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Prezzo del petrolio in caduta: chi vince e chi perde

Nel mercato petrolifero è in corso una vera e propria rivoluzione, con la produzione USA in costante aumento. Indubbi benefici per trasporti e consumi, ma attenzione ai Paesi emergenti.

Prezzo del petrolio in caduta: chi vince e chi perde

Il prezzo del petrolio è calato rapidamente negli ultimi mesi, abbassandosi dai 115 dollari al barile in giugno al di sotto i 65 USD nel mese di dicembre. Nonostante il mercato cinese costituisca il 20% del fabbisogno mondiale, la recente caduta non può essere attribuita, almeno in gran parte, a un improvviso cambiamento nella composizione della domanda. Piuttosto, per trovare le cause di questa dinamica si deve guardare al lato dell’offerta, distinguendo tra cause legate al rifornimento e fattori strutturali più profondi.

La Libia in estate ha più che quadruplicato la propria produzione e ora si dirige verso il suo livello precedente la guerra civile scoppiata nel 2010. L’Iraq, a sua volta, ha iniziato ad aumentare la produzione, nonostante le agitazioni nella parte settentrionale del Paese. Tuttavia, interruzioni persistono in altri storici esportatori, ad esempio in Siria e Iran per motivi geopolitici e in Canada e nel Mare del Nord per motivi tecnici. Ma altri fattori fattori sono venuti alla ribalta. È in corso dal lato dell’offerta una vera e propria rivoluzione, con la produzione di petrolio negli USA in costante aumento. Le importazioni USA di petrolio netto sono scese da 12,5 milioni di barili al giorno nel loro picco nel 2005 a 5,5 mln lo scorso settembre. A risultarne particolarmente colpite sono le importazioni dall’Africa Occidentale, mentre i livelli di produzione nel mercato USA ora si attestano sugli stessi livelli di quello dell’Arabia Saudita. In questo scenario, il livello di prezzo critico è caduto da 90 a 70 dollari al barile.

Da parte sua, l’Arabia Saudita ha offerto sconti significativi per il mercato asiatico, in un apparente tentativo di conservare la propria quota di mercato, tuttavia secondo Atradius non può permettersi un prezzo inferiore. L’incontro convocato dai Paesi OPEC fu tenuto a Vienna il 27 novembre scorso non ha portato ad alcuna presa di posizione definitiva in uno scenario dove si sarebbero dovuti accordare tenendo il 5% della produzione fuori dal mercato per consentire un recupero di prezzo di 100 dollari al barile. Ecco allora che in mancanza di cambiamenti profondi i prezzi sono attesi su bassi livelli  per il prossimo futuro. Gli unici rischi attuali vengono dai fattori geopolitici che potenzialmente potrebbero influenzare la fornitura, si veda in questo senso l’attività dello Stato Islamico nella regione del Medio Oriente, anche se fino ad ora non sono stati ostacolati i complessi di petrolio iracheno del sud. In secondo luogo, le sanzioni UE e USA imposte alla Russia possono rappresentare un pericolo alla produzione a medio termine.

I prezzi del petrolio più bassi, come tali, sono buone notizie per l’economia globale. Una riduzione del prezzo di 10 dollari al barile si traduce in un’ulteriore crescita dello 0,5% con ripercussioni positive anche sui consumi. Tuttavia, ciò potrebbe non essere abbastanza in quei Paesi nell’Eurozona dove pesa ancora l’onere sul debito: le implicazioni positive sulla crescita economica si vedranno allora in futuro, a patto di risolvere in modo profondo e tempestivo l’attuazione a livello locale delle necessarie riforme strutturali.

A beneficiare di un prezzo inferiore del petrolio sono naturalmente Paesi e settori importatori, in questo caso i mercati UE, con stime di importazione annuale di 500 miliardi di dollari che saranno ridotte a 400 mld se il prezzo al barile si manterrà sui 85 dollari al barile. Per gli USA lo scenario è ambiguo, in quanto si trovano ad agire sia come produttori che acquirenti. Prodotti petrolchimici e, chiaramente, i trasporti sono quei settori che vengono associati ai maggiori benefici. A trarre beneficio della situazione è anche la stessa Cina, che in queste condizioni vede il prezzo delle importazioni ridursi del 3%, una diminuzione pari a 60 mld. Inoltre, l’impatto deflazionistico del prezzo del petrolio inferiore attenua l’elevato livello generale dei prezzi in Paesi emergenti come India e Indonesia, con ampi settori agricoli ed elevati costi di concimazione e idratazione. E se il peso di questa situazione sarà sostenibile per i produttori del Medio Oriente in grado di gestire il calo dei prezzi, grazie ai bassi costi di produzione, le ripercussioni più pesanti colpiscono mercati come il Brasile che hanno bisogno di prezzi elevati per sostenere l’esplorazione in acque profonde. Infine, la Russia appare anch’essa vulnerabile, anche se nel medio periodo.

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