Condividi

LE INTERVISTE DEL WEEK END – Marco Bentivogli (Fim-Cisl): “Questo sindacato è da rifondare”

INTERVISTA A MARCO BENTIVOGLI, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl e uomo nuovo del sindacato – “Mi fa infuriare vedere che il sindacato non è più alla testa della battaglia per le riforme. Non si può lasciare a Renzi e a Marchionne la bandiera della modernizzazione: con loro non giocheremo mai in difesa ma vogliamo sfidarli sul cambiamento”.

LE INTERVISTE DEL WEEK END – Marco Bentivogli (Fim-Cisl): “Questo sindacato è da rifondare”

“Mi fa infuriare vedere che il sindacato non è più alla testa della battaglia per le riforme. Non si può lasciare a Renzi e a Marchionne la bandiera della modernizzazione: con loro noi della FIM-Cisl non giocheremo mai in difensiva e vogliamo sfidarli sul piano del cambiamento. Ma per aprire una nuova primavera sindacale non bastano le autocritiche: ci vuole una vera e propria rifondazione del sindacato”. Chi parla è Marco Bentivogli, 45 anni, segretario generale  dei metalmeccanici della Cisl e figlio di Franco, che successe a Pierre Carniti guidando, quarant’anni fa, la categoria più bellicosa del secondo sindacato italiano. “Ma non mi sono iscritto alla segreteria nazionale della Fim” precisa Bentivogli, che oggi è l’uomo nuovo del sindacato e una voce sicuramente fuori dal coro, come rivela l’intervista a FIRSTonline che ha concesso durante le trattative per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici. Bentivogli è il più giovane segretario di categoria della Cisl, non ama i talk show ma preferisce stare in prima linea nelle vertenze più dure di questi anni contrattando anche gli accordi più difficili e importanti con spirito pragmatico.

FIRSTonline – Bentivogli, il suo caso ricorda un po’ quello di Paolo Maldini nel Milan: quarant’anni dopo Lei è al posto  di suo padre alla guida dei metalmeccanici della Cisl. All’inizio a Maldini davano del raccomandato, a Lei non l’hanno mai rinfacciato?

BENTIVOGLI – Veramente se c’è stato uno che mi ha sconsigliato di fare il sindacalista è stato proprio mio padre Franco: mi diceva sempre che col cognome che porto avrei dovuto lavorare 6 volte più degli altri e avrei dovuto dimostrare 6 volte più degli altri di essere all’altezza. Ma alla fine la passione sindacale, che ho vissuto fin da bambino, è prevalsa su tutto. Mi permetta però di precisare che non mi sono certo iscritto alla segreteria nazionale della FIM-Cisl, ma che prima di arrivarci ho fatto tutta la gavetta, con la valigia in mano nelle strutture sindacali di base, per 10 anni lontano dalla mia casa. In Fim, che ha la bellezza di 225 mila iscritti e continua a crescere, non si diventa segretario generale per nomina o cooptazione ma si conquista sul campo la fiducia e la stima di migliaia di delegati e iscritti e di tutto il gruppo dirigente della nostra prima linea. Ho seguito le vertenze più dure del mio settore, sono sempre stato davanti nei cortei e nei negoziati più impegnativi, ma cercando soluzioni sempre nuove. Devo confessarlo, per me impegnarmi per i metalmeccanici era un sogno e cerco ogni giorno di esserne all’altezza. Ritengo che sia la cosa più bella per cui spendere le proprie energie migliori.

FIRSTonline – Giovedì scorso s’è tenuto il quarto incontro con Federmeccanica e la trattativa sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici  è parsa subito in salita, ma non se ne capisce la ragione: la Federmeccanica vuole spostare il baricentro della contrattazione salariale dal contratto nazionale a quello aziendale per premiare meglio la produttività e offre più welfare, che è meno falcidiato dalle tasse degli aumenti salariali. Perché siete contro?

