Condividi

Se i videogiochi vanno al cinema: riusciranno i videoeroi a bucare il grande schermo?

Dei 150 film prodotti dagli studi Hollywood nel 2014, ben 30 sono sequel di qualcosa. Fino ad adesso sono stati i fumetti a fornire il carburante all’industria cinematografica dei franchise – Nelle prime dieci posizioni dei movie franchise che hanno fatto meglio al botteghino ci sono 4 film con eroi dei fumetti.

Se i videogiochi vanno al cinema: riusciranno i videoeroi a bucare il grande schermo?

Cinema, Hollywood e franchise sono ormai un trinomio inseparabile. Il cinema che diverte e incassa è prodotto ancora ad Hollywood come un secolo fa e oggi Hollywood cerca i franchise come Lancillotto cercava il Santo Gral. Dei 150 film prodotti dagli studi Hollywood nel 2014, ben 30 sono sequel di qualcosa. Fino ad adesso sono stati i fumetti a fornire il carburante all’industria cinematografica dei franchise. In 11 anni la Marvel Cinematic Universe, un media franchise di film basati sui personaggi dei fumetti Marvel Comics, ha prodotto 21 film che hanno incassato in totale 12,6 miliardi di dollari. James Bond è in giro da 22 anni, ha al suo attivo 25 film, ma ha incassato complessivamente 2 miliardi e mezzo di meno dei supereroi Marvel. I 16 film con protagonista Batman, il personaggio del fumetto della DC Comics, hanno prodotto, in 27 anni, 5,8 miliardi di dollari. A ridosso si piazzano i 7 film di Spiderman, sempre un eroe ideato dalla Marvel Comics, con 5,5 miliardi di dollari. Insomma nelle prime dieci posizioni dei movie franchise che hanno fatto meglio al botteghino ci sono 4 film con eroi dei fumetti, 5 film tratti da romanzi e Star Wars che, da solo, ha sbriciolato tutti i record d’incasso d’ogni tempo. Chi fosse affascinato dalle statistiche dei movie franchise può andare su questa pagina e soddisfare la propria curiosità classificatoria.

 Videogames = franchise

Quale altro comparto dei media può essere in grado di creare franchise come i fumetti? I videogiochi! Si tratta di un’industria giovanissima totalmente digitale, con player completamente nuovi, con modelli di business inediti e con un pubblico che fa salivare i marketer, il 56% degli utenti sono sotto i 35 anni. Si stima che 155 milioni di americani (51%) giochino regolarmente ai videogames. In Italia si stimano in una decima di milioni i videogiocatori abituali. L’industria dei videogames ha tutto quello che manca agli altri comparti dei media per affrontare il cambio epocale nei modi di consumo e di distribuzione dei contenuti. Complessivamente è ormai grande come l’industria cinematografica: PwC prevede che nel 2019 l’intera industria dei videogiochi varrà 93 miliardi di dollari, poco meno dell’industria del cinema stimata 10 miliardi di dollari in più.

Ma la cosa più interessante non sono questi numeri, quanto la capacità dei videogiochi di saper realizzare una forma narrativa rivoluzionaria in grado di cambiare radicalmente il modo in cui si raccontano le storie e il modo in cui avvengono le relazioni tra le persone coinvolte nell’attività. Per dire, un qualcosa che nella percezione pubblica è agli antipodi dei videogiochi, cioè l’istruzione, può essere davvero riformata intorno ad alcuni concetti ed alcune pratiche che sono peculiari dei videogames. Per esempio, Microsoft ha intravisto in Minecraft, un videogioco svedese acquistato dal colosso di Redmond nel 2014, la possibilità di sviluppare un progetto formativo, chiamato MinecraftEdu, da utilizzare per l’apprendimento. Ad oggi 100 milioni di appassionati usano il videogioco che incentiva la creatività, la collaborazione tra le persone e stimola il problem solving. Non è proprio quello che la scuola dovrebbe insegnare?

I videogiochi incorporano organicamente i due concetti fondativi di un nuovo media: l’interattività e la relazione sociale somministrati attraverso il software. Nessun altro media è in grado di realizzare la fusione potente tra contenuto, software ed esperienza relazionale come sono in grado di fare le narrazioni dei videogames. È per questo che l’industria dei videogames, anche nelle sue modalità di distribuzione e di marketing, è il modello del futuro a cui tutti i soggetti dell’industria culturale e del divertimento (autori, creativi, sviluppatori, case di produzione e piattaforme di distribuzione) devono tendere per confezionare un contenuto destinato ai consumatori di nuova generazione.

