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Banche, la vera origine delle crisi

A differenza del passato le crisi bancarie colpiscono di questi tempi anche l’Italia ma non si può spiegare tutto solo con casi di “mala gestio” senza considerare il peso del contesto economico

Banche, la vera origine delle crisi

Generalizzare è sbagliato perché non dà la necessaria luce ai fatti e rende, dunque, tutto più opaco impedendo di capire come stanno realmente le cose. Questa è una regola semplice che vale sempre e in ogni ambito e vale ancor di più nell’analisi del funzionamento dell’economia e del sistema bancario, dove la generalizzazione può produrre ulteriori, inutili ed inevitabili danni.

È, purtroppo, quello che sta accadendo in questi giorni in Italia segnati dal rincorrersi di affermazioni caratterizzate per lo più da un’immotivata ma molto dannosa propaganda. Diversamente dal passato, oggi le crisi bancarie riguardano anche l’Italia e, nella maggior parte dei casi, vengono spiegate facendo ricorso alla categoria della “mala gestio”, imputate, cioè, a scelte aziendali errate o fraudolente dei propri amministratori.

Naturalmente scelte aziendali del genere ce ne sono state e nessuno può negarle. Ricondurre questa motivazione a tutte le crisi che si sono verificate è, però, sbagliato e controproducente perché, quasi sempre, esse hanno, invece, una natura e una spiegazione di carattere macroeconomico. Se, infatti, tutte le crisi fossero causate da banchieri incapaci o disonesti sarebbe impossibile governarle senza perdere definitivamente la fiducia dei risparmiatori nel sistema bancario. Se esse dipendessero dalla debolezza dell’essere umano diventerebbe impossibile spiegarle razionalmente e soprattutto risolverle e prevenirle. Bisognerebbe soltanto rassegnarsi e sperare …

Ma le cose, per fortuna, stanno diversamente e bisogna ricostruirne l’origine e i reali motivi. Le crisi delle banche europee sono iniziate dopo lo scoppio della crisi finanziaria globale legata ai mutui subprime statunitensi e alla finanza strutturata che portò al fallimento di Lehman Brothers. In pochissimo tempo le prime crisi bancarie, anche in Europa, coinvolsero per prime le banche più esposte alle operazioni finanziarie.

In Germania – ma non solo – intervenne direttamente lo Stato per salvare molte delle proprie banche dal dissesto e si introdusse la normativa sul bail-in per evitare o ridurre gli interventi statali nel salvataggio delle banche. In Germania e in Olanda i salvataggi sono costati oltre il 10% del Pil di quei Paesi.

In quella prima fase, il modello di business proprio del sistema italiano e orientato all’intermediazione tradizionale – raccolta di depositi per fare credito – limitando fortemente gli investimenti finanziari, pose le banche del nostro Paese al riparo della crisi. Non così nel 2009 quando fu l’economia italiana a subire una forte recessione alla quale se ne aggiunse un’altra nel 2012 frutto della politica di austerità imposta dall’Europa. Due dure recessioni dalle quali ancora non si è fuori e che hanno prodotto la fase di stagnazione tutt’ora in atto.

Inevitabilmente sono cresciute le difficoltà dei debitori a ripagare i prestiti ricevuti, il boom degli Npl e, dal 2015 le crisi bancarie in Italia sono diventate ricorrenti. Quando un Paese subisce un crollo del Pil, come è successo in Italia, di quasi il 10%, senza avere una pronta e robusta ripresa, quando questo crollo si concentra in una parte del Paese con il Mezzogiorno che perde quasi il 20% (-10% Puglia; -14% Abruzzo e Molise; -19% Campania; 18% Umbria; – 19% Calabria; -21% Sicilia), come è possibile anche soltanto immaginare che il sistema bancario non ne risenta? In un contesto economico come questo avere fallimenti bancari è un evento senza dubbio doloroso ma quasi fisiologico. E così – come ha recentemente ricordato il Governatore della Banca d’Italia – lo stato di amministrazione straordinaria ha riguardato ben 80 istituti di credito, e ha interessato società per azioni, banche piccole, medie e grandi senza differenza alcuna. È del tutto naturale che in questi casi i fallimenti bancari dipendono principalmente dal contesto macroeconomico negativo e non da cattive scelte aziendali. Del tutto diverso il caso dei fallimenti che si hanno in contesti economici favorevoli. In quel caso, come è evidente, contano soprattutto le scelte sbagliate o, peggio, fraudolenti dei singoli nella gestione degli istituti.

Ricercare le responsabilità nelle scelte sbagliate degli amministratori è ovviamente giusto e non servirebbe neanche doverlo sottolineare e, ove quelle responsabilità siano accertate, è giusto che vengano perseguite. Però, se le crisi bancarie non si leggono all’interno del contesto macroeconomico che, come è evidente, è stato ed è molto sfavorevole, si finisce per dare un’informazione profondamente distorta; si complica la gestione delle stesse crisi con ulteriore discredito sull’intero settore bancario, cosa non soltanto ingiusta ma anche molto dannosa e infine non si gettano le basi per evitarne di nuove.

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