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Erdogan, il neoimperialismo ottomano all’attacco di Gerusalemme

L’Europa sembra sottovalutare le mire espansionistiche della Turchia di Erdogan, messe in luce nel corso della visita ad Atene, e non dare il giusto peso ai rischi che comporta l’asse Turchia-Iran – La partita va al di là di Gerusalemme capitale e riguarda il controllo di territori, porti, basi militari, traffico d’armi e petrolio in un’area strategica

Erdogan, il neoimperialismo ottomano all’attacco di Gerusalemme

L’Europa sembra sottovalutare le mire espansionistiche della Turchia di Erdogan. A 45 anni dall’attentato all’Aeroporto di Fiumicino, chi guarda alla dichiarazione di Trump su Gerusalemme come l’inizio dei guai in Medio Oriente sembra non considerare i retroscena che hanno portato a questa esigenza dell’Amministrazione Trump in termini di timing e modalità dell’annuncio. E la recente indagine aperta contro l’ex Presidente Obama su una sua azione tesa a bloccare l’operazione della DEA, denominata progetto Cassandra, che di fatto avrebbe bloccato le attività dei terroristi libanesi di Hezbollah ma avrebbe messo a rischio l’accordo con l’Iran racconta solo una piccola parte degli interessi politici e soprattutto economici che convergono in un’area che da oltre 20 anni ha visto fallire ogni tentativo di pacificazione e che dalle primavere arabe al conflitto siriano di fatto sta vivendo un’implosione all’interno del mondo arabo, come dimostra il nulla di fatto del 5 Dicembre dove e’ parso evidente come anche il Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) vada verso un disfacimento.

Con gli USA che prendono le distanze dal Medio Oriente ormai da diversi anni si prospetta uno scontro frontale tra GCC e Iran, nel quale si innesta un nuovo ruolo della Turchia che ha ormai sdoganato l’annessione all’UE, che non è mai stata nei piani di Erdogan.

NEOESPANSIONISMO OTTOMANO E NUOVI EQUILIBRI IN MEDIO ORIENTE

Infatti il 7-8 dicembre, un giorno dopo l’annuncio unilaterale americano, Erdogan visita Atene, un evento storico perche’ dal 1952 un presidente turco non toccava suolo greco, ed esplode un caso per la sua richiesta in un’intervista di revisione del Trattato di Losanna del 1923 e sconvolgendo il protocollo diplomatico di fronte ad un esterefatto Presidente Pavlopoulos e confermando l’intento di un neo espansionismo ottomano e di aperto revisionismo che già aveva visto la richiesta del controllo delle isole dell’Egeo e di una soluzione della questione cipriota inaccettabile per i greci.

Tenendo conto che il Trattato di Losanna aldilà delle questioni inerenti la minoranza turca residente soprattutto fissa i confini tra Turchia Iraq e Siria, dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, ed è chiaro l’intento di Erdogan di rivedere i confini delle acque territoriali ed anche dello spazio aereo.

Occorre ricordare che già verso la metà di Settembre c’è stato un accordo tra Iran, Russia e Turchia sulla divisione delle aree di sorveglianza rispettiva delle province siriani confinanti. Russia e Turchia son interessati al controllo del Bosforo, che collega Mar Nero e Mediterraneo esattamente come ad un controllo egemonico del Caucaso. In sostanza la Russia in un momento di dissolvimento di un ruolo attivo americano ed europeo nell’area cerca di arginare l’impeto di Iran e Turchia a rafforzare il loro ruolo di potenze nella regione andando in aperto conflitto con le monarche del Golfo sunnite in piena disgregazione a loro volta.

Sino ad oggi il GCC era stato un baluardo importante, coeso e molto forte nel fronteggiare la minaccia iraniana ma ora con un Iraq che ha avviato una nuova politica favorevole agli sciiti ed un presidente libanese favorevole ad Hezbollah non deve stupire la dura presa di posizione dell’Arabia Saudita nei confronti del Qatar, che proprio il 26 Novembre ha firmato un nuovo accordo di libero scambio con Iran e Turchia. E gli sforzi dell’Oman e del Kuwait di ricomporre la frattura all’interno dell’alleanza del Golfo per ora non hanno portato a risultati significativi.

IL PERICOLO DELL’ASSE TURCHIA-IRAN SOTTOVALUTATO DALL’UE

Il 13 Dicembre Erdogan ha orchestrato magistralmente un summit dell’Organizzazione per la Cooperazione islamica dei Paesi arabi, in gran parte disertato dai Paesi Africani ed asiatici che iniziano a prendere le distanze dall’autoritarismo ottomano turco, ma che ha esplicitamente raffigurato un asse a fianco del Presidente siriano Bashar Assad formato da Turchia, Qatar, Iran, Giordania contrapposto all’asse Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait.

È evidente che la guerra siriana si avvia ad una conclusione e che Cina e Russia si trovano in prima linea sulla ricostruzione del Paese, anche tenendo conto che l’obiettivo dei cinesi è di far rientrare la Siria nel progetto “One Belt One Road Initiative”, un progetto di investimenti lungo l’antica Via della Seta che permetterebbe ai cinesi di ampliare la Shangai Cooperation Organization (SCO) contrapponendosi alla Nato e rafforzando la sua alleanza strategico economica proprio con l’Iran.

L’unico motivo per cui Trump ha lanciato sul tavolo delle trattative una dichiarazione di riconoscimento definitivo di Gerusalemme capitale, applicativa della decisione del Congresso USA del 1995 sotto Clinton, risiede nel voler confermare che da un lato e’ in linea con Obama per un disimpegno militare USA dal Medio Oriente lasciando così ai Paesi alleati dell’area campo libero.

Ma dall’altro lato ha lanciato un forte segale alle diplomazie sul fatti che di fronte ad un caos infinito, che negli ultimi 20 anni ha visto i Paesi disputarsi i territori e soffiare sul fuoco della questione israelo palestinese, questi non si siano mai attivati per aiutare una soluzione, esattamente come non han mosso un dito per evitare il degenerare del conflitto siriano con i suoi 450mila morti. E l’Iran ben conscio di questa ritirata Usa approfitta della situazione di debolezza del GCC e sfrutta la dichiarazione di revisionismo ottomano e la sua “guerra santa” contro l’Europa e l’Occidente più in generale.

La partita in gioco va ben aldilà di Gerusalemme ma riguarda il controllo di territori, porti, basi militari, traffici di armi e petrolio in un’area da sempre al centro di dispute commerciali celate da questioni religiose e politiche dominanti. Il fatto che la DEA sia stata fermata da Obama nel momento in cui stavano per arrestare i membri di Hezbollah che forniscono armi alle milizie del Presidente siriano Assad per garantire all’ex Presidente americano un successo politico con l’effimero accordo con l’Iran, coinvolge anche l’UE in quanto pare evidente che l’indagine della DEA fosse ben conosciuta dall’organismo dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea presieduto dall’italiana Mogherini.

E tenendo conto che l’ISIS è ridotto nella sua azione e “delocalizzato” nel Sinai, il vero pericolo è e resta Hezbollah e l’Iran ma ovviamente in Europa sono tutti uniti nell’ennesimo equivoco di una politica estera e del Medio Oriente inesistente e totalmente inconsapevole della realtà sul campo.

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