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Ibra: “Alla Juve vincevamo perchè eravamo i più forti: vi svelo Inter, Barca e Milan”

E’ in libreria l’autobiografia di Zlatan Ibrahimovic, lo zingaro d’oro del calcio – L’infanzia nel ghetto di Rosengard, l’arrivo alla Juve e Calciopoli, l’nter divisa in clan, il nemico Guardiola a Barcellona, il Milan tra risse e vittorie

ESCE IN ITALIA L’AUTOBIOGRAFIA DI ZLATAN IBRAHIMOVIC.
UN LIBRO CHE METTE A NUDO IL MONDO DEL CALCIO.

Già dal titolo si capisce subito che sarà un successo. “Io sono Zlatan Ibrahimovic” (nella versione italiana “Io, Ibra”) è molto di più della classica autobiografia di un calciatore. Anzitutto perché lui, Zlatan da Rosengard, non è mai stato e non sarà mai un personaggio comune, e poi perché lo svedese ha deciso davvero di aprire sé stesso a tutti i lettori. Dimenticate le ipocrisie e le frasi fatte, scordatevi quei discorsi politicaly correct che popolano il mondo del pallone, se cercate tutto questo comprate un altro libro. “Io, Ibra”, pubblicato in Italia da Rizzoli (uscito ieri in tutte le librerie al prezzo di 18,50 euro) farà tremare la casta del calcio italiano e internazionale. Dirigenti, allenatori, compagni di squadra e procuratori, nessuno si salverà dalla pena di Zlatan (o meglio di David Lagercrantz, con la collaborazione di Carmen Giorgetti Cima, traduttrice di Sieg Larsson e della trilogia di Millennium).

L’INFANZIA DIFFICILE NEL GHETTO DI ROSENGARD.

Racconta tutto Ibrahimovic, si mette a nudo per la prima volta da quando decise di giocare a calcio. Non è stata facile la vita di Zlatan, nato a Malmoe 30 anni fa, in uno dei quartieri più difficili di tutta la Svezia. Figlio di padre bosniaco e madre croata, Ibra passa l’infanzia nel ghetto di Rosengard, che balza alle cronache solo per l’altissimo tasso di criminalità e immigrazione. “Quando giocavo nelle giovanili del Malmoe, un gruppo di genitori si organizzarono per chiedere la mia espulsione dalla squadra. Non volevano che i loro figli si mischiassero con uno del ghetto” ha raccontato Zlatan in una delle sue anticipazioni. “Quando ero bambino, aprivo il frigo di casa e trovavo solo le lattine di birra vuote che lasciava mio padre. Se ne stava là seduto tutto il giorno, a piangere il suo paese devastato dalla guerra”. Storia triste, che sicuramente ha contribuito a rafforzare il carattere del guerriero svedese.

Ovviamente però i racconti più “succosi” riguardano il mondo del calcio. Nel 2001, appena acquistato dall’Ajax per 7 milioni di euro, esordì nello spogliatoio dei lanceri con un “Ciao, io sono Zlatan Ibrahimovic, e voi chi cazzo siete?” che fece scalpore. Aveva solo 20 anni lo svedese, ma non si trattava di una spacconata di gioventù.

L’ARRIVO ALLA JUVENTUS DI MOGGI E CAPELLO, POI CALCIOPOLI…

Ibra non cambiò mai il suo carattere, neanche quando approdò alla Juventus (allora sotto il regime della Triade). “Io e Mino Raiola riuscimmo a incontrare Moggi in segreto una mezz’ora a Montecarlo, durante il Gran Premio di Monaco di Formula Uno. Dovevamo vederci in una saletta vip dell’aeroporto, ma c’era un traffico pazzesco e non riuscivamo ad avanzare con la macchina. Fummo costretti a scendere e a correre, e Mino non si può definire un grande atleta. È un ciccione. Ansimava ed era fradicio di sudore. Non si era certo fatto bello per l’incontro: indossava degli shorts hawaiani, una maglietta Nike e scarpe da jogging senza calze, e ormai era completamente zuppo. Arrivammo nella famosa saletta vip dell’aeroporto e lì dentro c’era fumo dappertutto. Luciano Moggi, in un completo elegantissimo, era alle prese con un grosso sigaro; si capiva subito che era un individuo di potere. Era abituato che la gente facesse come diceva lui. Fissò Mino: «Ma come ti sei conciato?». «Sei qui per dare consigli di stile o per parlare di affari?» sibilò Mino di rimando, e fu lì che tutto cominciò”.

