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INTERVISTE DEL WEEK END – Marcuzzo: “Riscoprire Keynes ma senza interpretazioni fuorvianti”

INTERVISTA a MARIA CRISTINA MARCUZZO, accademica dei Lincei e studiosa di Keynes di fama internazionale – “C’è una riscoperta dell’attualità di Keynes ma bisogna evitare le letture strumentali del suo pensiero che ha spesso fatto la politica. La sua idea di intervento pubblico non è nè la negazione dei mercati nè l’anticamera dello statalismo che ripudiava”

INTERVISTE DEL WEEK END – Marcuzzo: “Riscoprire Keynes ma senza interpretazioni fuorvianti”

Che cosa voleva davvero dire John Maynard Keynes quando sosteneva l’intervento pubblico in economia?  Per decenni keynesiani e antikeynesiani  ne hanno discusso accapigliandosi a lungo nelle università e nelle accademie ma dopo la crisi economica e finanziaria cominciata nel 2007 che ha sconvolto vecchi dogmi e antichi paradigmi il pensiero del grande economista britannico è entrato a pieno titolo nel dibattito politico. Anche in Italia, ma attraverso interpretazioni spesso strumentali. Il pensiero di Keynes è lontano mille miglia dalla santificazione del deficit spending  e dall’uso incontrollato della spesa pubblica sostenuto dai keynesiani immaginari.
 Lo spiega in questa intervista a FIRSTonline la professoressa Maria Cristina Marcuzzo, ordinario di Economia politica alla “Sapienza” di Roma e prima economista donna dell’Accademia dei Lincei ma soprattutto studiosa di fama mondiale del pensiero di Keynes: “Il significato dell’intervento pubblico in economia suggerito da Keynes non era nè interventismo senza se e senza ma, nè negazione dei mercati e dell’iniziativa privata nè statalismo, che Keynes apertamente ripudiava”.  L’intervista ce ne offre un’interpretazione autentica. Eccola.  

FIRSTonline –  Professoressa Marcuzzo, sulla stampa internazionale come nei convegni accademici fino al recente libro di un politico di lungo corso come Giorgio La Malfa sembra di assistere a un revival di John Maynard Keynes e a una riscoperta del suo pensiero: è così e da che cosa dipende?

MARCUZZO – Sì è così. La riscoperta di Keynes penso che sia un effetto della crisi nata nel 2007-8 che ha messo in discussione dogmi e paradigmi tradizionali e che ha rivelato tutta  la debolezza del liberismo. Dopo di allora Keynes è tornato sulle pagine di pubblicazioni anglosassoni, come il Financial Time e The Economist, da cui era stato bandito da tempo. In particolare sono stati riscoperti la sua idea di intervento pubblico quando i mercati sono fuori da ogni regola e il suo concetto di incertezza dei mercati distinto dal concetto di rischio e dovuto al fatto che non solo i mercati non sono perfetti ma non sono nemmeno attrezzati per esprimere il corretto valore dei diversi asset, in quanto il prezzo non sempre riflette l’esatto valore e soprattutto perché nessun modello matematico potrà mai prevedere esattamente il comportamento dei soggetti finanziari.

FIRSTonline – La riscoperta di Keynes sta avvenendo più in accademia o più fuori? Più in Italia o più nel resto del mondo?

MARCUZZO – Inizialmente è avvenuta sui media, che però sono di solito ondivaghi e seguono per lo più le mode che spesso contribuiscono a creare. Nell’accademia la riscoperta di Keynes non è unanime, se solo si considera che nel 2009 ben 237 economisti delle Università americane stigmatizzarono il recupero dell’impostazione keynesiana  firmando un duro manifesto, sponsorizzato da Cato Institute, per reagire alla blanda affermazione di Obama che, nel suo discorso  di insediamento alla Casa Bianca, aveva osato ricordare che “we need action by our government…. to jumpstart the economy”. Una simile posizione di contrarierà al keynesismo fu espresso anche in una lettera al Financial Times firmata da 22 economisti inglesi. Tuttavia un segnale di recupero del pensiero keynesiano c’è, soprattutto in Italia, in Europa e in Giappone e non va trascurato che oggi alla guida delle Fed c’è un’economista keynesiana come Janet Yellen .

FIRSTonline – Professoressa, andiamo subito al cuore del problema dell’intervento pubblico in economia sostenuto da Keynes in un contesto storico del tutto diverso da quello attuale e che si presta oggi a letture diverse o addirittura opposte del suo pensiero: un conto è chiedere che l’intervento dello Stato significhi nuove regole per disciplinare i mercati e per favorire il rilancio della domanda aggregata senza la scorciatoia del debito pubblico e un altro conto è pensare a una riedizione dello Stato imprenditore o peggio alla santificazione del deficit spending  e dell’uso incontrollato della spesa pubblica. Qual è il suo parere?

MARCUZZO – Il paradosso è che Keynes non era keynesiano nel senso corrente del termine e anche per lui è accaduto quello che era già successo con Marx che diceva di non essere marxista. Voglio dire che bisogna distinguere il reale pensiero di Keynes dall’uso del keynesismo che ha fatto la politica e comprendere bene il significato dell’intervento pubblico in economia suggerito da Keynes, che non era né interventismo senza se e senza ma, né negazione dei mercati e dell’iniziativa privata né statalismo che Keynes apertamente ripudiava. La sua costante preoccupazione era che lo Stato potesse diventare parassitario, ma al tempo stesso ricordava che, in tempi di profonda depressione come quella che visse l’America dopo il crollo di Wall Street del ’29, non si poteva pensare di trovare solo nel mercato le risorse per il rilancio dell’economia.

