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Giganti web e Antitrust: Europa batti un colpo

Esce il libro di Stefano Mannoni e Guido Stazi “Is competition a click away? Sfida al monopolio nell’era digitale”, un pamphlet che attacca i giganti del Web protagonisti della “manifestazione più totalizzante, inedita e pericolosa del monopolio che la civiltà occidentale abbia mai conosciuto”. Il libro esorta l’Antitrust europeo ad agire con sanzioni pesanti, come fece a suo tempo Mario Monti con Microsoft.

Giganti web e Antitrust: Europa batti un colpo

Google, Facebook, Apple, Amazon & Co. Sono loro i nuovi, grandi monopolisti. Con una particolarità: “Ma quando mai nella storia si sono visti dei monopolisti così popolari?”. La risposta va cercata nel fatto che “lo sono in modo così assoluto da vincere senza clamore la partita più difficile: quella del consenso”. Ecco dunque il primo paradosso: monopolisti a forte concentrazione ma accettati, amati dai consumatori sui quali spadroneggiano. Lo scrivono nel loro nuovo saggio in forma di pamphlet Stefano Mannoni e Guido Stazi – il primo docente universitario ed ex commissario dell’Autorità per le Comunicazioni; il secondo dirigente al vertice di autorità come l’Agcom, appunto, e poi la Consob e l’Antitrust. In 107 pagine intense “Is competition a click away?Sfida al monopolio nell’era digitale” (Editoriale Scientifica) parte dalla frase pronunciata dal Ceo di Google Eric Schmidt di fronte al Senato Usa (che sosteneva la concorrenza fosse alla portata di un click) per smontare tutti i miti dei colossi digitali: dal “mito del garage” al “mito della gratuità”, passando per le “discriminazioni antiche e moderne” e finendo poi per attaccare le concentrazioni accentratrici. Il libro sarà presentato a Roma venerdì 19 ottobre, alle 16, nell’aula Calazzo della facoltà di Giurisprudenza alla Sapienza.

Copertina Mannoni e Stazi
La copertina del libro di Stefano Mannoni e Guido Stazi

I pericoli di questa situazione nuova e mai sperimentata prima sono già evidenti. “Internet è un mezzo – si legge nel libro – che agisce sull’emotività più che sulla razionalità deliberativa. Chi naviga cerca l’asseverazione dei suoi giudizi a priori (o appunto pregiudizi), piuttosto che schiudersi alla messa in discussione della propria visione in dialettica con altri punti di vista. La politica si trasforma in uno sport nel quale le tifoserie si contrappongono senza la mediazione di quello spazio di confronto e di mediazione che è, o piuttosto era, la sfera pubblica”.

La conclusione è semplice: “Le grandi piattaforme digitali non sono monopoliste solo perché concentrano un enorme potere economico e informativo. Lo sono perché proprietarie dell’infrastruttura sociale. Detto diversamente, la loro forza è radicata tanto nella struttura che nella sovrastruttura. La conclusione è che l’autorità pubblica, per quel che ne resta, non può rimanere indifferente. Di qui l’esigenza che l’Antitrust si muova dal suo torpore”.

Il caso Microsoft – che fece scuola per la mega multa da mezzo miliardo (cui seguirono altre due da 280 e 899 milioni) applicata dall’allora commissario europeo alla concorrenza, Mario Monti – è l’esempio a cui si riferiscono Mannioni e Stazi. Tutto il pamphlet è un chiaro invito all’Antitrust, europeo in questo caso, a ritrovare la via “delle imponenti sanzioni, servendo da museruola ai loro destinatari ma anche da monito pour encourager les autres”. Le grandi piattaforme digitali sono protagoniste della “manifestazione più totalizzante, inedita e pericolosa del monopolio che la civiltà occidentale abbia mai conosciuto”. Autorità svegliatevi, gridano a gran voce Mannoni e Stazi.

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