Mancano i rappresentanti del governo, trattenuti dalla costante emergenza politica. O forse per evitare domande imbarazzanti, dopo il “”giallo” sui tagli agli incentivi per le energie rinnovabili nella Finanziaria, cancellati nonostante il pressing della Lega.
E’ un piccolo autogol perché, ahimè, non capita spesso di poter partecipare all’inaugurazione di un impianto di avanguardia come la jv a tre di Catania tra Enel Green Power, ammiraglia dell’energia verde in Italia (e non solo), St, la jv italo-francese, e il colosso giapponese Sharp. Un’operazione industriale che darà lavoro a 280 persone più un indotto di almeno 800 unità, che è destinato a essere il più importante stabilimento italiano per la produzione di moduli fotovoltaici, per 160 megawatt annui, tanto per cominciare perché la capacità dell’impianto può triplicare nei prossimi anni. Senza problemi di assorbimento della domanda visto che, sottolinea l’ad di Enel Green Power Francesco Starace, “nei primi sei mesi del 2011 la potenza installata in Italia è di 5 mila megawatt su un totale di 30 mila installati in Europa negli ultimi dieci anni”. Un’operazione che pure, per più di un profilo, appare esemplare.
Tanto per cominciare, la tenacia di St ha evitato che l’investimento, ideato all’inizio del decennio quando sembrava necessario costruire un nuovo impianto per le memorie flash a 12 pollici (poi reso inutile dalla crisi che ha ridimensionato i programmi dei big del chip), non si trasformasse in una cattedrale nel deserto. L’impianto, tenuto in piena efficienza sebbene deserto, si è rivelato l’ideale per ospitare l’alleanza tra Enel Green Power e il colosso di Tokyo, avviata fin dal 2008 cui si è aggiunta la stessa St riversando una fetta delle sue competenze tecnologiche: è nata così 3Sun, jv a tre che, parola di Starace, vanta un vantaggio strutturale sui concorrenti. “Gli altri – spiega – sono solo produttori. Noi rappresentiamo l’intera filiera delle competenze: dalla produzione alla generazione dell’energia”. Secondo, l’operazione è costata un impegno di 70 milioni per ciascuno dei tre partner, in cash o in assets, mentre la parte pubblica ha partecipato solo per una quota analoga di 70 milioni.
Basterà per combattere la concorrenza cinese? “Non combattiamo ad armi pari con i cinesi – accusa, con una chiarezza poco asiatica Toshishige Hamano, il cervello delle tecnologie Sharp – Loro godono di contributi poco trasparenti un po’ dappertutto: dal costo del silicio fino alla costruzione degli impianti”. Ma non è una scusa. “L’accordo con Enel Green Power, spiega il manager giapponese, può essere un primo passo: “Catania è il cuore per servire la regione e il Sud Europa e del Mediterraneo – spiega – ma ci sono altre aree ad alto tasso di sviluppo. Il Sud America, ad esempio, dove i nostri amici dell’Enel sono ben posizionati”.
Ancor più fiducioso Andrea Cuomo di St. “Non posso fare cifre per non favorire la concorrenza – dichiara – ma in questi mesi non mi sono imbattuto in concorrenti con costi così bassi come i nostri”. Anche grazie alle tecnologie d’avanguardia, a film sottile, in arrivo da Sharp: i moduli prodotti a Catania si realizzeranno, infatti, spruzzando atomi di silicio su un supporto di vetro, tecnica che garantisce più flessibilità, risparmio sui tempi e sulla materia prima. Insomma, una felice eccezione in termini di “”sviluppo frenato” che combina know how italiano, tecnologie frutto di una felice jv internazionale (vedi St) e l’alleanza con un partner internazionale d’eccellenza che attribuisce così tanta importanza all’iniziativa da scomodare nientemeno che Kasuhiko Machida il presidente di Sharp sceso a Catania per il taglio del nastro assieme all’ad dell’Enel Fulvio Conti e a Carlo Bozotti, il ceo di Stmicroelectronics.
Per un’occasione simile, negli Usa, si scomoda Barack Obama (vedi le visite alle fabbriche di Chrysler). L’Italia ufficiale, con l’ovvia eccezione di Raffaele Lombardo, il governatore della Sicilia presente all’inaugurazione, invece non c’era. Forse, come accennato, per l’imbarazzo che regna attorno alle future scelte sulle rinnovabili. Ma sul tema Starace sfodera una serenità di giudizio encomiabile. Certo, ammette, i continui cambiamenti delle regole fanno male all’industria. “Ma se a cambiare velocemente è il contesto in cui opera l’impresa come accade per le rinnovabili – commenta – il cambiamento delle regole è solo frutto del buon senso”. Ovvero, il Bel Paese delle rinnovabili è meno peggio di quel che non si creda. Anzi. “L’Italia – conclude Starace – è messa molto bene per centrare gli obiettivi del 2020, stabiliti in sede Ue”. Non solo con il fotovoltaico o l’eolico, ma anche con le biomasse. Insomma, al di là del “nervosismo della dialettica” l’Italia va. Cosa che, di questi tempi, fa davvero notizia.