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America del Sud: l’attenzione ai conti non va mai allentata

Intesa Sanpaolo pone l’accento sulle carenze e inefficienze strutturali alla base delle recenti dinamiche in Brasile, Argentina, Colombia e Venezuela. Con l’eccessiva dipendenza dagli idrocarburi a compromettere gli sviluppi futuri.

America del Sud: l’attenzione ai conti non va mai allentata

Dai focus Intesa Sanpaolo, nel corso dei primi mesi del 2015 in Brasile rallenta l’interscambio (-5,7%), a causa del calo dei prezzi delle materie prime e della domanda interna. L’export (225 miliardi di dollari, -7,1%) risulta essere inferiore per la prima volta rispetto alle importazioni (229 mld, -4,4%). Gli scambi commerciali sono effettuati prevalentemente con mercati asiatici e americani, in particolare con Cina (17%), USA (14%), Argentina (6%), con l’importanza della Cina cresciuta esponenzialmente nel tempo. L’Europa fornisce ed acquista poco meno di un quarto del totale scambiato, dove l’Italia si colloca al sesto posto tra i maggiori fornitori con una quota di circa il 4% (pari a 7,8 miliardi di euro, in calo del 5,9% nel corso dell’anno scorso), mentre è all’11° posto tra i clienti con meno del 2%. Il dettaglio merceologico vede, tra le importazioni, la prevalenza di macchinari (29%), minerali (21%), prodotti chimici (17%), mezzi di trasporto (10%) e metalli (6%); tra le esportazioni spiccano i prodotti agro-alimentari (36%), minerali (22%), macchinari (8%), i mezzi di trasporto (7%) e i metalli (7%). Il saldo netto è positivo per i prodotti agro-alimentari, per i minerali, per i metalli, per il legno, mentre è negativo per i minerali energetici, i macchinari e la chimica.

Lo stock di investimenti diretti esteri (IDE) in Brasile nel 2013 era pari a 720 miliardi di dollari (32% del PIL). I maggiori investitori al 2013 erano, dopo gli USA, Spagna, Belgio e Regno Unito, con l’Italia collocata all’8° posto. I principali settori di destinazione sono quelli relativi a manifattura, finanza, estrazione mineraria. In questo scenario il Ministero degli Affari Esteri (MAE) rileva opportunità commerciali e di investimento nei settori dell’industria petrolifera e dell’energia, nelle utilities, nelle costruzioni, nel turismo, nei macchinari.

In Argentina, invece, la crescita del PIL è prevista in modesto recupero, nonostante il finanziamento del deficit pubblico e di quello corrente sia sempre più difficile. Con l’attenzione ora rivolta alle elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Nel corso dello scorso anno si è accentuata la fase di rallentamento dell’economia iniziata nella seconda metà del 2013. La dinamica tendenziale del PIL è passata dal +5,2% nel secondo trimestre 2013 al -0,8% nel terzo trimestre 2014. Nei primi nove mesi del 2014 il PIL ha registrato una crescita pari a 0 rispetto al +2,9% dell’anno precedente. Alcuni recenti dati positivi riguardo la domanda interna e la produzione agricola hanno portato gli analisti a prevedere una timida ripresa nel corso 2015 (+0,4%).

A gennaio il tasso tendenziale d’inflazione ufficiale era pari al 20,8%. Secondo le stime pubblicate da Intesa Sanpaolo l’inflazione viaggerebbe invece vicino al 40%. Allo stesso tempo il peso argentino ha continuato a deprezzarsi nei confronti del dollaro, perdendo il 30% del proprio valore nel 2014 ed un ulteriore 3% nel primo bimestre 2015, portandosi a 8,70 ARS:1 USD. Le misure di parziale liberalizzazione degli acquisti di valuta prese ad inizio 2014 hanno avuto scarso successo e sul mercato non ufficiale vengono chiesti circa 14 ARS:1 USD. L’ampio scarto tra tasso ufficiale e tasso non ufficiale, l’elevata inflazione e la difficile situazione finanziaria suggeriscono che la fase di deprezzamento sia destinata a continuare.

La bilancia corrente dell’Argentina registra un consistente surplus commerciale e un deficit nel conto redditi, determinato principalmente dalla remunerazione del debito estero e dei capitali investiti nel Paese. Le riserve, pari a 26 miliardi di dollari a gennaio 2015, si confrontano con un fabbisogno finanziario estero stimato pari a 38,5 miliardi di dollari (reserve cover ratio a 0,8). La posizione esterna è tuttavia meno debole di quanto indicherebbe il basso livello delle riserve: a fine 2013, lo stock di attività in valuta dei residenti, soprattutto depositi, superava le passività, principalmente IDE, di 49 mld (8% del PIL). A fine settembre 2014 il debito estero ammontava a 145,4 miliardi di cui il 48% garantito dallo Stato. Il finanziamento del deficit pubblico e di quello corrente si sta rilevando sempre più problematico a causa del calo di riserve valutarie (-45% dal picco toccato ad inizio 2011). Il debito sovrano in valuta dell’Argentina è considerato in default selettivo sia da Fitch che da S&P’s, mentre Moody’s, ha aggiunto un outlook negativo al suo rating Caa1.

