questo dramma, auspico senza pagare un prezzo altissimo. Spero, però, che gli eventi di questi giorni costituiscano un monito alle politiche di contenimento delle spese in questo settore cruciale del sistema sanitario: la politica del rigore a tutti i costi non paga e lo stiamo verificando, purtroppo, sulla nostra pelle.

Leggo, infine, di alcune perplessità sollevate in ordine alla legittimità delle misure adottate dal Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca. Non ho le competenze tecniche per esprimere una valutazione di merito al riguardo, tuttavia sento il bisogno di ringraziare pubblicamente il Presidente della Campania che con il suo consueto pugno duro è intervenuto rapidamente e drasticamente. Se la Campania avrà, come spero, meno morti della Lombardia lo dovremo anche a lui.

°°°°L’autrice è professore emerito di Anestesia e Rianimazione dell’Università Federico II di Napoli e già presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione eTerapia Intensiva

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