Il business dei videogiochi è un business difficilissimo, forse più difficile della ristorazione che, secondo l’“Economist”, è l’attività economica più impegnativa che esista. Il comparto dei videogiochi offre però un’opportunità unica soprattutto per le start-up. L’opportunità di costruire un videogioco che in pochissimo tempo può diventare un vero e proprio franchise, soprattutto nel comparto del mobile gaming, quello a maggior tasso di crescita e il più promettente. In poche settimane il videogioco può raccogliere milioni di giocatori e una parte di questi, quelli che portano le risorse economiche (le balene bianche), possono veramente sviluppare una forma di dipendenza verso il contenuto. Come ben sappiamo le potenzialità di un franchise sono enormi. Può essere una miniera d’oro con filoni inesauribili.

 Dunque: videogames = cinema

C’è un problema, però. Il problema è la difficoltà, meglio sarebbe dire l’impossibilità, da parte delle case di software o degli editori a replicare un successo con personaggi e storie differenti dal prodotto già affermatosi come franchise. Non c’è l’ha fatta Zynga dopo FarmVille, non c’è riuscito Rovio con Angry Birds che è l’applicazione più scaricata sui device mobili. Succede quindi che in una prima fase, quella dell’affermazione del franchise, la crescita del business avviene a tre cifre per poi livellarsi se non interviene un nuovo prodotto a replicare il successo del precedente. E questo fenomeno non si è ancora visto su una scala corretta. Succede che le case di software, per mantenere i livelli di occupazione e di redditivià e per esaudire le aspettative degli azionisti, devono diversificare così da portare a compimento le potenzialità del franchise, che però può risultare difficilmente spendibile al di fuori del pubblico dei videogiochi. Da qui il mercandising dei personaggi dei videogiochi e, adesso, con rinnovato vigore il tentativo a trovare uno sbocco sul grande e sul piccolo schermo producendo film o serie televisive basate sulle avventure di questi personaggi.

I tentativi fatti finora sono stati buoni, ma non così incoraggianti. Forse l’unico franchise dei videogames a lasciare un segno al cinema è stato Resident Evil: i 7 film del survival horror della giapponese Capcom, interpretati dalle splendide Milla Jovovich e Michelle Rodriguez, hanno incassato poco più di 1 miliardo di dollari. I due film di Lara Croft, con una non meno magnifica interprete come Angelina Jolie, hanno superato complessivamente i 600 milioni di dollari. I primi 15 film tratti da videogiochi campioni d’incasso hanno realizzato circa 2,5 miliardi di dollari, con una media di 160 milioni di dollari a film. Non è un grande risultato e c’è anche l’aggravante che la critica ha fatto a pezzi questi adattamenti, stroncando ogni possibilità di allargare il pubblico oltre gli aficionados. Per il pubblico del cinema, i film con gli eroi dei videogiochi sono ancora dei B-movies.

Rispetto agli inizi del 2000, quando è iniziata la saga di Resident Evil e di Lara Croft, la qualità dei videogiochi e delle storie narrate nei videogiochi è cresciuta tantissimo e quindi questi lontani tentativi di portare i videogames al cinema costituiscono un precedente con una limitata validità. Quello che succede è che gli editori di videogiochi tornano a guardare al cinema come possibile potente estensione dei loro video-franchise. Lo sta facendo Rovio con The Angry Birds Movie in uscita nel 2016, ma lo sta facendo in grande soprattutto Activision Blizzard, con sede a Santa Monica in California, che, insieme ad Electronic Art, è il quarto gruppo più grande del mondo nella produzione di videogiochi precededuto soltanto dai cinesi di Tencent, da Sony e da Microsoft.

L’articolo di Tim Bradshaw, il tech reporter del “Financial Times” (riprodotto qui sotto nella traduzione italiana di Ilaria Amurri) descrive come il gruppo di Santa Monica si appresta a percorrere pochi chilometri per dare l’assalto a Hollywood con i propri franchise. Ecco che adesso nasce Activision Blizzard Studios. Buona fortuna!

Activision fonda il proprio studio cinematografico

Activision Blizzard ha appena ingaggiato il produttore hollywoodiano di The Hateful Eight, di Quentin Tarantino, per realizzare film e serie TV tratte da videogiochi come Skylanders e Call of Duty. Robert Kotick, CEO di Activision Blizzard Studios, ha deciso di lanciare questo nuovo studios alla fine del 2014, subito dopo aver annunciato l’acquisizione da 5,9 miliardi di dollari della società produttrice di Candy Crush, King Digital. Per Kotick è fondamentale diversificare la società, rinnovando lo sforzo nel campo dei videogiochi e degli eSport competitivi e sfruttando i grandi franchise di Activision per proporre nuovi format di intrattenimento.

La sua ultima recluta, Stacey Sher, ha più di vent’anni di esperienza ad Hollywood e ha lavorato con registi del calibro di Oliver Stone, Steven Soderbergh e Terry Gilliam. Tra le sue migliori referenze ci sono Erin Brockovich, Django Unchained e Gattaca – la porta dell’universo, nonché la serie TV della Comedy Central intitolata Reno 911!. Oggi la produttrice è co-presidente di Activision Blizzard Studios e lavorerà a fianco di Nick van Dyk, ex dirigente della Walt Disney che ha contribuito all’acquisizione della Pixar, famosissima società di animazione, di Marvel e di Lucasfilm.