Lo scenario cambia se ci spostiamo in Colombia, dove troviamo una dinamica in frenata e una posizione fiscale ed esterna in deterioramento a causa dell’elevata esposizione dell’economia agli idrocarburi. Nel 2014 la crescita del PIL, pur restando sostenuta, ha frenato al 4,6%, dal 4,9% nel 2013. La congiuntura negativa del mercato degli idrocarburi, la restrizione fiscale e la perdita di potere di acquisto sono fattori destinati a pesare sulla domanda interna. D’altra parte, le esportazioni di manufatti sono attese beneficiare della sostenuta domanda USA e del deprezzamento del cambio mentre i piani di sviluppo abitativo e di potenziamento delle infrastrutture continueranno a sostenere l’attività di costruzione. Previsioni ufficiali della Banca Centrale indicano una crescita del PIL attorno al 3,5% sia nel 2015 sia l’anno prossimo. La discesa del prezzo del petrolio (gli idrocarburi contribuiscono a più del 50% delle esportazioni) ha accentuato le spinte al deprezzamento del peso, che ha perso circa un quarto del proprio valore nel 2014 ed un ulteriore 10% nel primo trimestre 2015. Il rapporto COP/USD pari a 2650 a metà marzo è tornato ai livelli di dieci anni fa. Il cambio reale effettivo negli ultimi due anni si è deprezzato del 20%, tornando al di sotto della sua media di lungo periodo. E pure il nuovo deficit obiettivo al 2,8% appare difficile da raggiungere poiché le attuali quotazioni del petrolio sono molto più basse dei circa 70 USD delle stime ufficiali.

La bilancia dei pagamenti della Colombia presenta un deficit di parte corrente strutturale (mediamente pari al 2,8% del PIL negli ultimi dieci anni) determinato principalmente dalla remunerazione dei fondi esteri investiti nel Paese e, in misura minore, dalla parte servizi. La bilancia commerciale registra un contenuto surplus, grazie alle esportazioni di idrocarburi, minerali (oro) e prodotti agricoli (caffè) in buona parte bilanciate dalle importazioni di beni investimento e di consumo durevole e semi-durevole. Il conto trasferimenti beneficia delle rimesse dei lavoratori colombiani impegnati all’estero. Il deficit corrente è più che compensato dal surplus del conto finanziario, dovuto principalmente a IDE ed a investimenti di portafoglio. La Colombia ha visto le proprie riserve valutarie quadruplicare negli ultimi dieci anni, ma il reserve cover ratio resta inferiore a 1. Il debito sovrano in valuta della Colombia è considerato investimento “non speculativo” da parte delle agenzie di rating (BBB da S&P e Fitch, alzato lo scorso luglio a Baa2 Moody’s).

In Venezuela la caduta del prezzo del petrolio accentua ulteriormente gli squilibri strutturali di un’economia in recessione, deficit pubblico e inflazione fuori controllo, valuta in caduta libera. Nei primi nove mesi del 2014 il PIL è diminuito del 4% in termini reali, rispetto al +1,3% dell’anno precedente. Le difficoltà si sono accentuate negli ultimi sei mesi, portando ad una caduta del PIL nell’intero anno stimata tra il 4,5% ed il 5% compromettendo gli spazi di manovra per politiche a sostegno della crescita. Gli aumenti di salari e sussidi, molto probabili in un anno elettorale, difficilmente saranno tali da compensare l’elevata inflazione. Il PIL è previsto in nuovo pesante calo nel 2015 (-7%) e nel 2016 (-6,1%). Il tasso tendenziale d’inflazione ha accelerato al 68,5% a dicembre, dal 56,1% dell’anno precedente, un aumento dei prezzi previsto anche per quest’anno. Con la riforma valutaria di inizio febbraio è stato istituito un terzo mercato, denominato Simadi, dove privati e imprese possono ottenere valuta da banche e uffici di cambio autorizzati a un cambio libero, con l’obiettivo di ridurre gli spazi per il mercato non ufficiale e eliminare alcune delle distorsioni del vecchio. Le prime allocazioni sono state fatte sopra i 170 VEB : 1 USD, non lontano dalle quotazioni sul mercato non ufficiale.

Il Venezuela registrata un surplus corrente della bilancia dei pagamenti strutturale (3,2% del PIL dato medio 2010-2014, in sostanziale calo dall’8,1% medio nel quinquennio precedente) determinato dall’avanzo commerciale (il 95% delle esportazioni è costituito da idrocarburi). Il conto finanziario riporta un disavanzo dovuto ai deflussi di capitale privato, solo in parte bilanciati da prestiti di partner esteri, IDE e dalla raccolta della compagnia petrolifera di Stato PDVSA e di altre entità controllate dallo Stato. Nel corso del 2015 un prezzo medio del petrolio a 55 dollari al barile porterebbe a un deficit corrente attorno ai 12 mld. Il reserve cover ratio 2015 è stimato pari a 0,6. Il crollo del prezzo del petrolio ha reso ancor più problematico l’aggiustamento dei profondi squilibri dell’economia e accresciuto il rischio che il Paese non sia in grado di far fronte ai propri impegni finanziari. Negli ultimi mesi le agenzie di rating hanno di nuovo tagliato le rispettive valutazioni del debito sovrano in valuta del Venezuela, ora considerato ad alto rischio di default (CCC da CCC+ per S&P’s; CCC dal precedente B per Fitch; Caa3 da Caa1 per Moody’s).

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