BENTIVOGLI – Non siamo affatto pregiudizialmente contrari a spostare il baricentro della contrattazione dal piano nazionale a quello aziendale e tanto meno all’offerta di più welfare, a cui vogliamo aggiungere più spazi di partecipazione nelle aziende, ma nella piattaforma di Federmeccanica ci sono due grandi contraddizioni: 1) la proposta degli industriali restringe gli aumenti salariali al solo 5% dei lavoratori metalmeccanici, quelli cioè che sono sotto i minimi e sotto il recupero inflazionistico, finendo per scaricare maggiori oneri proprio sulle aziende che sono in maggior difficoltà; 2) la proposta Federmeccanica rischia inoltre di scatenare tensioni salarialistiche  nel restante 95% dei lavoratori riaprendo contratti aziendali già chiusi o spingendo verso l’elargizione di superminimi individuali, l’esatto opposto della meritocrazia che deve prevedere un nuovo inquadramento con trasparenza delle retribuzioni e della professionalità. Sarebbe un boomerang anche per le aziende seguire la via di Federmeccanica.

FIRSTonline – E’ un preludio alla rottura contrattuale?

BENTIVOGLI – Non da parte nostra. Se dopo il quarto incontro, non per causa nostra ancora svolto in una grande riunione plenaria, si rompe, qualche nostalgico può applaudire ma i lavoratori ci riporterebbero per un orecchio a trattare, ovvero a svolgere il nostro mestiere. Non mi nascondo che le distanze tra Federmeccanica e noi sono oggi molto profonde, ma un metodo per uscire dal muro contro muro c’è ed è quello di cominciare a ricercare obiettivi condivisi (che per noi sono un contratto nazionale che difende i salari dall’inflazione e che valorizza la produttività attraverso la contrattazione aziendale e territoriale e l’ampliamento verso nuove forme di welfare e di partecipazione del lavoro organizzato) per poi trovare, insieme, le soluzioni comuni.

FIRSTonline – Per la verità un problema voi non l’avete solo con la Federmeccanica  ma ce l’avete in casa anche con la Fiom, il cui antagonismo rischia di far raggiungere al suo segretario Maurizio Landini il triste primato del primo segretario dei metalmeccanici della Cgil che non è mai riuscito a firmare un contratto nazionale: non è così?

BENTIVOGLI – Alle trattative contrattuali ci siamo presentati con due piattaforme (una di FIM e UILM e un’altra della FIOM), ma adesso è il momento di cercare la maggior unità possibile e resto convinto che il metodo dell’individuazione preliminare di possibili obiettivi comuni possa da un lato favorire l’unità nel sindacato e dall’altro facilitare il confronto con gli industriali, anche se non sarà una passeggiata. Se la Fiom abbandonderà il movimentismo pre-politico gastro-mediatico, l’unità sarà a portata di mano. Spero che non siano accarezzati dall’idea di dare una spallata al Governo, perchè tutte le volte che sono loro a provarci, Renzi cresce nei sondaggi. Bisogna occuparsi dei metalmeccanici e concentrarsi sul contratto che può rappresentare una vera svolta.

FIRSTonline – Al di là degli orientamenti di Federmeccanica, quanto pesa sulla trattativa la piattaforma Cgil, Cisl e Uil che, pur votandola,  Lei per primo ha criticato perché pretende di conciliare un maggior peso della contrattazione salariale a livello nazionale con lo sviluppo della contrattazione aziendale, che non si capisce come potrebbe svilupparsi?

BENTIVOGLI – Il riformismo vero, quello di cui parlava Federico Caffè parte sempre in solitudine: quando invece si propongono strade che raccolgono subito l’unanimità in un paese conservatore, qualcosa non torna e forse le strade che si propongono non sono così nuove e impegnative. Sulla piattaforma ho già detto quello che penso e credo che per arrivare ad un accordo bisognerà puntare, in modo inequivocabile, su una sola strada alla volta. Ci tengo alla mia coerenza ma anche all’organizzazione e, una volta che si è presa una decisione, io sto sotto laddove si pianta la bandiera e per questo sosterrò la piattaforma affinché si apra una trattativa e si arrivi ad un accordo.

