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Rifiuti, sul fondo del mare più plastica che pesci

Uno studio dell’Ispra e dal Sistema per la protezione dell’Ambiente per monitorare la qualità dei mari italiani individua i fondali rocciosi più inquinati: Liguria e Golfo di Napoli nella lista. Sui fondali finisce il 70% dei rifiuti e il 77% è plastica

Rifiuti, sul fondo del mare più plastica che pesci

Esiste un nuovo stato nel mondo, ma non molti lo conoscono, oppure non sanno dove si trova, o forse solo non vogliono ricordarlo. Fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord esiste un’isola di nuova generazione e di nuova composizione. Si tratta del Pacific Trash Vortex, noto come il grande agglomerato di immondizia e plastica che fluttua nella parte settentrionale dell’Oceano Pacifico. L’accumulo si è formato a partire dagli anni Ottanta e la sua costituzione è stata favorita da una corrente oceanica dotata di un forte movimento a spirale che ha portato una quantità di oggetti in plastica a generare quello che dal 2013 è stato riconosciuto dall’Unesco e sotto richiesta dell’artista italiana Maria Cristina Finucci come un nuovo stato, il Garbage Patch State.

Ogni anno sono pari a circa otto milioni le tonnellate di plastica che finiscono in mare e di queste il 7% confluisce nelle acque del Mar Mediterraneo, spiega l’ultima ricerca dell’Ispra e del Sistema per la protezione dell’Ambiente SNPA per monitorare la qualità dei mari italiani.

Più del 70% dei rifiuti che finiscono nel mare sono depositati nei fondali italiani e il 77% è composto da plastica. Il Mare di Sicilia presenta i dati più preoccupanti: sono stati rinvenuti nelle sue acque 786 oggetti, per un peso complessivo superiore ai 670 chilogrammi e questi risultati confermano la sua collocazione tra le discariche sottomarine più grandi d’Italia, seguito dalla Sardegna con 403 oggetti nella totalità delle 99 cale e un peso totale di 86,55 chilogrammi.

Ogni mare, tuttavia, è diverso: nei fondali rocciosi, dai 20 ai 500 m di profondità, le concentrazioni più alte di rifiuti sul fondo si rilevano nel Mar Ligure con 1500 oggetti rinvenuti per ogni ettaro, nel golfo di Napoli con 1200 oggetti per ogni ettaro e ancora lungo le coste siciliane, dove vengono trovati circa 900 oggetti per ogni ettaro.

L’analisi condotta dai due istituti si inserisce nell’ambito del progetto europeo Medsealitter degli anni 2017 e 2018 e mostra i principali risultati dei rinvenimenti di rifiuti galleggianti in alto mare, vicino la fascia costiera e vicino la foce dei fiumi. Dalle rilevazioni emerge che è la foce dei fiumi a presentare il maggior quantitativo di rifiuti galleggianti con più di 1000 oggetti per chilometro quadrato, vicino la costa tra i 10 e i 600 oggetti per chilometro quadrato, mentre più si analizza la situazione in mare aperto più il numero di oggetti scende a 1 – 10 per chilometro quadrato.

Questi sono i risultati rispetto a ciò che è visibile a una prima occhiata da chiunque, ma è la situazione dei fondali italiani ad allarmare gli esperti: nella regione Adriatico-Ionica la media degli scarti rinvenuti supera i 300 rifiuti ogni chilometro quadrato, dei quali l’86% è composto da plastica, in particolare usa e getta, l‘area costiera a sud del delta del Po contiene 983 rifiuti al chilometro quadrato, quella settentrionale 910 rifiuti, quella meridionale di Corfù e le acque di fronte a Dubrovnik sono le località adriatiche–ioniche con la maggiore densità di rifiuti in fondo al mare. Imballaggi industriali e alimentari, borse per la spesa e bottiglie di plastica, comprese le retine per la mitilicoltura sono i rifiuti più comuni.  

La collaborazione dei pescatori nel monitoraggio dei fondali marini condotta nell’Adriatico dal 2013 al 2019: sono state rinvenute nelle reti di 224 pescherecci coinvolti in due progetti di ricerca europei Defishgear e Mlrepair, 194 tonnellate di rifiuti. Le spiagge italiane danno ospitalità dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia.

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