Capello gli insegnò a giocare vicino alla porta (“Mi ha detto che mi avrebbe tolto l’Ajax dal corpo e mi diede una videocassetta di Van Basten affinché potessi studiarlo”), poi arrivò Calciopoli (“Vidi Moggi piangere nello spogliatoio, il mondo si era ribaltato. La realtà è che eravamo i più forti e volevano distruggerci. Io gli scudetti vinti con la Juve li sento miei e li espongo nel salotto di casa mia”) e di conseguenza il passaggio all’Inter.

L’APPRODO ALL’INTER DIVISA IN CLAN.

“Quando arrivai lo spogliatoio era diviso in clan. Di qua c’erano gli argentini, di là i brasiliani, in mezzo tutti gli altri. La prima sfida fu rompere quei cazzo di gruppetti. Ne parlai subito con Moratti, gli dissi “Volete continuare ad essere perdenti solo perché non ci si parla!?”. Se non si è uniti non si vince”. In nerazzurro Ibra conobbe Mancini (definito un “fighetto con i fazzoletti nella giacca”) e Mourinho (“Mi conquistò con le sue attenzioni e i continui sms, capì che avevo bisogno proprio di questo. Avrei ucciso per lui”), poi, tre scudetti dopo, decise che era ora di cambiare aria per puntare più in alto.

BARCELLONA E IL NEMICO GUARDIOLA.

A Barcellona però il guerriero soffrì l’ostracismo di Guardiola: “Mi disse che non avrei potuto guidare macchine sportive, che al Barça bisogna avere un profilo basso. La cosa m’infastidì: perché il club deve decidere cosa guido? Nello spogliatoio tutti stavano zitti e buoni, come bravi scolaretti. Io cercai di adattarmi, violentai la mia natura. Ma persi la mia cattiveria, e in campo si vedeva”. Il rapporto con Pep degenerò, tanto che dopo l’eliminazione dalla Champions (contro l’Inter, ironia della sorte) Zlatan gli urlò di tutto: “Non vali un cazzo, ti caghi sotto davanti a Mourinho”. Risultato? Ibra fu ceduto al Milan a prezzo di saldo, perché a Barcellona non poteva proprio restare: “Mi chiamarono alcuni amici del ghetto, si proposero per venire in Spagna a sistemare le cose a modo loro. Li ringraziai, ma non era il caso…”.

AL MILAN TRA RISSE, ESPULSIONI E VITTORIE.

Sulla sponda rossonera del Naviglio, Ibra riprese il suo ruolo naturale, quello di leader: “I compagni mi guardavano come a dire “Guidaci alla vittoria”, esattamente come all’Inter”.

Ibra racconta anche scomode verità, che magari Galliani avrebbe preferito tenere per sé: “Fui espulso a Firenze per aver insultato il guardalinee. Le cose stavano esattamente così, ma d’accordo con la società decidemmo di dire che il vaffa era rivolto a me stesso. Per non prendere troppe giornate di squalifica…”

Ma questi gustosi aneddoti rappresentano solo una minima parte di ciò che troveremo nel libro. Zlatan racconterà di quando finì contro un muro a 325 km all’ora, di quando da bambino rubava biciclette, delle risse furibonde con Zebina e Onyewu (“Il primo andò giù subito, mentre quell’animale dell’americano era davvero tosto. Grosso come me, dovettero arrivare in 20 per dividerci. Ci rimisi una costola, ma non lo dicemmo a nessuno”). A chi gli chiede se non abbia paura di essere preso come esempio (negativo) dai più piccoli, lo svedese risponde così: “Io non sono un esempio, sono semplicemente io”. Già, lui è Zlatan Ibrahimovic, niente di più e niente di meno.

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