FIRSTonline – Negli anni ’70 il sindacato si batteva per le riforme, oggi è quasi sempre contro, fino al punto di scioperare contro ogni riforma: come spiega questa regressione conservatrice del sindacato e come si può arginare?

BENTIVOGLI – Il sindacato è per sua natura riformista: non deve sognare un’impossibile rivoluzione ma strappare il miglior accordo possibile per i lavoratori nelle condizioni date. Un sindacato che si limita a definire “controriforme” senza proporre strade nuove e praticabili non è credibile. L’antagonismo di cui soffrono altre organizzazioni sindacali non ha prodotto alcun miglioramento per i lavoratori e ha fatto perdere iscritti e credibilità a quei sindacati, a differenza di quanto è successo a noi che continuiamo a ispirarci ai valori della miglior tradizione sindacale italiana e internazionale innovandoli con il pragmatismo che il continuo cambiamento della realtà impone. La regressione culturale e politica che affligge altre organizzazioni sindacali e l’incapacità di dire non solo dei No ma anche dei Si al Governo come agli imprenditori sfidandoli sui contenuti del cambiamento è un problema non solo per il sindacato ma per tutto il Paese. Ma una cosa è certa: noi della FIM-Cisl non lasceremo mai la bandiera della modernizzazione nelle mani di altri e nemmeno del governo Renzi.

FIRSTonline – Per la verità,  la storia sindacale di questi ultimi anni sarà ricordata per due colossali abbagli su Renzi e su Marchionne: piaccia o meno, nessun Governo degli ultimi 20 anni ha fatto tante riforme come quello attuale ma il sindacato è per lo più contro, mentre Marchionne ha ereditato un’azienda tecnicamente fallita com’era la Fiat e ne ha fatto il settimo gruppo automobilistico mondiale difendendo tutti i posti di lavoro in Italia. Non sarebbe il caso che il sindacato facesse un a bella autocritica?

BENTIVOGLI – Ci vuole molto più che un’autocritica: se non vogliamo condannarci al declino e all’irrilevanza politica e vogliamo invece dare una scossa al Paese dobbiamo rifondare  il sindacato e ritrovare la spinta propulsiva che animò le migliori stagioni sindacali. Cominciamo dai rapporti con il Governo. Premesso che Renzi sbaglia a generalizzare e a fare di tutte le erbe del sindacato un solo fascio nel quale confonde l’anima antagonistica e quella coraggiosa e riformista, non c’è dubbio che nei confronti di un Governo che vuole fare le riforme il sindacato ha giocato troppo spesso in difesa. Quando sento la Camusso paragonare Renzi alla Thatcher mi torna in mente la triste e gloriosa storia dello scontro campale tra i minatori del massimalista Scargill e la Lady di ferro, battaglia che mise in ginocchio i minatori inglesi ma portò Scargill a diventare baronetto e parlamentare. Anche in Italia è  ora di mandare in pensione il radicalismo e il populismo politico travestito da inconcludente massimalismo sindacale e dare battaglia, sfidando Renzi sul terreno del cambiamento. Noi della FIM-Cisl non siamo né pro né contro il governo Renzi ma vogliamo affrontarlo senza pregiudizi e con grande determinazione sul merito delle riforme.

FIRSTonline – I pregiudizi politici che complicano il rapporto tra il Governo e il sindacato si sono riproposti per molto tempo anche nei confronti della Fiat di Sergio Marchionne: qual è il suo giudizio sul Ceo di Fca?

