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L’export italiano resta un punto di forza ma pesano le carenze infrastrutturali e le dicotomie territoriali

Negli ultimi 5 anni il valore delle vendite è aumentato del 43%. Se non fosse stato per le lacune infrastrutturali, questa cifra sarebbe stata molto più alta

L’export italiano resta un punto di forza ma pesano le carenze infrastrutturali e le dicotomie territoriali

Lo sviluppo infrastrutturale di un Paese incide su potenziale di crescita economica, competitività produttiva e benessere della collettività. L’Italia, nonostante l’elevata propensione al commercio internazionale, sconta un ritardo rispetto ai principali competitor internazionali. Negli ultimi 5 anni il valore dei beni venduti all’estero è aumentato del 43%, ma se non fosse stato per i ritardi nello sviluppo infrastrutturale, questa cifra sarebbe stata molto più alta.

Un quadro poco rassicurante per l’Italia

L’indice di competitività elaborato dal World Economic Forum delinea un quadro poco rassicurante per l’Italia, al 30esimo posto con uno scarto marcato rispetto ai principali competitor a livello mondiale. Focalizzando l’attenzione sul sistema di trasporto e logistica l’Italia è 17esima per competitività delle infrastrutture. Le peggiori performance si registrano nel trasporto marittimo.

Tra i settori più colpiti c’è quello agroalimentare, per il quale la logistica risulta cruciale. A fronte di un valore record di 60,7 miliardi di export nel 2022, la perdita è stata di 9 miliardi. È andata peggio per tessile e abbigliamento (9,1 miliardi), prodotti chimici (16,8 miliardi) e macchine ed apparecchi meccanici (23,1 miliardi).

L’Italia è fra i Paesi europei che ricorrono con maggiore intensità al trasporto su gomma, con un’incidenza significativa dell’87% delle merci movimentate. Si tratta di un dato superiore a quello della media Ue (77%). All’elevata intensità del trasporto su gomma non corrisponde una preminenza in termini di qualità delle infrastrutture viarie. E i numeri sono destinati a peggiorare con la chiusura per manutenzione straordinaria del traforo del Monte Bianco, dove ogni anno passano poco meno di 10 milioni di tonnellate di merci.

Nel sistema logistico nazionale le merci movimentate con i treni sono appena il 13% del totale, a fronte di una media europea del 17%. Peggio fanno soltanto Francia (10%), Paesi Bassi (6%) e Spagna (4%).

Sull’Italia pesa una dicotomia territoriale

Sulle performance del nostro Paese, inoltre, pesa la dicotomia territoriale. Le regioni centro-settentrionali possono contare su collegamenti stradali e ferroviari più veloci, oltre che su maggiori possibilità di accesso ai principali scali aeroportuali e portuali. Le regioni del Sud e le isole, invece, si trovano in una situazione di svantaggio, fatta eccezione per le aree della fascia tirrenica. Doppi binari sono presenti soltanto nel 46% delle tratte, mentre è elettrificato il 75% delle linee ferroviarie al nord e il 58% al sud.

Le ripercussioni sono pesanti soprattutto in periodi come quello attuale, in cui il passaggio senza soluzione di continuità dalla pandemia alla guerra ha determinato un marcato incremento dei costi energetici, dei carburanti e della logistica.

Ecco allora che la chiusura alla circolazione del traforo del Monte Bianco fa crescere rischi e incertezze. I principali corridoi, dal Brennero al Frejus, movimentano 166 milioni di tonnellate di merci, di cui il 66% su strada e il 34% su rotaia, ma non bastano per permettere alla competitività italiana quel balzo in avanti di cui ha un disperato bisogno.

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