FIRSTonline – In sostanza che cosa intendeva esattamente Keynes per intervento pubblico nell’economia?

MARCUZZO – Intendeva un insieme di regole che spingessero gli imprenditori a investire senza che lo Stato si sostituisse a loro, salvo in casi eccezionali come nella grande depressione dove la supplenza dello Stato diventava inevitabile. In fondo anche il New Deal roosveltiano era principalmente un insieme di regole e istituzioni per sorreggere l’economia di mercato. Il problema era che Keynes era terribilmente ingenuo.

FIRSTonline – In che senso?

MARCUZZO – Nel senso che Keynes riteneva che bastassero le regole e la nomina di persone di alta statura morale alla guida delle istituzioni di controllo e di garanzia  dell’economia per curare i mali del capitalismo senza preoccuparsi troppo delle strutture pubbliche che devono regolare i mercati e dei soggetti politici che ad esse devono sovraintendere.

FIRSTonline – In un Paese come l’Italia che solo quest’anno è uscito dalla recessione e intravede i primi segnali di ripresa che cosa suggerisce, secondo Lei, una lettura attualizzata di Keynes per rilanciare  maggiormente  la domanda aggregata senza peggiorare il debito pubblico?

MARCUZZO – Credo che occorra ripulire la politica da ogni peccato e avere lo sguardo lungo con riforme strutturali che incidano sui comportamenti dei diversi soggetti in campo: puntare sulla formazione e sulla qualità del capitale  umano, come non si stanca di ricordare il Governatore Visco, riformare davvero la giustizia al servizio dei cittadini e cancellare l’invadenza partitica nell’economia. Poi occorre evitare le trappole ideologiche di chi crede che si risolva tutta con le statalizzazioni o con le privatizzazioni. Infine, per sostenere davvero la domanda aggregata senza ricorrere alla scorciatoia del debito pubblico bisognerebbe cambiare le regole troppe restrittive del Patto di Stabilità europeo, pensato più per la stabilità che per lo sviluppo, e togliere l’obbligo del pareggio di bilancio dalla nostra Costituzione che mi è sempre parso un’inutile rigidità che blocca l’economia.

FIRSTonline – C’è chi pensa anche che le banche centrali abbiano acquisito troppo potere e facciano da supplenti a una politica che non sa risolvere i problemi delle economie di oggi con un’ondata di liquidità che secondo alcuni può facilitare la ripresa dell’economia e dell’inflazione e secondo altri prepara nuove bolle finanziarie: Keynes che cosa avrebbe detto?

MARCUZZO – Sicuramente  avrebbe benedetto il Quantitative easing sia della Fed che della Bce, essendo sempre stato a favore del denaro a basso costo. Al tempo stesso, però, Keynes avrebbe messo in guardia da quelle che lui stesso definì “le trappole della liquidità” perché, se le banche non utilizzano la liquidità disponibile e le imprese non la chiedono perché non hanno aspettative di crescita della domanda, il rischio è che si crei un circolo vizioso. Ma, d’altra parte, come Yellen e Draghi non si stancano di ripetere, non si può pensare che basti la politica monetaria a rilanciare l’economia e a far circolare la moneta.

FIRSTonline – Da speculatore dei mercati Keynes era diventato un convinto regolatore dei loro eccessi e un sostenitore dell’importanza decisiva dell’informazione come base di ogni investimento: che cosa avrebbe detto oggi  e che cosa pensa Lei dell’High Frequent Trading e degli scambi vorticosi dei titoli borsistici governati da complessi algoritmi in mano a poche banche d’affari?

MARCUZZO – Credo che sarebbe stato sicuramente contrario all’High Frequent Trading e alle asimmetrie informative che esso genera e amplifica. Del resto il fatto che Hillary Clinton abbia dichiarato che, se eletta alla Casa Bianca, regolerà l’HFT è un segnale che il problema è maturo. In generale però Keynes si preoccupò di più di come regolare il mercato delle  materie prime che quello azionario, nella giusta convinzione che le oscillazioni dei prezzi delle commodities erano amplificate dalla speculazione e creavano enormi problemi, come sta succedendo anche oggi per i Paesi emergenti.  Keynes era perfettamente convinto che la speculazione, nel senso originario e nobile del termine, fosse il sale dei mercati ma a patto che essi fossero adeguatamente regolati.

FIRSTonline – Lei ha prima ricordato che Keynes pensava che i mali del capitalismo si potessero curare anche attraverso la promozione e la leadership di persone  di alta statura morale, ma per avere  dieci o cento personaggi del genere non crede che nella selezione della classe dirigente occorra affidarsi a più meritocrazia, a standard etici più elevati ma anche alla buona politica?

MARCUZZO – Servono regole che premino il merito e la moralità ma anche sanzioni certe nel caso di trasgressioni.

FIRSTonline – Al di là degli scandali che continuano a costellare la nostra vita pubblica, si intravede in Italia qualche segnale di miglioramento anche sul piano civile e politico?

MARCUZZO – Qualcosa sta cambiando. Per esempio l’elezione di un galantuomo come Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è sicuramente un buon segno. Così come il generale ricambio generazionale in corso nella classe politica e più in generale in quella dirigente fa ben sperare. A fronte di qualche segnale, ancora troppo timido, di cambiamento, restano però ampie aree di degrado, di immobilismo e di clientelismo: penso alla situazione di molte Università e agli sbarramenti che trovano le nuove generazioni di cui la politica è la prima responsabile. Ma penso anche alla svalutazione che spesso hanno subito i curriculum vitae e al prevalere del sistema delle relazioni rispetto alla meritocrazia e alla corretta valutazione dei candidati in occasione di assunzioni o assegnazione di incarichi. La strada del rinnovamento del Paese è ancora lunga.

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