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A tutto export: alimentare italiano alla conquista dei mercati esteri

DAll’ATLANTE di PROMETEIA – Le aziende alimentari italiane hanno saputo conquistare spazi sempre maggiori sui mercati internazionali e nel 2015 le vendite all’estero hanno superato la soglia record di 30 miliardi di euro (+6,6%) – L’ambasciatore nel mondo del Made in Italy è soprattutto il vino.

A tutto export: alimentare italiano alla conquista dei mercati esteri

Nell’ultimo decennio, le aziende alimentari italiane hanno saputo conquistare spazi sempre più rilevanti sui mercati internazionali portando le esportazioni a raggiungere livelli record.

L’attenzione ai mercati esteri è un fenomeno recente per l’industria italiana dell’alimentare e bevande; solo nell’ultimo decennio le imprese si sono spinte con decisione oltreconfine, riuscendo ad incrementare le esportazioni in misura maggiore rispetto agli altri settori inclusi nel rapporto “Analisi dei settori industriali”: +70% di crescita cumulata tra il 2006 e il 2015, a fronte del +26% del totale dell’industria. Nel 2015 il valore delle vendite estere ha superato la soglia record di 30 miliardi di euro, in crescita del 6.6% rispetto all’anno precedente.  La quota di esportazioni su fatturato (pari al 24%) rimane tuttavia inferiore a quella dei principali concorrenti europei, scontando – oltre ai vincoli imposti dalla presenza di dazi e barriere doganali – le difficoltà delle molte piccole imprese attive nel settore ad affacciarsi sui mercati internazionali.

Analizzando i singoli microsettori, il ruolo di ambasciatore del Made in Italy alimentare sui mercati di tutto il mondo spetta al vino, che vanta una propensione all’export significativamente superiore alla media dell’intero manifatturiero: oltre il 73.5% del fatturato settoriale è infatti realizzato sui mercati esteri. Dopo il vino ci sono altre produzioni tipiche della dieta mediterranea: la pasta e le conserve vegetali (rispettivamente al secondo e al terzo posto), seguite dai salumi e dai formaggi. In posizioni di rincalzo, ma comunque in forte crescita negli ultimi anni, piatti pronti e dietetici, dolciumi e caffè, con export propension tra il 30% e il 40%.

C’è però ancora tanta strada da fare. Attualmente, i chilometri percorsi in media dai prodotti alimentari italiani superano di poco i 2500, 500 in meno della media manifatturiera, conseguenza di un forte orientamento delle esportazioni sui paesi europei che assorbono i 2/3 delle vendite estere settoriali. In linea col manifatturiero nazionale, rivestono un ruolo molto importante i mercati dell’area NAFTA (in forte crescita, soprattutto negli ultimi anni), mentre nei mercati emergenti le imprese italiane sono ancora relativamente poco presenti. La forte accelerazione dell’export verso l’area asiatica nell’ultimo decennio ha consentito di colmare solo in parte il gap con i concorrenti internazionali.

La maturità del mercato interno e il forte inasprimento della concorrenza, conseguente alle aggressive politiche dei prezzi adottate dalla GDO, e i vincoli di bilancio sempre più stringenti per molte famiglie italiane imporranno all’industria alimentare nazionale di affidare alle esportazioni le speranze di crescita nei prossimi anni. Per i prodotti di elevata qualità e forte caratterizzazione territoriale le opportunità di sviluppo sui mercati esteri appaiono rilevanti, come evidenziato dalla forte tonicità delle esportazioni negli ultimi anni. In termini di strategia aziendale, questo significherà valorizzare gli elementi distintivi e aumentare il grado di specializzazione, al fine di adeguare l’offerta allo stile di vita della clientela straniera. I risultati dell’Italia dipenderanno dalla capacità delle imprese di sfruttare ogni leva per diffondere la cultura e la tradizione alimentare italiana, comunicando i vantaggi che essa offre in termini di qualità e salute, anche nei mercati geograficamente e culturalmente più lontani. 

Secondo le previsioni Prometeia, l’export dell’industria italiana dell’alimentare e bevande potrà crescere del 22% nei prossimi 5 anni, sfiorando i 37 miliardi di euro nel 2020. Non si esclude però un accelerazione più consistente qualora le nostre imprese riescano a colmare il ritardo che le caratterizza, date anche le piccole dimensioni di molti operatori, nella fase distributiva, uno dei principali fattori alla base del gap con i competitor europei.

In questo senso, qualcosa si muove anche dentro la GDO italiana, con alcuni importanti player che cominciano ad affacciarsi in mercati ad alto potenziale (emergenti e non). La presenza di insegne distributive italiane all’estero potrà rendere più agevole alle nostre imprese la scelta delle modalità d’ingresso nei mercati stranieri, elemento cruciale soprattutto nei paesi emergenti, caratterizzati da sistemi distributivi complessi, frammentati e dominati da operatori locali, spesso non in grado di veicolare correttamente le caratteristiche dei prodotti Made in Italy.

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