BENTIVOGLI – Più che la parole contano i fatti. Sicuramente Marchionne, specie nella sua fase iniziale, ha commesso errori di comunicazione e di linea sindacale, ma con lui la FIM-Cisl ha fatto fior di accordi con cui abbiamo salvato lo stabilimento di Pomigliano e poi quelli di Melfi e Cassino e abbiamo poste le premesse per far ripartire Mirafiori. Abbiamo sgretolato i due falsi miti che prevedono che per difendere la localizzazione della manifattura in un’economia matura, occorre ridurre i salari e deteriorare le condizioni di lavoro. I salari sono aumentati e le condizioni di lavoro hanno ancora margini ma sono migliorate, come conferma anche la nostra ricerca sul Wcm realizzata insieme ai Politecnici di Milano e Torino. Bisogna riconoscere a Marchionne che ha avuto coraggio e ha fatto benissimo a rompere con l’Italietta della rendita, dei salotti di Mediobanca e della Confindustria. Con lui possiamo scontrarci anche duramente ma è un interlocutore serio e demonizzarlo, come ha fatto una parte del sindacato, giova solo alla parte più conservatrice dell’imprenditoria italiana che infatti non ha mai amato Marchionne.

FIRSTonline – Lei è considerato un sindacalista fuori dal coro: Le piacerebbe riuscire a fare nel sindacato quello che Renzi ha fatto in politica e Marchionne nell’industria e cioè innovare, innovare, innovare e rottamare le vecchie idee e i vecchi gruppi dirigenti?

BENTIVOGLI – Non mi piace la parola “rottamazione” , bisogna mettere insieme le generazioni ma certamente anche nel sindacato dobbiamo osare di più, come diceva una volta Pierre Carniti, e dobbiamo mandare in soffitta la pigrizia culturale e la scarsa curiosità di chi non ha ancora capito che oggi il mondo cambia alla velocità del suono.  Mi fa infuriare l’idea che una forza come quella del sindacato, che rappresenta l’Italia che lavora, non sia alla testa del cambiamento e che la sua autoriforma sia così in ritardo sui tempi. Per questo la Fim-Cisl ha lanciato la sfida delle tre ”R”.

FIRSTonline – Quali sono le sue tre “R”?

BENTIVOGLI – Servono scelte radicali, rifondative, rigeneratrici. Il che vuol dire anche ridurre il numero delle sigle sindacali, delle federazioni, dei contratti e impiegare più sindacalisti a supporto della prima linea nei luoghi di lavoro piuttosto che nell’apparato. Bisogna semplificare i livelli organizzativi, serve un’organizzazione più leggera e partecipata. Noi lo stiamo facendo e continuiamo a crescere e i dati dello scorso anno vedono il trend più dinamico della nostra base associativa sotto i 35 anni e sotto i 25. I giovani da noi non saranno mai nè pura vetrina nè supporters ma protagonisti. Non a caso la Cisl ha una scuola quadri a Fiesole e la Fim ne ha una tutta sua ad Amelia. In Fim si assumono incarichi a tempo pieno solo dopo tanta formazione di base e 8 settimane ad Amelia con economisti, ricercatori, studiosi, scrittori. Il miglior mondo intellettuale italiano spesso viene da noi poco più che gratis a formare i futuri quadri metalmeccanici Fim. Studiamo, lavoriamo su ricerche importanti sull’organizzazione del lavoro e siamo stati i primi ad affrontare lo smart-working e industry 4.0, quando altri ancora parlavano di post-fordismo e ci davano dei futurologi . L’ufficio sindacale deve offrire strumentazione disponibile da remoto ovunque su una cloud dati e da tempo abbiamo avviato un progetto per utilizzare in modo sistematico ed efficace i nostri big-data.

FIRSTonline – Ma la Cisl non sembra andare proprio in questa direzione. E’ vero che non segue il pansindacalismo e il populismo della Cgil e della Fiom  e il degrado della Uil, ma talvolta si appiattisce sulla linea della Camusso e nei confronti del governo Renzi ha una linea ondeggiante: non è così?

BENTIVOGLI – Mi sembra una rappresentazione ingenerosa della Cisl di oggi, che non è una caserma ma un’organizzazione libera che dà il meglio di sé quando valorizza la dialettica interna, che ha sempre respinto le sirene massimalistiche, ha difeso e difende la sua autonomia dai Governi e dalle imprese come uno dei suoi valori fondanti e non rinuncia alla sua battaglia sul merito dei problemi per un cambiamento possibile delle condizioni dei lavoratori e del Paese qui e ora. Ciò premesso, faccio mio il mio il vecchio motto di Carniti che non smetteva mai di incitare la Cisl a osare di più. Oggi le decisioni devono essere il frutto di dibattiti culturalmente vivaci e coraggiosi nel merito.