La nuova iniziativa di Activision fa seguito a un lungo anno di franchise cinematografici tratti dai videogame, con titoli tutti in uscita nel 2016 come Angry Birds, Assassin’s Creed e Warcraft, della stessa Blizzard Entertainment. La speranza di Kotick è che Activision possa contare sulle decine di milioni di leali giocatori che si ripresentano di anno in anno per franchise come Call of Duty.

 Videogiochi e cinema, un matrimonio da fare

Eppure perfino i videogiochi più amati trovano riscontri variabili quando si tratta di trasferirli sul grande schermo. Negli anni ’90 Super Mario Bros e Street Fighter II, che avevano riscosso un enorme successo, fecero un flop al botteghino, mentre altri, come Lara Croft: Tomb Raider (2001) e la serie di Resident Evil, riscossero un successo notevole sul piano economico nonostante le critiche severe.

Avendo prodotto film come Pulp Fiction (1994), la Sher da una certa credibilità creativa al progetto di Activision Studios. “La sua capacità di collaborare con i personaggi più geniali e talentuosi del mondo dell’intrattenimento e la sua ricerca costante della creatività la rendono perfetta per Activision Blizzard Studios”, dice lo stesso Kotick. Dal canto suo, la Sher è convinta che “la dedizione alla qualità” di Activision possa permettere alla società di scrollarsi di dosso l‘eredità negativa di certi film che in passato sono stati tratti dai videogiochi. Infatti dichiara la produttrice:

I film che ho realizzato, indipendentemente dal genere e dal pubblico di riferimento, volevano essere del tutto particolari. Per anni ho gestito una minuscola società di produzione e mi rendo conto che spesso quando sei piccolo riesci a fare più cose.

Anche Tarantino ne parla in toni entusiastici: “è stata una collaboratrice fantastica per i tre film che abbiamo girato insieme”.

Secondo gli esperti, la scelta di Activision rispecchia la crescente importanza dei videogiochi nella vasta industria dell’intrattenimento, in cui le vendite di questi ultimi hanno superato di gran lunga gli incassi cinematografici degli ultimi anni. Spiega Piers Harding-Rolls, direttore della divisione giochi presso la società di consulenza IHS.

Oggi la produzione di videogame e franchise è un’ottima opportunità nel settore dell’intrattenimento, il che riduce notevolmente i rischi connessi a questo tipo di strategia di diversificazione. Franchise da miliardi di dollari come quelli di Activision dimostrano che la società si trova in una posizione migliore rispetto una buona parte della concorrenza e che la sua transizione può avvenire con successo.

 La necessità di diversificare per aggiungere nuovo pubblicoMichael Pachter, della Wedbush Securities di Los Angeles, descrive Stacey Sher come una persona “di enorme talento”, ma si chiede se Activision disponga di storie abbastanza forti da sostenere un vero e proprio film: “I film sono interessanti solo se hanno una trama avvincente e mi sembra chiaro che Blizzard ne ha molte a disposizione, anche se può essere difficile in certi casi, come con Call of Duty. Piuttosto potrebbe funzionare a una serie TV di Skylanders”. La prima novità dell’anno sarà infatti un programma televisivo di animazione tratto dal franchise di Skylanders, con una serie di figure di plastica che riproducono i personaggi del gioco.

Van Dyk è convinto che i film di Activision Blizzard possano andare ancora meglio di quelli dei grandi studi di Hollywood, grazie a franchise ben riusciti e a un target facilmente identificabile.

Siamo partiti da zero e abbiamo cercato di capire in che modo il pubblico vive l’intrattenimento. La nostra sarà un’organizzazione molto più compatta, leggera ed efficiente, non ci limiteremo ad entrare nel sistema televisivo e cinematografico, ma sarà qualcosa di completamente diverso.

L’eSport

La nuova co-presidente è stata assunta dopo che la settimana scorsa la società ha acquisito Major League Gaming, che organizza tornei con titoli tipo Call of Duty. Quello dell’eSport è diventato un business multimilionario negli ultimi anni, con decine di milioni di giocatori che assistono a competizioni online su siti come Twitch, acquisito da Amazon, e dal vivo, nelle arene sportive in tutto il mondo.  Pare che Activision abbia pagato 46 milioni di dollari per MLG, che ha contribuito ad aprirgli la strada sul mercato.

Lo scorso novembre, in occasione di un raduno dei suoi investitori, Activision ha dichiarato di voler raggiungere nuovi giocatori e consolidare l’impegno nei confronti del suo target attuale, puntando molto sull’eSport, i film e le serie TV.

Commenta