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Asia: paura per un ritorno alla grande crisi del 1997, ma l’Est è cambiato

Le imprese asiatiche continuano a indebitarsi e crescono i timori per una nuova grande crisi finanziaria simile a quella che colpì il sud est del continente nel 1997 – Oggi però i tassi sono variabili, le partite correnti in avanzo e i prestiti arrivano dalle istituzioni cinesi, non da investitori stranieri tentati dalla fuga

Asia: paura per un ritorno alla grande crisi del 1997, ma l’Est è cambiato

Uno spettro si aggira per l’Asia. Un continente emergente da ormai molti anni, che oggi ha come faro la potenza economica cinese, ma che vede qualche nube all’orizzonte. Il timore, al di là degli Urali, è quello di un ritorno al futuro e, più precisamente, al 1997, l’anno della grande crisi che ha messo in ginocchio le tigri dell’est.

Nata da una serie di speculazioni finanziarie che portarono al crollo del valore della moneta, lo tsunami di fine anni Novanta colpì alcuni Paesi del sud est della regione, in particolare Thailandia, Indonesia e Corea del Sud. La causa fu il pesante indebitamento del settore privato, l’effetto fu una precipitosa fuga di capitali da parte degli investitori stranieri.

Anche oggi l’indebitamento delle aziende sta galoppando. Secondo gli analisti di Morgan Stanley, alla fine del 2012 il debito delle imprese asiatiche in termini di multipli dell’Ebitda era superiore a qualsiasi altra parte del mondo. Le banche cominciano a sudare freddo e a chiudere i boccaporti, mentre i costi di finanziamento crescono, così come i crediti inesigibili.

Eppure ci sono delle grosse differenze che tendono ad allontanare lo spettro del 1997. Oggi i tassi di cambio sono principalmente variabili, e non fissi come allora. Le partite correnti non sono più in deficit, escluse India e Indonesia. E, soprattutto, la maggior parte dei nuovi prestiti, inoltre, è stata richiesta da imprese cinesi che dipendono non da volubili investitori stranieri, ma dalle più affidabili istituzioni finanziarie statali della Repubblica popolare.

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