FIRSTonline – Quarant’anni fa Carniti era seduto proprio sulla sua poltrona di segretario generale dei metalmeccanici che guidò nell’autunno caldo insieme a Trentin e a Benvenuto prima di conquistare la Cisl e di completare la rivoluzione riformista del sindacato che portò all’accordo sulla scala mobile: c’è chi dice che la storia qualche volta si ripete e che la spinta rinnovatrice che oggi Lei incarna nella Fim possa provare a contagiare anche la Cisl del pubblico impiego e dei pensionati come avvenne allora. Lei che ne pensa?

BENTIVOGLI – Vivo il mio impegno sindacale come una grande occasione, una battaglia collettiva e non come una passerella personale, per questo, non ho bisogno di ulteriori incarichi per fare la mia parte per una nuova primavera sindacale. Come diceva proprio Carniti, bisogna osare di più ma anche gli innovatori devono avere memoria.  Non dimentichiamo che il sindacato e la Cisl rappresentano un enorme serbatoio di energie, che certamente va valorizzato meglio e di più, ma che esiste anche a dispetto di certe rappresentazioni caricaturali, dei media, rispetto a quanto sta avvenendo nelle categorie del pubblico impiego, e dei pensionati, che non sono più quelle di una volta. Per aprire un nuovo ciclo sindacale, ci vuole coraggio e ci vuole una visione lungimirante ma le sfide difficili sono nel Dna della Cisl.

FIRSTonline – Bentivogli, che idea ha il segretario generale dei metalmeccanici della Cisl dell’Italia di oggi? Nella politica come nell’economia scorge o no qualche segnale che fa finalmente sperare nella svolta?

BENTIVOGLI – In Italia la ripresa dell’economia è fragile e più bassa di quella di altri Paesi europei ma è vero che si respira più fiducia, anche se il Paese resta bloccato da troppe incrostazioni e da troppe posizioni rendita e di privilegio. Siamo il Paese che da un lato non arriva a fine mese e dall’altro continua ad accrescere e immobilizzare patrimoni: siamo a 1500 miliardi di euro, tra famiglie e imprese, cresciuti anche lo scorso anno. I profeti di sventura, tra cui annoveriamo molti sindacalisti da intrattenimento, hanno registrato questo bel successo: bloccare ulteriormente il paese.  Per questo, va riconosciuto che il Governo sta provando a dare una scossa all’Italia ma bisogna fare molto di più e puntare su una crescita sana che faccia leva sugli investimenti e sui consumi con una visione di lungo periodo che metta la riforma dello Stato al centro della battaglia per il cambiamento.  Guai ad abbassare la guardia e a rallentare la politica delle riforme, di cui il sindacato deve saper essere un ingrediente fondamentale e non la zavorra. Su questa frontiera noi della Fim-Cisl ci siamo e ci saremo.

FIRSTonline – Un’ultima curiosità: nel vocabolario del sindacato ci sono due parole – meritocrazia e competitività- che vengono ritenute bestemmie. Nel suo vocabolario che ruolo hanno?

BENTIVOGLI – Ne hanno uno molto importante. Il merito è l’unico strumento che hanno le classi meno agiate per salire sull’ascensore sociale di una società più giusta ed è incomprensibile che un concetto e un valore così semplice non abbia il posto che merita in un sindacato che dice di voler superare il capitalismo relazionale. Quanto alla competitività, in un’economia di mercato come la nostra, è un risvolto della sostenibilità, un valore importante per i lavoratori almeno quanto per gli imprenditori e ogni volta che ce ne siamo scordati abbiamo sicuramente preso un abbaglio.

Link Correlati

Commenta